“II nostro non
è un semplice ristorante... Vi lavorano persone disabili
affiancate dai loro amici che aiutano volontariamente. Insieme
perché non crediamo ad un mondo diviso in due... I
quadri alle pareti esprimono ciò che si può
fare malgrado qualche difficoltà fisica o psichica":
così, con questa nota apposta accanto al menu, si presenta
agli ospiti la Trattoria degli Amici frutto del Movimento
“Gli Amici" formato da persone disabili e non.
Una storia diversa, non c'è dubbio. Ma diversamente
buona.
LA FORZA DEGLI AMICI. La Trattoria degli Amici è il
frutto del Movimento «Gli Amici» formato da persone
disabili e non della Comunità di Sant'Egidio. Il Movimento
nasce dalla presenza ventennale della Comunità nel
mondo dei disabili. All'interno del Movimento è nata
la cooperativa che gestisce la Trattoria per rispondere al
problema dell'inserimento lavorativo delle persone disabili.
La Comunità di Sant'Egidio è attiva in 60 paesi
del mondo, con 40.000 aderenti, nell'assistenza agli emarginati,
agli anziani, ai disabili, alle situazioni di povertà
di ogni tipo. Rilevante e anche il suo ruolo diplomatico,
decisivo per esempio nella firma della pace in Mozambico il
4 ottobre 1992 che ha messo fine a 16 anni di guerra civile
con più di un milione di morti. La Comunità
è impegnata anche nella Campagna per una Moratoria
Universale della pena di Morte nel mondo che ha gia raccolto
quattro milioni di firme. Nella Trattoria de Gli Amici, nel
quartiere romano di Trastevere, lavorano a turno nove persone
disabili affiancate dai loro Amici che prestano aiuto da volontari.
In tutta Roma sono circa 900 le persone con handicap mentali
e motori di varia gravità legati al Movimento de «Gli
Amici». «II lavoro è terapeutico, guarisce,
restituisce dignità», dice Giuseppe Di Pompeo,
direttore della Trattoria. «Purtroppo si fa molta fatica
ad inserire questi uomini e donne in spazi lavorativi. L'utile
vero della Trattoria è dato propria dall'inserimento
professionale di queste persone. La dimostrazione che l'handicap
non è di per sé un ostacolo insormontabile e
che il lavoro non lo si dovrebbe negare a nessuno».
Presso la Trattoria de Gli Amici sono esposti i quadri delle
persone disabili. Una mostra dei lavori si tiene ogni anno
a settembre. «Abbasso il grigio» ha raccolto quest'anno
le opere di 500 artisti diversamente abili» e la vendita
ha finanziato la ricostruzione di un ambulatorio clinico all'interno
dell'ospedale Raoul Follerau - Comunità di Sant'Egidia
di Bissau (Guinea Bissau).
Ci sono persone che della logica corrente possono fare a meno.
Perché hanno altre qualità. Come la premura,
l'affettuosità, il candore, la bontà... Insomma,
un’intelligenza del cuore che spesso manca a chi vanta
un cervello in asse. Le qualità sopraddette sono rilevabili
dall'espressione di un volto, da una sguardo, in un sorriso,
nei gesti. Flavia e Gelsomina, per esempio. Si presentano
alla Trattoria degli Amici alle 16.30 per il loro turno in
cucina. Sono guardinghe e forse un po' intimorite dalla presenza
di una nuova volontaria che non conoscono e che passerà
con loro e i loro amici l'intero pomeriggio in cucina e la
sera in sala.
Flavia vive nella casa-famiglia nel centro di Roma. Cinque
pomeriggi alla settimana viene a lavorare alla trattoria.
Appena arrivata, prima di cambiarsi per il suo turno, apre
il frigorifero e si versa un bicchiere di aranciata colmo
fino all'orlo. Poi, schernendosi come per una cosa che non
si dovrebbe fare, chiede al cuoco Lamine di passare la solita
tassa: una sigaretta. Gelsomina arriva invece dal Trullo,
vecchia borgata romana. Flavia e Gelsomina conoscono bene
i loro compiti. Sono scritti anche sul mansionario appeso
alla parete. Ci sono da pulire patate, carote, preparare la
macedonia... Non appena la cassetta della verdura viene portata
su dalla cantina, Flavia individua subito i sei mazzetti di
rughetta che le spettano da nettare. Sarà un lavoro
lungo e meticoloso, ogni foglia scrutata, osservata, scelta
o eliminata.
Lamine è il cuoco tunisino. È l'unico, insieme
a Giuseppe Di Pompeo, uno dei coordinatori del servizio disabili
della Comunità di Sant'Egidio, a ricevere una stipendio
per il lavoro a tempo pieno in trattoria. Tutti gli altri,
che si avvicendano in cucina e in sala, sono volontari. Lamine
è da molti anni in Italia, abita a Ostia con famiglia.
Ha lavorato in grandi alberghi svizzeri. Ha la calma dei cuochi
di lungo corso, che sanno bene quante cose possono entrare
in un ora e quante invece non vi possono entrare. Solo che
qui un'ora e diversa, ha un altro calibro. Tra i volontari
è di turno Rinaldo Piazzoni, una delle colonne della
Comunità, insegnante di religione e grande passione
per la cucina. È lui a passare in rassegna il frigorifero,
a decidere che cosa cucinare o riciclare dal giorno prima.
Ci sono da pulire una cassetta di spinaci e i cespi di insalata.
Toccano alla paziente Gelsomina, vasca di lavaggio dopo vasca
di lavaggio: impossibile trovare alla fine un granello di
sabbia. Stessa pazienza viene spesa per l'intaglio dei pomodorini,
opera d'arte di Natalina.
C'e la spesa spicciola da fare. Mancano i pomodori, manca
il pane, il latte, le fragole... Si aspetta Massimo che si
presenta come un ciclone. Massimo è di quelli che amano
le battute a raffica. Come certi colleghi d'ufficio ai quali
però alcune freddure non si perdonano. Appena arriva
apre anche lui il frigorifero e si versa un bel bicchiere
di aranciata che evidentemente va forte. Poi inizia a prendere
in giro Flavia: «Flavia coupè, dove ti scarrozzo?»
e anche Gelsomina che chiama per dispetto Fiordaliso. Rinaldo
gli consegna la lista della spesa e i soldi. Massimo torna
poco dopo trionfante con i pomodori Pachino: «So' annato
a Pechino, andata e ritorno, visto come ho fatto presto? Mo'
ce ritorno». E infatti deve riuscire perché mancano
all'appello alcuni generi, compresi tre caffè di conforto
alla cucina. Ad ogni rientro nuovo aggiornamento della lista.
Massimo entra ed esce con allegria senza mai protestare e
con il suo inesauribile carico di battute. Arriva anche un'amica
di Gelsomina, molto estroversa e chiassosa. Ora sono tutti
in sala a mettere a posto i tavoli per la sera. Sentono la
Trattoria come casa loro. Qui si festeggiano tutte le ricorrenze,
qui si viene tutti insieme a pranzo la domenica (a locale
chiuso) dopo la messa a Santa Maria in Trastevere. Parlano
infatti della festa del Movimento dell'Arcobaleno che si terra
in un parco della Capitale. E parlano di vacanze. Massimo
annuncia che andrà da Albano e Romina. Per dire che
andrà ai Castelli romani, ad Albano. Casco nella trappola
e dico: «Ah ma Albano lo conosco», ciò
che fa la felicità di Massimo il cui motto di spirito
e senza ombra di dubbio andato a segno (e sarei io quello
sano?). Ove si dimostra che l'handicap psichico (non psichichiatrico)
e solo un tabù tra i tanti. Del resto, basta dare uno
sguardo alle pareti della sala dove sono appesi moltissimi
quadri. Solo una persona di enorme pazienza e abilità
poteva mettere insieme tutti quei puntini e tradurli in un
paesaggio cosi delicato. Come nell'altro quadro con i grandi
alberi: solo l'azione meccanica del braccio di un ragazzo
spastico che si muova con colpi duri forti violenti poteva
rendere quei tocchi di luce così intensi e decisi.
Sono le opere di persone più normali di tante altre.
Che hanno scoperto il vantaggio del proprio handicap. Anche
Gelsomina il sabato frequenta la scuola di pittura aperta
dalla Comunità. Il suo quadro è descritto come
bellissimo. Peccato non lo possiamo ammirare perché
e già stato venduto alla grande mostra che si è
svolta, come ogni anno, a Trastevere. Ma Gelsomina sta gia
lavorando al prossimo dipinto.
Mentre parliamo dei quadri, entrano in cucina anche Patrizia
e suo marito Vincenzo. Si sono sposati due anni fa tra la
diffidenza - abituale verso chi ha qualche difficoltà
- e con il sostegno della Comunità di Sant'Egidio che
ha trovato per loro un alloggio in una casa-protetta. Vincenzo
lavora la mattina in una pasticceria, ma tutte le volte che
Patrizia è di corvee lui comunque l'accompagna. Lei
non ci sente: mentre lava i piatti, lui non la perde di vista
un attimo. Patrizia sorride sempre. Qualche volta però
succede che si arrabbi. Come oggi, per esempio, perché
teme che Walter con un trucchetto le soffi di nuovo l'ambitissimo
turno in sala. È gia successo la sera prima. Stavolta
non passerà. È il messaggio che Patrizia manda
con gli occhi e con i gesti. Intanto, dopo aver lavato le
pentole sporcate dai cuochi, Patrizia, il marito e l'allegro
gruppetto si dedicano all'apparecchiatura della sala. Si devono
spostare i tavoli, mettere le tovagliette di carta, le posate,
i bicchieri. Nel dare indicazioni sul da farsi, Giuseppe commette
l'errore di affidarsi a concetti astratti. Che cosa può
voler dire: sdoppiare il tavolo da quattro e farne due da
due girandoli per sfruttare meglio lo spazio? Il risultato
è che i tavoli fanno un giro di 360 gradi su se stessi.
Meglio spiegare con l'esempio. È arrivato anche Valerio
che pulisce i tavoli con una velocità impressionante.
Eppure quando si tratta di disporre le tovagliette di carta
è meticolosissimo, tutte sono perfettamente in squadra.
Giuseppe controlla perché potrebbe capitare che tutte
le posate siano invertite. Ma questo succede anche ai "molto
abili". Ci sono invece tanti altri dettagli di cui tener
conto. Per esempio si è visto che le ordinazioni prese
per iscritto non funzionano. Si rischiano i tempi tecnici
di un romanzo perché qualcuno ci teneva a scrivere
per intero «una bottiglia di acqua minerale frizzante».
Maurizio è in compenso prezioso nel prendere le ordinazioni
del vino e dei beveraggi in genere. Ha iniziato come lavapiatti,
ma si è capito subito che quello proprio non poteva
essere il suo ruolo per via di qualche piatto che sfuggiva
troppo spesso alla presa. È considerato il sommelier
della trattoria. È un bel ragazzo, elegante, raffinato.
È astemio, pero ha un atteggiamento empatico con chi
beve. Ha l'occhio lungo di chi sa sempre quello che il cliente
desidera. Della serie « basta che me lo dici una volta
e non me lo dimentico più». E del vino sa tutto
ciò che serve per consigliarlo. Lo ha appreso ai tavoli,
cogliendo i commenti, ricordando i gusti. Non che la lista
dei vini sia sterminata: Cerveteri bianco e rosso, Colle Picchioni
e poche altre etichette. Maurizio si ricorda perfettamente
che cosa piace ai clienti. E questo ai clienti fa piacere.
Ma non solo. È lui a segnalare se in magazzino manca
un certo vino e a parlare direttamente con i rappresentanti.
A proposito di vino: c'è per caso in giro qualche azienda
che abbia voglia di aiutare Gli Amici? Magari vendendo a prezzo
di costo un po' di bottiglie in cambio di una promozione tutta
speciale. Se ne potrebbe perfino incaricare Maurizio.
Lui intanto rifornisce di boccali di birra la cucina dove
ferve il lavoro. Alla mia richiesta di un secondo boccale,
Maurizio non può trattenersi dall'esclamare un «ehehe».
Come dire: «ci diamo dentro, eh». Ad ogni passaggio
in cucina per riportare i piatti, butta un occhio al livello
della mia birretta per vedere se occorre passare alla terza.
Ma mi fermo perché Rinaldo, che tra gli alcolizzati
passa molte ore da volontario, ammonisce scherzosamente che
si può finire male. Cosi, come niente.
Rinaldo si mette al computer a scrivere il menu. Da quando
il ristorante è aperto non più solo ai soci
e agli amici (dal primo gennaio è aperto al pubblico),
occorre aggiustare il tiro sui piatti. Prima si veniva soprattutto
per stare tra amici. Adesso è diverso. II menu di giornata
prevede: carpaccio di cernia, mousse di baccalà, mousse
di melanzane. E poi bombolotti alla carbonara, trofie con
cernia e aceto balsamico, bombolotti alle zucchine, salvia
e menta, cus cus vegetale. Tra i secondi maialino porchettato,
calamari e cernia alla griglia al salmoriglio, polpettone
in salsa di funghi eccetera eccetera. Ma ogni sera si cambia.
Unico e vero handicap, i dolci. Qui è nelle mani dei
volontari che certi giorni ne recapitano in abbondanza e altri
se ne dimenticano o non ce la fanno a prepararli. Cosi può
capitare che alle sette di sera ci sia solo qualche avanzo
di torta o di gelato del giorno prima. Ma paura: c'è
sempre Massimo pronto a partire. Destinazione pasticceria.
Bisognerebbe però annotarsi le battute.
La sala si va riempiendo. I primi clienti sono tre ragazzi
deschi che, forse, non hanno tradotto la nota apposta accanto
al menu: «II nostro non è un semplice ristorante...
Vi lavorano persone disabili affiancate dal loro amici che
aiutano, volontariamente. Insieme perché non crediamo
ad un mondo diviso in due... I quadri alle pareti esprimono
ciò che si può fare malgrado qualche difficoltà
fisica o psichica». I tedeschi se non hanno letto, si
devono pero essere accorti di un clima un po' speciale.
Walter - quello che ha soffiato il turno in sala a Patrizia
è alla postazione lavaggio piatti. Questa volta non
l'ha spuntata. È un omone grande e grosso, sempre sorridente
e con una passione sfrenata per il pane (infatti tendono a
non farglielo affettare, anche se affettare il pane non piace
a nessuno). Ci si accorge presto che il gelato di fragole
è alla fine. Giuseppe non ha il coraggio di tornare
in sala per dirlo ai clienti così propone di aumentare
le fragole dentro alla coppetta. Maurizio, sornione, tira
fuori un'altra soluzione che dovrebbe pero avere l'avallo
del Padreterno: « la moltiplicazione del gelato di fragole».
Avverte poi Rinaldo che fuori dalla porta ristorante c'e John,
il teologo. John si affaccia solo quando sa che è di
turno Rinaldo perché della bontà della sua carbonara
si parla anche tra gli homeless di Trastevere. Cosi John -
homeless gourmet - avrà il suo piatto di bombolotti.
Ogni volta che mette piede in cucina Maurizio non resiste
alle patatine. Se ne infila in bocca quante più possibile.
Da quando il ristorante ha aperto pare non l'abbiano mai visto
mangiare altro che patate. Qualcuno scherza dicendo: «patate
arrosto d'inverno e patate fritte d'estate». Ma lui
ribatte semplicemente che non fa differenza: «Come viene,
viene». Purché siano patate. Così, a fine
lavoro, Lamine gli frigge una montagna di patatine. Ma è
solo l'aperitivo. A casa, a tarda ora, la madre gli farà
trovare una minestra. Naturalmente di patate.
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