NO alla Pena di Morte
Campagna Internazionale -  Moratoria 2000

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I Parlamentari Europei contro la pena di morte

Assisi 4 luglio 2000

Nel salone papale del Sacro Convento, oltre 400 parlamentari delle assemblee nazionali di 14 Paesi europei sono riuniti oggi su iniziativa del Senato italiano per verificare tutte le strade possibili in vista dell'abolizione della pena di morte, ancora in vigore in 76 stati, fra cui alcuni di consolidata tradizione democratica, come gli Usa.

Al Convegno sono intervenuti tra gli altri anche Mgr. Vincenzo Paglia, Vescovo di Terni e Mario Marazziti, che ha parlato dell�esperienza della Comunit� di Sant�Egidio dopo pi� di un anno dall�inizio della campagna per la moratoria della pena di morte.

Al termine i Parlamentari hanno votato un documento in cui viene chiesta La ''messa al bando totale, immediata ed incondizionata della pena di morte''.

 

Riportiamo integralmente il testo degli interventi di

Mgr. Vincenzo Paglia 

e Mario Marazziti.

 

I Parlamentari Europei contro la pena di morte

Assisi 4 luglio 2000

Intervento di Mario Marazziti - Comunit� di Sant�Egidio

Occhio per occhio e tutto il mondo diventer� cieco. Questa considerazione di Gandhi si applica bene al nostro tema. Come abbiamo sentito, c�� stato un tempo in cui la legge del taglione, la giustizia-rappresaglia, la giustizia retributiva fondata sulla ritorsione-vendetta appariva ed � stato un progresso. Oggi, per fortuna, non � pi� cos�.
Era considerata normale, la pena di morte, mentre oggi interi parlamenti e paesi l�avvertono come qualcosa di barbaro e arcaico.
Per i sostenitori della pena di morte non � sempre neppure chiaro quanto grave debba essere la colpa commessa: uccidere un uomo, uccidere un bianco se di colore, rubare una mucca o una gallina, non pagare le tasse (che ecatombe si rischia!), tradire il coniuge.
Per la prima volta nella storia umana sono oggi pi� di cento i paesi che hanno abolito completamente o de facto la pena capitale, ma grandi paesi come Usa, Cina, India, Giappone, in ampia compagnia di paesi come Egitto, Arabia Saudita, Iran, Irak, ne fanno largo uso.
Tra i diritti umani, quello all�integrit� della vita, anche del colpevole, resta ampiamente negato e questo non � pi� compatibile con il nostro senso democratico e di democrazie, come l�Europa, che percepiscono la propria ragione d�essere nella capacit� di essere diffusive, inclusive.

Oggi, la presenza della pena di morte in larga parte del pianeta, mostra che i diritti umani sono ancora "� la carte". Che si pu� essere eliminati per adulterio o per furto in un paese e non in un altro, che la geografia diventa una variabile decisiva per definire ci� che � umano e disumano. La globalizzazione rende tutto questo ancor pi� insopportabile.
Si tratta di diritti umani "� la carte", "� la carte geographique", e tutto questo ha sempre meno a che vedere con la giustizia. Siamo pieni di statistiche non di parte che mostrano come la pena capitale colpisca otto, dieci volte di pi� per gli stessi reati chi � di colore o minoranza etnica e sociale, chi � povero, nelle democrazie occidentali o le opposizioni sociali e politiche in paesi non democratici.

Ancora, la pena capitale comporta una dose "necessaria", ineliminabile di tortura, perch� c�� una morte annunciata e rimandata nel tempo che arriva mentalmente cento, mille volte prima di arrivare davvero, e che inquina, rendendo largamente inumana, la vita che resta da vivere.
La coscienza del mondo ha preso � almeno ufficialmente � a ritenere disumana la pratica della tortura. E per questo, anche per questo, tra i diritti umani con cui entrare nel Terzo Millennio c�� quello di una giustizia senza pena capitale. Senza legittimazione, di nessun tipo, dell�eliminazione della vita da parte dell�uomo, tantomeno per difendere la vita umana. Paradossalmente, infatti, l�esecuzione capitale, viene a legittimare la cultura e la mentalit� che �nei casi migliori- vorrebbe combattere. Se la vita pu� essere tolta "legalmente", dallo stato, in particolari circostanze, la vita umana allora pu�, in particolari circostanze, essere tolta. O riusciamo a stabilire un confine invalicabile: la vita umana � sacra, non pu� essere tolta, o � solo un problema di circostanze e di quantit� di forza da mettere in campo.
Insomma, mi sembra che la pena di morte si iscriva nello "stato di natura" del mondo e che il mondo, soprattutto dalla seconda met� del secolo in poi e dalla terribile esperienza delle guerre mondiali e della Shoah stia entrando e voglia entrare � pur con qualche ritorno indietro � nello "stato di cultura". In tempi ancora recenti schiavit� e tortura apparivano come normali, e un grande democratico, George Washington, non poteva non utilizzare schiavi neri nella propria casa. Oggi tutto questo appare con chiarezza un armamentario del passato. E la pena capitale comincia ad apparire per quello che �: una disperata o fredda esecuzione di stato, radicata nello stato di natura di un mondo ancora bambino. Ma "la legge, per definizione, non pu� obbedire alle stesse regole della natura. Se l�assassinio � nella natura umana, la legge non � fatta per imitare o riprodurre questa natura. E� fatta per correggerla", osservava Albert Camus, che continuava: "Un�esecuzione non � semplicemente morte. E� diversa dalla privazione della vita almeno quanto un campo di concentramento � diverso da una prigione. Aggiunge alla morte una legge, una pubblica premeditazione conosciuta dalla futura vittima, un�organizzazione che � essa stessa una fonte di sofferenze morali pi� terribile della morte. La pena della morte � concludeva � � il pi� premeditato degli assassinii, con cui nessuna impresa criminale, per quanto efferata, pu� essere paragonata". C�� un prima, dell�esecuzione, che comporta una dose massiccia di atti di "de-umanizzazione", "dis-umanizzazione", perch� sia chiaro (almeno nelle democrazie) che chi si va a uccidere non � pi� un essere umano, ma un parassita da eliminare, sgravando � tentando cos� di sgravare le coscienze � di quanti sono coinvolti e del sistema stesso.
Ogni esecuzione capitale non � mai una "legittima difesa". E� sempre l�uccisione, ex post, a freddo, di una persona che � gi� in stato di cattivit� e da parte di un intero apparato statale. Non so se tutti i presenti lo sanno, ma questo resta evidente persino in Texas e in Oklahoma, dove il braccio della morte � costruito sotto terra, i detenuti vengono tenuti in celle da due con accoppiamenti che esaltano l�odio razziale o sociale o sessuale. Infatti, i certificati di morte, tra le cause del decesso, scrivono "assassinio", e questo viene timbrato dai responsabili e archiviato con ordine.
Allora, se non ve ne fossero altri di motivi (e ve ne sono: � crudele, inumana, inutile, persino inefficace per contenere il crimine: in Canada i reati gravi sono diminuiti dopo la sua abolizione e negli Usa tutti gli stati mantenitori hanno tassi pi� alti di omicidi di quando non facevano esecuzioni. E� spesso ridicola come deterrente, come nell�Inghilterra dickensiana, quando i picpockets erano pi� attivi tra le folle che si accalcavano per assistere all�impiccagione di un pickpocket), dicevo, se non ve ne fossero altri di motivi, basterebbe questo: che lo stato, gli stati, le societ� civili nel loro complesso, sempre, in qualunque circostanza, debbono essere migliori dei cittadini che commettono un crimine.
L�iniziativa della Comunit� di Sant�Egidio parte di qui. Dal contatto diretto con centinaia di detenuti nei bracci della morte americani, russi, nei carceri africani. Dalla convinzione che la pena capitale � sempre una soluzione "militare" a problemi che sono sociali, come mostra lo stesso gigantismo del sistema carcerario americano e, alla fine, il suo fallimento. I due milioni di detenuti, i pi� di 500mila addetti, infatti, fanno dello Stato il pi� importante datore di lavoro dopo la General Motors, ma non rendono migliore gli Usa, n� il solo Texas, dove dal 1994 gli imprigionati per reati di droga sono passati da 41mila a 150mila.
E� un�iniziativa che nasce dall�aver visto il nesso stretto tra le necessit� della pace e la capacit� degli Stati di saper uscire da una concezione della giustizia carica di morte e di vendetta. In questo, l�uscita dai conflitti recenti e l�istituzione di un Tribunale penale internazionale che non prevede il ricorso alla pena capitale tra le sanzioni appare un segnale, un punto d�arrivo della coscienza umana, a mezzo secolo e pi� dalla fine del secondo conflitto mondiale.

Assieme ad Amnesty International, a Nessuno Tocchi Caino, Sant�Egidio ha sviluppato un lavoro specifico che intende mettere a disposizione dei governi, dei parlamenti, dei responsabili che intendono intervenire su questa materia.
Una Campagna mondiale per una Moratoria universale delle esecuzioni capitali, come primo passo verso l�abolizione della pena di morte dalla faccia della terra. L�appello, la petizione ai governi che ne fanno ancora uso, non era pacifico quando � stato lanciato. A molti militanti sembrava che la battaglia per la moratoria fosse rinunciataria. A noi sembrava un obiettivo realistico, un primo, decisivo e ravvicinato passo. E quando il segretario generale di Amnesty International ha firmato il nostro Appello e un protocollo di intesa � stato firmato tra le nostre organizzazioni, questo � diventato di fatto l�obiettivo di tutte le organizzazioni e le istituzioni che si battono per l�abolizione della pena di morte.
Il nostro lavoro � stato ed � in tre direzioni: una, concreta, di vicinanza a chi � nel braccio della morte e di comunicazione con il mondo esterno, perch� vi sia consapevolezza degli abusi e degli errori, perch� si riduca il tasso di inumanit� e di sofferenza nelle case della morte.
Nella creazione di un fronte morale inter-faith, interreligioso, e credenti e laici insieme, mondiale, per la prima volta insieme contro la pena di morte. E� cos� che i leader delle grandi religioni mondiali, molti, hanno sottoscritto e fatto proprio questo appello: intere Chiese protestanti e vescovi cattolici insieme, luterani, episcopaliani, metodisti, leader buddisti e militanti buddisti (abbiamo sentito qui un frammento della straordinaria collaborazione nella campagna da chi mi ha preceduto), ind�, esponenti di rilievo della cultura ebraica, il presidente indonesiano Wahid, in qualit� di presidente della pi� grande organizzazione islamica del mondo, parlamentari europei di ogni provenienza. Un fronte morale inedito e universale perch� chi teme di intraprendere questo passo possa invocare un sostegno etico internazionale alla propria eventuale scelta di moratoria.
Un grande lavoro, di base e di opinione pubblica, insomma, dieci milioni di persone incontrate, con cui ci si � fermati a parlare, per ridurre la zona grigia degli incerti che vedono con favore le soluzioni forti anche se inutili. E due milioni e mezzo di firme, oggi in mano, come arma di pressione, da centoventi paesi,l dell�Unione europea, consegnate questa primavera a Romano prodi e oggi anche vostre.
E un lavoro paese per paese, per raggiungere obiettivi ravvicinati, scarcerazioni, salvare vite umane, ridurre i casi previsti dalla legge per la pena capitale, moratorie locali.
L�obiettivo, oggi, � quello di creare un grande imbarazzo che porti paese dopo paese a una pausa di riflessione, a una sospensione reale di tutte le esecuzioni. E le brecce che si aprono in alcuni stati americani indicano che � una strada che comincia ad avere i suoi successi. Le tredici accensioni del Colosseo, da dicembre 99 a oggi, per rilevanti conquiste della vita contro la pena capitale, testimoniano con la sapienza di questo testimonial e con la forza debole ma nondimeno sempre forza delle tre organizzazioni sponsor qui presenti, Sant�Egidio, Nessuno Tocchi Caino e Amnesty International, che molto si muove e molto � possibile. Oggi di pi� grazie all�Europa.

Che fare, allora, nel prossimo futuro?

Mgr. VINCENZO PAGLIA � Vescovo di Terni

Questo incontro avviene nell�imminenza del Giubileo delle Carceri, una coincidenza non voluto, ma non per questo senza significato, tanto pi� che Giovanni Paolo II, nel messaggio inviato agli Stati e ai Governi, vuole proporre "uno stimolo per la comunit� a rivedere la giustizia umana sul metro della giustizia di Dio". Si tratta senza dubbio di una proposta alta che giustamente non poteva non scuotere le coscienze. E se il messaggio papale investe l�intero sistema carcerario con l�aggiunta della richiesta di un gesto di clemenza, tuttavia la tensione morale che traversa quelle nove pagine di testo si riversa tutt�intera nel tema del nostro incontro. Per parte mia cercher�, con brevi cenni, di inserirmi in questo filone che potremmo dire religioso, lasciando ad altri, ben pi� esperti di me, le riflessioni di ordine etico, giuridico e sociale.
Com�� noto fin le prime pagine della Scrittura si aprono con il divieto di uccidere. Dio, con solennit�, di fronte all�assassino Caino, disse: "Chiunque uccider� Caino subir� la vendetta sette volte". Ma non sempre nelle pagine della Bibbia questo principio sia stato sempre chiaro alle coscienze. La storia di questo tema � stata non poco travagliata. Non � questa la sede per delinearne il tragitto, tuttavia credo si debba dire che la coscienza cristiana odierna � cresciuta in profondit� in questo ambito comprendendo le antiche parole della Scrittura "Non uccidere" nel loro senso pi� autentico dell�intero contesto biblico. Come c�� nella storia cristiana quel che viene tecnicamente chiamato lo sviluppo del dogma, cos� esiste, direi a maggior ragione, un�approfondimento della coscienza relativamente ad alcuni temi. Non comprendere questom porta ad una lettura fondamentalista della Scrittura, ma soprattutto dimentica che il cristianesimo � una rivelazione storica e, come tale, non si affida ad asserti teorici ma ad una progressiva rivelazione divina. Tutto ci� non nega evidentemente che gi� nella Scrittura ci siano elementi che paiono essere contraddittori. Tuttavia nell�intero itinerario della Bibbia vi � come lo snodarsi di un filo rosso che manda segnali molto chiari e precisi. Si tratta di dichiarazioni sistematiche che vengono progressivamente ribadite e che fanno parte di questo processo evolutivo della Rivelazione.
Vi � una prima e grande dichiarazione relativamente all�uomo. E� quella che potremo chiamare l�antropologia biblica. L�uomo, nella Scrittura, � sempre considerato come un essere che ha in s� una radice trascendente. E� una delle grandi verit� bibliche che pur nelle contraddizioni viene sempre sostenuta. L�uomo non pu� mai essere chiuso nell�orizzonte del finito. E� la grande affermazione dell�uomo fatto ad immagine di Dio. Nel libro di Giobbe si scrive che Dio e solo Lui, ha in mano l�anima di ogni vivente, e solo Dio perci� pu� decidere quando troncarlo. Questa dimensione teologica dell�uomo non viene mai cancellata. Nel libro della sapienza si legge: "Tu Signore risparmi tutte le cose, perch� tutte sono tue, o Signore amante della vita". E subito dopo fa un esempio: Dio avrebbe potuto eliminare gli egiziani in maniera radicale e totale, i nemici per eccellenza di Israele, ed invece li ha puniti solo parzialmente perch� doveva insegnare ai suoi figli ad amare anche i nemici. Insomma l�etica veterotestamentaria ha un riferimento sempre trascendente.
L'episodio basilare a considerare si trova nel libro della Genesi (4, 9-16). Il Signore denuncia quello che Caino ha fatto: "si sente il sangue di tuo fratello chiedermi dal suolo" (v. 10). Il sangue versato di Abele � un attentato ai diritti di Dio che � l'unico Signore della vita. E Dio non scusa l'azione omicida di Caino, dominato per la malvagit� ed � bandito dalla terra, si trasforma in un fuggiasco. La terra per lui � maledizione. Dovr� vagare per il mondo, incapace di sopportare il suo crimine. Caino stesso si d� una sentenza di morte quando dice: "chiunque mi trovi mi ammazzer�" (v. 14). Il primo assassino applica a s� stesso la legge del taglione, non come qualcosa desiderata, bens� come qualcosa di inevitabile ed evidente. Caino deve morire perch� ha ammazzato.
Ma Dio non lo maledice. Al contrario, vuole che contini in vita, non desidera che il suo sangue sia "legittimamente" versato: guai a chi tocca Caino! La volont� divina di salvare Caino rimane sottolineata con un segno che indica difesa e protezione. La giustizia del Signore non si attua con la morte di Caino. C�� qui una reazione alla legge del taglione che imponeva di ammazzare Caino. Se Caino non � stato capace di conservare la vita di Abele, il fratello piccolo, il Signore, invece, sar� guardiano della vita del primo nato nella terra. Il Signore ha misericordia della vita di Caino secondo quel principio che unifica le prime pagine del testo biblico: il Dio creatore � il Signore della vita. Egli aveva proibito all'uomo di mangiare del frutto dell'albero della conoscenza del bene e del male (Gn 2, 17), ma quando l'uomo lo mangi� Dio non lo fece morire, andando cos� contro quello che egli stesso aveva decretato. Del resto Eva attribuisce la nascita di Caino alla forza creatrice di Dio. Ed � qui che risiede la ragione ultima della salvezza del perch� Caino non deve morire: ogni uomo � procreato "col favore del Signore" (v. 1). Contro il principio della proporzione della pena (il male si paga con male, il sangue si aggiusta con pi� sangue) si stabilisce il principio della sproporzione della colpa (l'odio non pu� ripararsi con pi� odio). Contro una prassi di morte (ad una morte gli corrisponde un'altra morte) si instaura una prassi di vita, basata e praticata da Dio stesso.
Certamente, nella storia sociale e religiosa dell'umanit� la vendetta di sangue sar� un "ritornello" costante, giustificato con molte e diverse ragioni. La stessa Bibbia testimonia la validit� che ha per molti la legge del taglione come norma inattaccabile di giustizia, come retribuzione di stretta proporzionalit�. Nella Bibbia, la legge del taglione � formulata nell'episodio dell'alleanza di Dio con No�: "Chi versa sangue di uomo, per un altro uomo sar� il suo sangue versato"(Gn 9, 6). E� evidente la considerazione su cui si basava, ossia che l'uomo � creato ad immagine di Dio, e che la sua vita � sacra perch� riflesso di Dio stesso.
Bisogner� aspettare il Vangelo perch� la vendetta venga esautorata e la legge del taglione eliminata grazie alla proclamazione di una giustizia maggiore. In una parola, con Ges� si recupera quello che il Creatore volle fin dall'inizio e che la malizia degli uomini aveva rovinato. Ges� dice no alla legge del taglione, ossia alla vendetta soggiacente nel principio occhio per occhio, dente per dente, qualificato come dottrina degli antichi, che andava superata. Con il Vangelo si pone la base definitiva del non alla pena di morte. E si collega ad un filo rosso che traversa tutta la Scrittura, sin dall�inizio, quando Caino viene preservato dalla morte, e No� dal diluvio, e Ismaele nutrito nel deserto, e Giacobbe liberato dall'ira di Esa�. Anche Giuseppe, il figlio di Giacobbe, si riconcilier� con i suoi fratelli che avevano cercato di ucciderlo. E poi Davide, perseguito da Saul, si rifiuta di giustiziarlo con le proprie mani. Anche Eliseo, dopo avere accecato i soldati aramei che volevano ammazzarlo e di condurlo fino alla citt� di Samaria, non permette che il re di Israele li stermini; al contrario, ordina che siano rifocillati e rimandati in libert�. Dopo questo gesto di clemenza gli aramei smisero di invadere la terra dell'Israele (2Re 6, 23). L'atteggiamento di Eliseo port� frutto per tutto il paese.
Ges� propone un nuovo principio, del tutto diverso dalla proporzionalit�: la cultura dell'amore come forma giusta di relazione tra le persone. Questo principio trova le sue radici nella giustizia di Dio. Dio � giusto non perch� condanna ma perch� difende e salva il debole e l�afflitto, l'orfano e la vedova, lo straniero e chi � senza aiuto. Il culmine della giustizia di Dio non � la pena inappellabile ma il perdono concesso per chi � compassionevole e benigno. Questo filo conduttore che attraversa tutto l'Antico Testamento, collega i profeti ed i salmi con Ges� di Nazaret. Nel ministero del profeta galileo si apre una nuova giustizia che si esprime nel perdono, la riconciliazione ed una nuova comunione tra le persone. La frase ama il tuo prossimo come te stesso, che Ges� estrae del libro del Lev�tico (19, 18), si trasforma nel secondo comandamento della nuova Legge e suppone un non deciso alla vendetta. In realt�, nella prima parte del versetto del Lev�tico si dice: non ti vendicherai n� serberai rancore ai figli del tuo paese. La vendetta � l'antitesi dell'amore al prossimo e, pertanto, la legge del taglione, basata nella retribuzione stretta, si scontra con il comandamento dell'amore. Ed � significativa la risposta di Ges� a Pietro che gli chiede se deve perdonare sette volte. Ges� risponde capovolgendo l'affermazione orgogliosa e violenta di L�mec (Gn 4, 24), non solo sette volte ma settanta volte sette.
In questa luce si pu� leggere la singolare interpretazione di Borges sull�episodio di Caino e Abele. Borges, immaginando che i due fratelli ad un certo punti si ritrovino, fa dire ad Abele: "Sei stato tu che hai colpito me, o io che ho colpito te?" In quel momento la dimenticanza per amore fa rinascere.
C�� una prima riflessione da fare per chiarire l�equivoco in cui cadono coloro che sostengono essere presente nella Bibbia la pena di morte. Direi anzitutto che nella Bibbia ci sono alcune delle contraddizioni che accompagnano la coscienza umana ma che man mano cresce la storia dell�ascolto di Dio cresce e si purifica per cos� dire la stessa dottrina. Se per un verso c�� la condanna di chi uccide Caino, per altro verso la presenza della pena di morte sembra un fatto scontato. Ad esempio il comandamento "non uccidere" non � posto in modo cos� radicale da escludere qualsiasi uccisione. Il conteso porta a dire che si tratta solo dell�esclusione dell�assassinio. Questo anche per la povert� del vocabolario dell�ebraico biblico, appena 6750 parole. Scorrendo le pagine bibliche ci imbattiamo pi� volte nella presenza della pena di morte. In Israele la pena di morte, seppure molto ridimensionata rispetto agli altri codici orientali, era inflitta per i reati contro la vita, contro la religione e contro la famiglia. Va anche notato che era importante il coinvolgimento di tutti all�esecuzione. Non vi era solo l�esecutore, ma tutti dovevano essere partecipi di quella morte. E in questo c�� forse un aspetto che alla fine pu� aiutare a maturare lo scandalo per la condanna a morte. Si potrebbe inserire qui il testo famoso di Camus quando riferisce del padre che, dopo aver partecipato ad una esecuzione, sente una profonda lacerazione interiore che non pu� essere facilmente ricomposta.

LA BIBBIA E LA PENA DI MORTE

A proposito della pena di morte possono stabilirsi fondamenti giuridici, di ambito sociopolitico, o fondamenti filosofici, vincolati con l'etica, ma, indubbiamente � nel mondo religioso dove i vincoli risultano pi� significativi: i motivi religiosi sono fondamentali per dire non alla pena di morte. Lo sono perch� molti ricorrono precisamente alla Bibbia o a principi religiosi per cercare la giustificazione della pena capitale. Un caso emblematico sono gli Stati Uniti di America dove molti governatori e giudici che l'applicano si dichiarano cristiani ed alcuni incluso fanno campagna a beneficio della pena di morte. Pertanto, il testo biblico deve parlare per se stesso affinch� rimanga verificato il nostro punto di partenza: la pena di morte contribuisce a mantenere lo spargimento di sangue, e, in conseguenza, non concorda al bene caro per Dio n� al bene che qualunque uomo pu� desiderare.

  1. Il comandamento divino di "non ammazzare"

  2. La pratica dei dieci comandamenti o decalogo � la risposta di Israele al Dio dell'alleanza. Quando Israele arriva dal Sina�, il Signore lo si manifesta spettacolarmente (Ex 19, 16), e quando si produrce questa manifestazione (Ex 20, 18) il paese riceve di lui i comandamenti (vedere ugualmente Dt 5, 2-5). Perci� i comandamenti non sono qualcosa di estrinseco o imposti da fuori ma plasmano le esigenze dell'alleanza. Esprimono la volont� di Dio, formulandola e comunicandola affinch� sia accolta, vissuta e praticata. I comandamenti si basano su Dio stesso e per questa ragione possiedono un carattere assoluto. Sono pilastri, principi. In concreto, il "non ammazzare" traduce, con una formula proibitiva, il carattere sacro della vita e di qualunque vita. Bobbio afferma che il rispetto alla vita � un principio indiscutibile che proviene dal comandamento "non ammazzare."
    Chi ammazza si crede con potest� per disporre della vita dell'altro. Ammazzare implica sempre il trionfo della violenza, bench� sia sotto l'apparenza dal diritto. Per questo, di entrata ammazzare ripugna, ma, invece, sorgono in molti non pochi dubbi sulla convenienza di farlo in certe occasioni e sotto certe condizioni. Ad un'atteggiamento temporeggiatrice verso la pena di morte, applicata con cautela ed in certi casi estremi, si contrappongono i cinque enunciati seguenti che scompaginano di modo assoluto le implicazioni del quinto comandamento: a) ammazzare un uomo � ammazzare l'immagine di Dio (Gn 1, 27); b) ammazzare un uomo � usurpare quello che � prerogativa di Dio, il giudizio finale e definitivo su qualcuno, poich� la morte � sempre irreversibile; c) la morte per esecuzione implica il rischio di errore, poich� pu� togliersi la vita ad un innocente oppure l'assassino pu� avere le sue capacit� mentale diminuite o transtornate; d) ammazzare � utilizzare la massima violenza contro qualcuno, ma dobbiamo domandarci fino a che punto � legittimo usare la forza; e) ammazzare � rovesciare il senso della vita come tale che non � mai la morte bens� la stessa vita: Dio � Dio di vita. Questa � la sua volont�.
    Di quale forma il comportamento di Dio, come lo troviamo nella Bibbia, avalla la forza del "non ammazzare?" La prima risposta si trova in lui stesso che � fonte di giustizia e di perdono, che � datore di vita. In virt� di questo principio, la cosa pi� grave, come la morte/assassinio del fratello di sangue (Caino che ammazza Abele) (Gn 4,8), e la cosa pi� insignificante (irritarsi con l'altro) (Mt 5, 22) meritano una valutazione simile: c'� un non assoluto alla morte in tutte le sue forme.

    1. Dio � Signore della vita

    1.2. � possibile non ammazzare?

    Approfondiamo nel quinto comandamento. La proibizione di ammazzare un altro essere umano � iscritta nel cuore di ognuno. Se c'� qualcosa di personale, � la vita e la nostra condizione di esseri vivi. La persona umana sussiste mentre c'� vita, e per questo motivo il cristianesimo che proclama la sua fede nell'altra vita, concede in questo alla persona un gran valore, una totale dignit�. Non � legittimo, dunque, disporre della vita dell'altro. � una conclusione che si impone per lei stessa, poich� ha forza di premessa: il rispetto alla vita dell'altro � un dato previo, una delle prime evidenze che esistono nella coscienza umana e che le leggi sanzionano con ogni rigore. Nonostante, il rispetto dovuto alla vita dell'altro � stato calpestato moltissimi volte nella storia degli uomini. La trasgressione della vita ha accompagnato molti momenti della relazione tra gli esseri umani, i quali, in non poche occasioni, hanno agito come esseri realmente inumani, ammazzando per il gusto di ammazzare, in maniera accanita e senza scrupoli. Ammazzare si � convertito in un commercio ed un divertimento; ad alcuni pagano loro per farlo, altri lo fanno senza nessuna coscienza, come il bambino-soldato, programmati e violentati nella cosa pi� intima del suo essere. Ci sono tante ragioni per ammazzare, se rivuole ammazzare! Ma la ragione principale � l'odio ed il disprezzo. Nessuno amazza se, in fondo, non odia o umilia o esclude o degrada la sua vittima. Di tutti � conosciuto che, davanti all'opinione pubblica, i condannati a morte sono presentati spesso come mostri di malvagit�, animali assassini, individui che non meritano il nome di persone. Con questo, � facile mettersi di accordo che devono essere eseguiti, come si darebbe morte ad una tigre furiosa o ad uno squalo assetato di sangue.
    L'odio, dunque, � il denominatore comune della relazione che si stabilisce tra chi ammazza o fa ammazzare e la persona che perde la vita. L'odio si trova nella radice di qualunque omicidio o esecuzione. Chi ama, non ammazza. Chi odia, non pu� smettere di ammazzare se questo odio diventa insopportabile, onnipresente, senza uscite. Pertanto, non � sufficiente ricordare il quinto comandamento del decalogo (non ammazzerai); dobbiamo domandarci come pu� osservarsi questo comandamento. Ges� si porsi questa stessa questione nel Sermone della Montagna e gli dedica la prima delle chiamate sei antitesi (vedere Mt 5, 21-26). Il punto di partenza di questo testo evangelico � il seguente precetto: la Legge promulgata per Dio nel Sina� proibisce che qualcuno disponga della vita dell'altro, e chi trasgredisca la Legge dovr� andare a giudizio e sar� condannato per il tribunale (v. 21). Naturalmente non viene specificato in che cosa consister� la pena: in realt�, il protagonista del Nuovo Testamento � un uomo, chiamato Ges� di Nazaret, condannato a morte e giustiziato! Il riferimento sembra essere espressamente ambiguo. Ma a Ges� non gli interessa quell convinto di omicidio e le sue conseguenze penali; gli preoccupano le premesse che l'istigano e lo provocano. Per lui deve rimanere in evidenza l'importanza del conflitto, del confronto, dell'odio, della violenza convertita in una spirale che porta, fatalmente, all'eliminazione fisica dell'altro. Ges� lo concentra tutto sulla violenza verbale e cita tre casi di progressione ascendente: irritarsi, insultare, maledire. Di entrata, sembra che esageri: � tanto decisivo arrabbiarsi con qualcuno? Non � moneta corrente e giornaliera discutersi o arrabbiarsi con un'altra persona? Senza dubbi! Perch�, agli occhi di Ges� la facilit� con la quale c'irritiamo contro qualcuno non diminuisce l'importanza del fatto ma l'aggrava. Irritarsi contro un'altra persona � tanto grave come ammazzarla: notiamo che in entrambi i casi si dice che il trasgressore sar� condannato per il tribunale (paragoniamo Mt 5, 21 e 5, 22). E bench� Ges� non capisca che si tratti di una condanna alla pena capitale, insiste in che la gravit� � la stessa in un caso e nell'altro. Nella seconda ipotesi, cio�, che qualcuno insulti ad un altro che lo disonori con una parola offensiva, questo tale diventer� meritevole di un verdetto di condanna emesso per il Sinedrio, l'istituzione pi� alta del paese ebreo, quello che ora chiameremmo la corte suprema. La sproporzione tra colpa e pena, accentuata per Ges� non senza una certa dose di esagerazione ed ironia, arriva al punto culminante nella terza ipotesi: quello della maledizione dell'altro. Se la violenza verbale arriva fino al punto di maledirlo, cio�, di attrarre sull'altro il peso della maledizione divina, di considerarlo un ribelle contro Dio, allora la maledizione girer� contro chi la proferisce, e questo tale diventer� meritevole della condanna eterna. Quello che aveva chiesto per l'altro, maledicendolo, ora ricade su lui stesso: Dio condanna al violento che maledice e prende in vano il suo nome, dandogli quello che egli, nella sua violenza, chiedeva per l'altro.
    Il vangelo � diretto e concreto: qualunque forma di odio � inammissibile, bench� non arrivi all'aggressione fisica (solo verbale) e bench� sia incipiente e comune (quante volte alla settimana non ci arrabbiamo contro qualcuno!). La violenza contro l'altro che si traduce nell'omicidio, � un'esplosione di odio che deve essere evitata dal primo momento. Una bomba non esplode se non si infiamma l'animo. Un bosco non arde se non salta una scintilla. Di modo simile, l'omicidio non arriva a consumarsi se l'odio ed il confronto non si accendono nel cuore degli uomini. Non ammazzare � possibile se prima si � ammazzato la radice dell'omicidio, se il sentimento di irritazione o le parole di insulto o la maledizione non germogliano del cuore, il posto di dove escono precisamente gli assassini (vedere Mc 7, 21). Se l'odio non cresce nel cuore dell'uomo, se l'intenzione malvagia di attacco e violenza rimane eliminata dentro lui, non ci sar� volont� n� desiderio di eliminare nessuno. La maniera di soffocare in noi qualunque inizio di omicidio � sostituendo il confronto per il perdono. Nell'antitesi del Sermone della Montagna che stiamo commentando (vedere ora Mt 5, 23-24) Ges� espone il caso di chi, nel momento di compiere i suoi doveri religiosi e presentare l'offerta davanti all'altare, si rende conto che � affrontato con suo fratello, o, per meglio dire, si ricorda che l'altro -magari senza nessuna colpa da parte sua - � affrontato con lui. Per Ges�, la situazione non presenta il minore dubbio: l'offerta a Dio pu� sperare. Prima, quelli che erano affrontati devono perdonarsi e riconciliarsi: vai in primo luogo a riconciliarti con tuo fratello, dice il vangelo (v. 24). L'antitesi dell'omicidio � il perdono. Mentre l'omicidio era la conseguenza inevitabile dell'odio e della violenza, la riconciliazione � il risultato del perdono offerto e della pace ritrovata. Dobbiamo scegliere tra un mondo che perdona e lascia vivere ed un mondo che odia e porta alla morte.

  3. La legge del taglione ed il vangelo

  4. La chiamata legge del taglione che si formula abitualmente con l'espressione occhio per occhio, dente per dente � anteriore alla stessa Bibbia. Appare gi� nel Codice di Hammurabi (secolo XVIII A.C.) e riappare posteriormente in altre compilazione legislative dell'oriente antico, tra le quali si include la legislazione israelitica (ver Ex 21, 23-25; Lv 24, 18-20; Dt 19, 15-21; 25, 1-12).

    2.1 la pena di morte nell'Antico Testamento

    In base a queste considerazioni elaborate a partire dagli undici primi capitoli del libro del Genesi che sono il racconto primordiale o delle origini, possiamo situare meglio un dato che percorre tutto l'Antico Testamento: la validit� legale della pena di morte applicata in virt� della legge del taglione. Si � detto e ripetuto che questa legge, nella misura in cui stabilisce una pena proporzionata al crimine o delitto, rappresenta un avanzamento notevole in relazione con la vendetta di sangue illimitato. Cos�, la normativa riferita alle colpe sanzionate con la pena di morte nel chiamato codice dell'Alleanza (Ex 20, 22 - 23, 19) incomincia con questa prescrizione: Quello che ferisca mortalmente un uomo, morr� (Ex 21, 12). Nonostante, questa prescrizione non si applica meccanicamente ed assolutamente. Solo si pu� parlare di omicidio quando ci sono premeditazione e piena intenzionalit�, cio�, quando l'omicidio � volontario. Nel caso che non lo sia, quello che commette l'omicidio pu� ospitarsi in posti sacri (altari o santuari) o posti protetti (citt� di rifugio) e cos� salvare la vita: Dio gli garantisce la sopravvivenza come nel caso di Caino. Per questo l'omicidio di un ladro nell'oscurit� della piena notte (Ex 22, 1) o la morte di qualcuno da parte di un animale che attacca senza avvisare (Ex 21, 28) non sono penalizzati con la morte dell'omicida o del proprietario dell'animale, rispettivamente. La volontariet� � un criterio necessario per applicare la legge del taglione ai crimini di sangue. Se questa volontariet� piena non pu� provarsi, neanche pu� applicarsi la pena di morte. Invece, merita la morte chi ammazza a tradimento, portato per l'odio contro l'altro (Ex 21, 14), l'israelita che offre sacrifici ai dei (Ex 22, 19) e rinnega cos� il suo Dio, e lo sposato che mantiene relazioni sessuali con una sposata (Lv 20, 10). Si tratta dei tre peccati maggiori (omicidio, idolatria, adulterio) che ricevono la pena massima nell'Antico Testamento. Ad ogni modo, potremmo domandarci se in questi tre casi la massima pena, la pena di morte, si proporre come soluzione proporzionale oppure semplicemente, indica ed esprime la massima gravit� di queste tre mancanze. Si tratta di tre attentati, rispettivamente, contro il diritto umano alla vita, il diritto di Dio ad essere riconosciuto come tale ed il diritto di un sposato a non essere violentato nella relazione umana pi� sacra, la relazione matrimoniale. La pena di morte segnala quelle azioni come azioni di morte e che portano alla morte, poich� si allontanano dal progetto di Dio che � un progetto di vita. In questa stessa linea, ed oltre una proporzionalit� stretta, si decreta pena di morte a proposito del sacrificio di un figlio ad una divinit� (Lv 20, 2), le pratiche di magia o stregoneria (Ex 22, 17), il sequestro e vendita di un altro israelita come schiavo (Ex 21, 16) e la violenza esercitata contro i propri genitori, maledicendoli o bastonandoli(Ex 20, 12; 21, 15; Lv 20, 9).
    Difficilmente, dunque, pu� presentarsi l'Antico Testamento come esempio di applicazione stretta del principio di proporzionalit�, base della legge del taglione. In altre parole, la Bibbia integra la legge del taglione, anteriore nel tempo, ma sottolinea il principio soggiacente a questa legge, cio�, il principio di responsabilit�. In secondo posto, sembra che nella Bibbia la pena di morte sia indizio della gravit� della colpa pi� che una conseguenza, strettamente paritaria, della colpa commessa: l'aggressione ai propri genitori � un chiaro esempio. Pertanto, possiamo salvaguardare la gravit� di un'azione delittuosa o criminale senza dovere applicare la legge del taglione e ricorrere alla pena di morte, la quale, come si apprezza in alcuni dei casi citati anteriormente, non si proporse sempre in termini di proporzionalit� o retribuzione ineludibile.

    2.2. Ges� dice non alla vendetta

  5. Vivere oltre l'odio

A nome dell'intimidazione, cio�, dell'applicazione della pena di morte come esempio disuasorio, molti pensano che pu� darsi certificato di cittadinanza acquisita alla pena capitale. Ma, non sono solamente le statistiche quelle che mostrano che non c'� relazione tra l'aumento delle sentenze di morte e la diminuzione della criminalit�: l'applicazione della pena di morte non contribuisce alla riduzione degli omicidi. La questione ad esporre concerne al valore e gli effetti di una cultura della giustizia violenta. Questa cultura si basa nei sentimenti di vendetta che mirano qui e l� nella societ� e che, in definitiva, risultano legittimati quando il diritto penale di un paese include la possibilit� della pena di morte. Cio�, quelli che difendono il principio della prevenzione generale (la pena di morte come punizione esemplare) devono domandarsi fino a che punto un'esecuzione capitale non alimenta di facto la cultura della violenza istituzionalizzata e, pertanto, fomenta l'odio. La vita umana sulla terra, deve sostentarsi sull'odio e la vendetta distruttori oppure su quello che costruisce, cio�, sull'amore e la povert�? Che cosa guadagna l'umanit� eseguendo un assassino? A volte si stimolano sentimenti di vendetta, come se lo spargimento di sangue dovesse calmare un'inquietudine, come se dovesse mettere un'altra volta le cose nel suo posto. Si tratta di un'impressione erronea. Togliere la vita a qualcuno, n� che sia il pi� grande degli assassini, � togliere vita all'umanit� nel suo insieme. Per questo Ges� si trasforma in punto di riferimento perch� egli � un appassionato della vita che dice di s� stesso: Io sono venuto affinch� le pecore abbiano vita e l'abbiano in abbondanza (Jn 10, 10).

3.1. Ges� come esempio

Ges� non si pronuncia in maniera esplicita contro la pena di morte nella cornice dell'ordinazione giuridica del suo tempo. Si manifesta, invece, e con forza, contro una punizione divina che comportasse l'eliminazione fisica di qualcuno. Una volta ha incominciato la salita a Gerusalemme, Ges� fa strada accompagnato per i discepoli. Alcuni messaggeri lo precedono con la missione di preparare il suo arrivo. Entrano in un paese di samaritano e questi si rifiutano di accoglierlo: il pregiudizio etico e religioso, la vecchia inimicizia risorge. Immediatamente, due buoni ebrei, i fratelli zebedei, Giacomo e Giovanni, discepoli di Ges�, entrano nella spirale dell'odio e propongono una punizione esemplare che Dio stesso avallerebbe. � intollerabile, il rifiuto del Messia che Dio invia! La vendetta domina quei due uomini che reclamano la morte dei samaritani: vuoi che diciamo che scenda fuoco dal cielo e li consuma? (Lc 9, 54). Ma quell camino di Ges� verso Gerusalemme che � di passione e di debolezza, non pu� incominciare con un atto di arroganza e di forza prepotente. Sarebbe un controsenso clamoroso: Ges� non � il profeta trionfante che distruggerebbe i suoi nemici e mostrerebbe cos�, in maniera esemplare, il suo potere. Nella sua strada non sta la morte di nessuno, eccetto la sua: l'esecuzione capitale di Ges� si convertir�, paradossalmente, in fonte di vita e di speranza per l'umanit� intera. Con la sua sentenza a morte, realizzata mediante una cruenta crocifissione, Ges� condanna tutte le sentenze di morte della storia. Lui carica su s� stesso il peccato del mondo, l'odio e l'ingiustizia, poich� li soffre nella sua carne, e nega loro cos� ogni tipo di validit�. Per questo, davanti alla petizione di Giacomo e Giovanni, reagisce energicamente e sgrida i due discepoli. La morte del nemico non � una strada cara per Dio. Il cielo non si deve aprire affinch� scenda un fuoco mortale che stermini gli uomini; al contrario, si � aperto affinch� l'umanit� riceva il perdono e la pace che spera e necessita.
In maniera simile, l'ultima scena nella quale troviamo insieme Ges� ed i suoi discepoli, giustamente quando incomincia la passione, nell'orto di Getseman�, � un momento di violenza possibile, ma paralizzata ed evitata. Anche qui, nell'istante della detenzione tutti quelli che Ges� gli fanno una proposta: feriamo a spada? (Lc 22, 49). Giuda � arrivato con un gruppo di gente armata e ha baciato, tradendolo, il Maestro. Il bacio di Getseman� � un'aggressione, un gesto di odio e non di amore, un segno di rifiuto e di morte, sotto l'apparenza dell'amicizia e dell'affetto. Con questo bacio i guardiani, armati, procederanno a fermare Ges�. La replica sembra chiara: respingere l'aggressione, rispondere all'odio con pi� odio. Ma Ges� vuole preservare i suoi discepoli dal male: il male deve essere vinto col bene. Dopo che uno che l'accompagnano ferisce con la spada ad un uomo del gruppo che � venuto per fermarlo, Ges� cura questo uomo che aveva perso l'orecchio destro. In un momento, la violenza rimane sostituita per la compassione ed i discepoli imparano una lezione fondamentale: � necessario vivere oltre l'odio, fino a quando la violenza sembra essere l'unica uscita.
L'esclusione dell'odio arriva al suo punto culminante nel momento della crocifissione. L�, nel G�lgota, assistiamo alla messa in scena della condanna a morte di un innocente, eseguita senza nessuna considerazione. Crocifisso tra due criminali, Ges� si rivolge a Dio, il Padre, e riferendosi ai boia e tutti i responsabili di quell'ingiustizia, dice: Padre, perdonali, perch� non sanno quello che fanno (Lc 23, 34). � un discorso breve che esprime i sentimenti che c'� nel cuore del quale la pronuncia: sentimenti di comprensione e di benedizione per quelli che l'hanno portato alla morte. � qui come una purificazione dell'amarezza per quello che Ges� ha passato e passa. Ges� soffre il supplizio della croce senza permettere che l'odio, in nessuna delle sue forme, arrivi ad entrare nel suo cuore. C'� una pace che sorge da un cuore senza odio n� vendetta. � una pace offerta a tutti: a chi ha ammazzato ed a queli che condannano a morte, a quelli che sono vittime della violenza ed a quelli che chiedono pi� violenza. C'� nel discorso di Ges� nel G�lgota un investimento essenziale: i nemici, i responsabili della sua morte, non sono trattati come nemici, n� di Dio n� degli uomini. Qualcuno a chi Dio stesso perdona, non meriter� il nostro perdono?
Nel G�lgota arriviamo alla domanda essenziale: Chi � un condannato a morte? La risposta pare chiara: un nemico di tutta la societ�. Ma Ges� afferma: Amate i vostri nemici, fate bene a quelli che vi odiano (Lc 6, 27). Cio�, trattate i nemici come trattereste gli amici, non li malediciate, pregate per essi, non scarichiate su essi la vostra violenza, non li condanniate. Bench� abbiano calpestato, magari, le leggi pi� sacre, non facciate loro oggetto del vostro odio, n� che sia a nome di un ordine sociale che dovrebbe rispondere e difendersi con una legislazione inappellabile. Ges� non propone il rifiuto del nemico; invita a considerarlo un essere umano, propone comprenderlo spesso nella sua umanit� scardinata, vuole trattarlo come prossimo. Le parole di Ges� nella croce a proposito dei nemici ci fanno guardare ogni uomo, fino al condannato a morte, con un sguardo di povert�.
Questo � lo sguardo che Ges�, un condannato a morte, rivolge ad un altro condannato a morte, il suo compagno di supplizio. Delle tre croci impalate nel G�lgota, Ges�, l'innocente, occupa quella del mezzo, mentre i due criminali crocifissi con lui si trovano ad entrambi i lati. Si tratta di un'immagine tristemente frequente: nei corridoi della morte aspettano mischiati uomini colpevoli ed uomini innocenti. Uno dei due criminali riprende Ges� e l'ingiuria, pieno di amarezza. � un uomo disperato. L'altro, invece, costruisce una storia di amicizia con Ges�, necessariamente breve ma intensa. Per lui, Ges� non � un Messia che non sa fare da Messia, non lo ridicolizza n� lo sottovaluta. Al contrario, Ges� � una persona amica, solidale in una stessa pena, nonostante la sua radicale innocenza, riconoscente senza rancore: questo niente cattivo ha fatto (Lc 23, 41). Pi� ancora, quell'uomo che riconosce la bont� di Ges� e la sua intimit� con Dio, chiede al Messia crocifisso che non l'abbandoni che si ricordi dopo di lui, quando entri nel suo Regno. Il criminale amico di Ges� morr� come egli ed entrer� con lui nel paradiso. La storia di amicizia tra quelli due condannati a morte culminer� presto, dopo l'esecuzione, e durer� per sempre. Per Ges�, quell'uomo non � un criminale che riceve quello che meritano i suoi atti. A Ges� non gli interessa il male che quell'uomo ha fatto anteriormente bens� il bene che cerca ora, l'amicizia che necessita, il futuro nel quale crede. Quello criminale non � un nemico, indegno di ricevere e chiedere misericordia. Cerca la vita e diventa meritevole di lei: il paradiso non pu� essere negato ad un amico! Ges� raccoglie la speranza di quell'uomo e gli d� il tesoro che desidera. Aprendogli le porte del paradiso, lo perdona, e perdonando glielo apre il camino della vita. Quel criminale vede cos� non commutata la sua pena di morte per l'ergastolo bens� per la libert� del Regno del Padre. La condanna di morte pi� clamorosamente ingiusta della storia trova il suo contrappunto in un perdono dato all'amico pentito e riconciliato che passa veloce per la morte ed entra allegro nella vita.
Il condannato a morte, colpevole o a volte innocente, � un povero del Signore, un uomo che, in parole di Sister Helen Prejean, si trasforma nel viso vivo di Ges� Cristo e, pertanto, non pu� essere considerato un nemico che debba eliminarsi. Al contrario, nel vangelo si menzionano i pi� piccoli del Regno, gli indifesi e bisognosi di ogni tipo, alcuni dei quali stanno nel carcere (Mt 25, 36). E Ges�, riferendosi a quelli che si avvicinano a quegli imprigionati ed a quelli che si trovano nel corridoio, dice loro: E veniste a vedermi. Dietro ogni prigioniero, dietro ogni condannato a morte � il viso del crocifisso, sdegnato, emarginato tra gli uomini, avuto per un frustato, ferito di Dio e vilipeso a chi hanno imprigionato e condannato, in espressioni del Quarto Cantico del Servo (Is 53, 3.4.8). La passione di Ges�, il Signore, continua nella passione di molti e di molte il cui camino di scherzi, torture ed umiliazione rimane associato al via crucis del venerd� Santo. Depredati della sua umanit�, sono come un verme agli occhi di molti, secondo le parole del salmo 22 applicate alla passione di Ges�: invece Io sono verme, non uomo (v. 7). Risuonano, come contrappunto, le parole di un altro salmo, il 72, che spiegano l'itinerario di Ges�, quello che passer� per tutti i posti facendo il bene: Perch� liberer� il povero supplicante, allo sfortunato ed a chi nessuno protegge; si impietosir� del debole e del povero, salver� la vita dei poveri. La riscatter� dell'oppressione e la violenza, considerer� il suo sangue prezioso (vv. 12-14).

3.2. Il perdono � il centro del vangelo

C'� un testo nei libri sapienziali che si riferisce, con gran convinzione, ai mali derivati del rancore, compagno di viaggio dell'ira, la vendetta e l'odio. In maniera lapidaria sentenza: Pensa al tuo fine e smette gi� di odiare (Se 28, 6). Dello stesso modo che arriva loro la morte e la corruzione a tutti, a tutti deve arrivare il perdono, afferma il testo biblico. L'unico ricordo che vale la pena � il ricordo della povert� di Dio. Ci sono molti altri ricordi che rovinano il cuore e distruggono lo spirito. L'uomo che perdona la vita ad un altro rimane nobilitato davanti a tutti e diventa meritevole del perdono del Signore. In effetti, Dio, il Padre, perdona le colpe a chi � stato capace di perdonare a quelli che l'hanno offeso. Cos� la manifesta Ges� nel discorso che propone ai suoi discepoli: e perdonaci le nostre offese, come noi perdoniamo a quelli che ci offendono (Mt 6, 12). Questo � il nodo centrale della nostra risposta alla misericordia di Dio. Chi pu� dire che non ha colpa? Chi pu� agire al margine dal vangelo della grazia? Chi pu� condannare senza paura ad essere condannato, in virt� di una legislazione che passa da lontano del vangelo? Davanti a Dio tutti gli uomini sono uguali e hanno bisogno dello stesso perdono. Ma la ferita interna deve essere guarita. Quello che potendo perdonare, non perdona, e potendo non condannare, condanna, mantiene aperta una ferita che li toglie umanit�. Decretare la pena di morte non � solo giudicare di accordo con un codice legale, bens� giudicare col cuore, l'intenzione e la volont�, quello che appartiene solo a Dio. Dice Ges�: non giudichiate, affinch� non siate giudicati (Mt 7, 1). Cio�, perdonate e sarete perdonati! La parabola del servo senza compassione (Mt 18, 23-35) espressa chiaramente la differenza di misura. Non c'� punto di paragone tra i diecimila talenti che il re perdona ad un suo subordinato ed i centi denari che questo � incapace di perdonare al suo compagno. Possiamo domandarci se la condanna a morte non � paragonabile ai centi denari non perdonati per un'umanit� a chi sono stati perdonati diecimila talenti.

In un'altra parabola, quella del fariseo ed il pubblicano (Lc 18, 9-14), troviamo un'incapacit� simile. Un uomo che pratica scrupolosamente la Legge di Mois� che non ruba n� fa male il che digiuna e paga la decima al tempio di Gerusalemme, rimane contrapposto ad un altro uomo, carico di colpe gravi, come frodi, furti ed estorsioni. Il paragone tra in primo luogo il, uomo rispettato e rispettabile, ed il secondo, persona senza scrupoli, non ammette replica: l'onorabilit� del fariseo non ha niente a che vedere con la brutta fama del pubblicano, pubblica e notoria. Quello diventa meritevole, con ogni diritto, di elogi e considerazioni, mentre il secondo, con ogni diritto anche, si fa male vedere per gli altri. Il pubblicano lo sa, riconosce la sua condizione di uomo debole e colpevole, e per questo si rivolge a Dio chiedendogli misericordia: O Dio! Abbi compassione di me che sono peccatore! (v. 13). � il discorso sincero e giusto di un uomo che ha vissuto nell'ingiustizia e che accorre al Dio del perdono e della pace. � un discorso che tocca il cuore di Dio che non chiede niente e che lo chiede tutto, diretta all'unico che pu� salvare la sua vita. Per questo � un discorso ascoltato ed accolto, perch� il Signore esalta a quelli che si umiliano. Quell'uomo � perdonato, perch� non c'� niente che Dio non possa perdonare a quello che si presenta davanti suo senza nascondere niente. L'altro, invece, il fariseo, non riceve il perdono divino. In realt�, neanche lo chiede: � convinto che non ha bisogno di lui. E neanche quello che non si chiede, si riceve. Il suo atteggiamento interno, di gran prepotenza, rimane dissimulato davanti a tutti per un comportamento irreprensibile. Ma in realt� � un atteggiamento di orgoglio che Ges� denuncia mettendo nelle sue labbra qualcosa che lo denuncia: egli non � come questo pubblicano (v. 11). Il fariseo fissa cos� una distanza insuperabile tra lui ed il pubblicano, e questa distanza si traduce nel disprezzo ed il rifiuto. La sua virt�, reale, non porta al perdono, bens� alla condanna. Invece, la bont� di Dio, la sua misericordia, si concretizzano nel perdono generoso e senza misura, offerto e ricevuto per il pubblicano. L'odio contro l'altro e l'orgoglio di uno stesso inabilitano per il perdono, il centro del vangelo.
Chi condanna � incapace di superare l'odio per l'altro e, eventualmente, l'orgoglio della sua virt�, ma, soprattutto, si sente imprigionato per il suo proprio peccato. L'episodio della donna adultera (Jn 8, 1-11) cos� lo dimostra. Mentre Ges� insegna alla gente nel recinto del tempio, portano una donna alla quale hanno sorpreso commettendo adulterio. Si tratta di una mancanza molto grave per la quale la Legge di Mois� prevede la pena massima: la lapidazione pubblica fino alla morte (vedere Lv 20, 10). La Legge mosaica applica qui il principio della prevenzione generale che propone una punizione esemplare: estirpa di Israele la malvagit� (Dt 22, 22). Come reagir� Ges� davanti ad una mancanza molto grave, paragonabile all'omicidio e a l'idolatria, e per la quale la Legge di Mois� prevede la pena di morte? Come � abituale in lui, Ges� va oltre la Legge, e di qualunque legge, e situa la questione nel concreto della vita. In realt�, se, secondo la Legge, la donna merita la pena di morte, la sentenza non deve essere eseguita da un boia, di accordo con la sentenza di un giudice, bens� per tutte le attestazioni dell'adulterio, convertitosi in accusatori e, pertanto, in giudici e boia: essi sono quelli che devono lapidarla pubblicamente. Ma, chi pu� giudicare senza essere giudicato? Chi pu� dire che � libero di peccato e tirare la prima pietra? Prima di togliere la paglia che c'� nell'occhio del prossimo, ognuno deve togliersi la trave del suo proprio occhio. � abituale che, davanti al peccato degli altri, reagiamo condannando. Ma primo dobbiamo cadere nel conto dal nostro proprio peccato. Se ci sappiamo membri di un'umanit� che mescola il bene ed il male in maniera inseparabile, allora riconosceremo i nostri errori e non condanneremo nessuno. � la conclusione dell'episodio evangelico. Nessuno condanna alla donna, poich�, incominciando per gli accusatori pi� vecchi, tutti vanno via. La scena rimane vuota. L� sta solo la donna a chi ora nessuno condanna, e Ges� che afferma solennemente: neanche Io ti condanno (v. 11). L'unico che non ha peccato e che, pertanto, potrebbe condannare, non lo fa. Al contrario, perdona. Di questa maniera, rimane chiaro quello che Dio vuole dall'inizio. Caino ha assassinato suo fratello, e Dio lo salva della morte. L'adultera, secondo la Legge, meriterebbe la morte e Ges�, con l'autorit� di Figlio di Dio, superiore alla Legge, salva quella donna, che ritorna alla vita.

Conclusione: dal "non ammazzare" al "non condannare"

La pena di morte, decretata ed applicata, � una sconfitta della vita e dei diritti fondamentali della persona. � una ferita all'umanit�, una conseguenza della cultura dell'odio e della vendetta. L'annuncio di un'esecuzione capitale non � mai una buona notizia, fino nel caso del crimine pi� orribile. Un'esecuzione non � vangelo, e, pertanto, non � evangelica. Ges� si allontana dalla pena di morte. Nel suo vangelo non sta la violenza incontrollabile e distruttrice che si nasconde dietro una legislazione che include la pena capitale. Che cosa significa fare giustizia? Ammazzare a chi ha ammazzato? Nei suoi primi compassi, la Bibbia si riferisce alla vita di Caino che � preservata; dopo nel Sina� si proclama il quinto comandamento che difende la vita; finalmente, culmina col vangelo del perdono di Dio, annunciato per Ges� di Nazaret. La legge del taglione entra nella Bibbia in maniera stretta, delimitata. Ma il vangelo la supera col doppio comandamento dell'amore: a Dio ed al prossimo, anche al prossimo che ha commesso un omicidio. Di questa maniera il comandamento di non ammazzare, presente nel decalogo, si orienta verso il comandamento nuovo dell'amore ai nemici, centrale nel Padrenostro ed il Sermone della Montagna. Il vangelo � buona notizia di vita ed � portatore di vita. Come dice Olivier Cl�ment: Nel Cristo resuscitato non desideriamo oramai morire, non desideriamo oramai toglierci la via o toglierla ad altri. (Armand Puig i T�rrech)