''Faro'
di tutto per convincere i miei colleghi della commissione
atleti del Cio a prendere posizione al piu' presto contro la
pena di morte: nel 2000 non e' piu' accettabile una cosa del
genere''. Manuela Di Centa ha apprezzato l'iniziativa di
Antonio Rossi ed Eva Giganti che dopo gli sviluppi della
vicenda Barnabei hanno chiesto di dare un segnale contro la
pena capitale durante la cerimonia di apertura dei Giochi. E
cosi', in un' intervista che andra' in onda al Tg1, e'
tornata sull'argomento. ''Tutti noi - ha detto - dovremmo
avere come primo principio quello della liberta' e della
vita. Quando questo cade perche' qualcuno viene ucciso, e'
la fine. Noi atleti, anche alla luce dei principi olimpici
di solidarieta' ed amicizia (quindi di vita, perche'
l'amicizia e' vita) dobbiamo fare qualcosa. Mi mettero' in
contatto con Popov, Smirnov e Bubka, gli altri della
commissione per dare un segnale significativo. Dobbiamo
sensibilizzare la gente che ancora sceglie di fare giustizia
in questo modo, occorre fare capire che non e' la scelta
migliore. Attraverso lo sport a volte si raggiungono nella
societa' e nella cultura traguardi altrimenti impossibili da
ottenere. Speriamo - ha concluso Di Centa - che lo sport
confermi la capacita' di toccare i cuori''. Intanto si
allarga la base di atleti azzurri che intendono prendere
posizione contro la pena di morte durante i Giochi: oggi e'
stata Maurizia Cacciatori ad aderire.
Per
fermare l'uccisione di Rocco Derek Barnabei, Carlton Myers
sarebbe disposto ''anche ad abbassare la bandiera''. Lui, il
primo alfiere nero d'Italia, come John Carlos e Tommie Smith,
che nel '68 a Citta' del Messico chinarono il capo ed
alzarono il pugno guantato di nero. Aderisce subito all'
idea lanciata da Antonio Rossi ed Eva Giganti e gia'
raccolta da Manuela Di Centa e Maurizia Cacciatori. Lo fa
anche se non conosce il caso Barnabei. Gli azzurri del
basket sono in avvicinamento a Sydney da troppo tempo. Ed i
giornali internazionali non hanno spazio per quella che -
vista dal resto del mondo - e' solo una delle tante
esecuzioni d'America. Se lo fa raccontare, ma non ha dubbi.
Lui che e' cristiano evangelista non ha neppure bisogno
delle parole del Papa: ''Io sono contro la pena di morte, a
maggior ragione se parliamo di un italiano. E noi, alla
cerimonia, siamo nella posizione ottimale per lanciare un
messaggio''. La festa di domani, poche ore dopo
l'esecuzione: un orribile contrasto. ''Sara' strano fare una
cerimonia cosi'''. Myers si prende ''l'impegno di parlarne
con Dino Meneghin e con il resto della squadra per fare un
gesto''. Arriverebbe ad abbassare la bandiera? ''Si' se
servisse a salvare la vita. Ma se l'avranno gia'
giustiziato, non servira' a nulla neppure buttarla in aria,
la bandiera. Per fermare l'esecuzione farei di tutto. Una
vita umana non ha prezzo''.
La
vicende di Rocco Barnabei ha comunque lasciato il segno
sulla squadra azzurra, anche se con diversi livelli di
attenzione. Al villaggio olimpico se ne parla: qualcuno,
isolato, poco sa del caso Barnabei, altri sono informati ma
non vorrebbero legare eventuali iniziative contro la pena di
morte a un caso singolo. Poi ci sono gli azzurri
emotivamente piu' coinvolti. ''C' e' stata molta discussione
tra i ragazzi della pallavolo - dice Claudio Seddio, uno
degli official della squadra - sulla pena di morte. Hanno
intenzione di fare qualcosa di concreto. Ci sono alcune
idee. Ma l' intenzione e' quella di globalizzare il
problema. In molti ritengono che sia opportuno lottare
contro la pena capitale, ma c' e' qualche perplessita' a
muoversi su un caso singolo, o perche' Rocco Barnabei e'
italiano''. Mario De Meo, atleta del Taekwondo, antica arte
marziale coreana, e' un poliziotto e le questioni di
giustizie le sente particolarmente: ''La pena di morte
dovrebbe essere abolita. Siamo nel 2000, un uomo non puo'
decidere la sorte di un altro essere umano. Chi ha sbagliato
sicuramente deve essere allontanato dalla societa'. Ma
stamattina ho visto in tv un' intervista a Barnabei. E'
sconvolgente''. I canottieri scontano invece l' isolamento
di Penrith e del ritiro preolimpico. ''Non abbiamo notizie,
ma la pena di morte no'', dicono Mattia Righetti, singolo, e
Franco Berra, 8 con.
''In
certi casi, contro certa gente - dice Righetti - viene da
dire che la pena di morte e' meritata. Ma e' comunque un
criterio ingiusto. Molto spesso non ci sono certezze''. ''A
Penrith arrivano poche notizie - spiega Berra - ma ne
parleremo. Io non sono favorevole alla pena di morte. La
vita ci e' data da Dio e solo lui puo' toglierla''. Leonardo
Bundu, il welter di colore del pugilato, dice ''che tanti
meriterebbero la pena di morte, ma tanti casi di condanne
riguardano innocenti. Ho visto dei documentari, e' terribile
vivere nel braccio della morte. Non si puo' sopprimere la
vita. Certo, se penso ai pedofili che infieriscono sui
bambini... Pero' il mondo non e' perfetto. Non si puo'
sapere. Il mio impegno e' questo: se incontro un pugile
degli Stati Uniti gli chiedero' di battersi nel suo paese
contro la pena di morte''.
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