Comunità di S.Egidio


 

30/04/1999


La via verso la guerra

 

1. Il 1� marzo '98 due poliziotti serbi sono uccisi da uomini dell'U�k, la nascente guerriglia indipendentista attiva da due anni con sporadiche azioni isolate (uccisione di poliziotti serbi ed eliminazione di albanesi collaborazionisti). Internazionalmente l'U�k � ancora considerata un'organizzazione terroristica. La reazione serba � cieca e impulsiva: i poliziotti aprono il fuoco all'impazzata sugli albanesi circostanti, uccidendo venti persone. Il rapporto numerico tra le vittime ricorda le famigerate rappresaglie tedesche della seconda guerra mondiale: dieci fucilati per ogni tedesco ucciso. L'8 marzo la polizia serba attacca la roccaforte della guerriglia albanese, Drenica, e in particolare distrugge la famiglia di Adem Jashari (famiglia allargata, secondo il senso albanese). I morti sono un'ottantina. Jashari era uno dei capi dell'U�k. Amava ingenuamente farsi intervistare dalle televisioni occidentali come leader della guerriglia bench� l'ubicazione della sua casa in Kosovo fosse di dominio pubblico. L'attuale leader dell'U�k, Hashim Tha�i, aveva in Jashari il maestro di lotta sin dal 1991.

Nell'azione, la polizia serba non uccide solo �terroristi�, ma bombarda le case del clan Jashari, dove muoiono anche donne e bambini. I loro volti e i loro corpi lacerati, fotografati dopo l'eccidio, diventano un formidabile strumento di propaganda degli albanesi kosovari e dell'U�k. I grandi network anglosassoni mostrano a ripetizione le immagini per giorni. Su Internet le immagini pi� atroci restano per mesi sui siti del nazionalismo albanese. I 400 mila kosovari albanesi di Svizzera e Germania, tutti potenziali volontari dell'U�k, credono che ormai in Kosovo sia massacro generalizzato. In realt� i serbi intendevano compiere un'operazione di polizia nella zona di Drenica, considerata dagli albanesi �zona liberata� e come tale abitualmente presentata ai giornalisti esteri. Ma la polizia serba agisce con brutalit� indiscriminata, convinta che solo le maniere forti convincano gli albanesi a desistere dal terrorismo e dal secessionismo. Il governo di Belgrado polemizza da anni con gli albanesi del Kosovo perch� rifiutano di essere cittadini jugoslavi ma il comportamento della sua polizia � quello di una polizia coloniale, non di uno Stato di cittadinanza.

Dopo otto anni di confronto freddo o drole de guerre, la crisi del Kosovo precipita in questo marzo 1998. Il massacro di Drenica � il punto di non ritorno nella mente degli albanesi, dopo il quale nulla � pi� come prima. L'impetuoso sviluppo della guerriglia dell'U�k avviene in costante riferimento a questa strage.

2. Il secondo atto della tragedia del Kosovo, come si dipana dal marzo '98 al marzo '99, vede l'U�k come protagonista. Tra gli albanesi della diaspora in Europa e negli Stati Uniti, cos� come tra gli albanesi dei Balcani, si assiste a una multiforme mobilitazione. Nelle citt� svizzere e tedesche le famiglie degli emigrati pagano le tasse per la patria non pi� all'organizzazione pacifica del partito di Ibrahim Rugova, la Ldk, che utilizzava i fondi per il sistema parallelo scolastico e sanitario, ma ai guerriglieri. Fondi cospicui giungono dagli Usa e dai traffici non sempre legali gestiti dagli albanesi in Europa (contrabbando, droga, prostituzione). Migliaia di giovani albanesi rientrano in Kosovo per combattere. Lo fanno via Albania, vantando entusiasti la missione liberatoria cui si apprestano. Sui traghetti da Bari e Brindisi gli aspiranti combattenti discutono ai telefoni cellulari strategie e obiettivi, senza curarsi dei passeggeri che ascoltano incuriositi. Allo sbarco a Durazzo trovano i mezzi della polizia albanese che li trasportano a Tropoje, vicino alla frontiera jugoslava da valicare. In Albania la mobilitazione � consistente, malgrado gli appelli alla calma di Fatos Nano. Berisha utilizza la questione del Kosovo come un'arma contro il governo socialista, accusato di tiepidezza anche dal presidente Mejdani, la cui famiglia � legata al Kosovo. Nel Nord Albania si impiantano i centri logistici dell'U�k, i campi di addestramento, una qualche direzione strategica. Fatos Nano rincorre l'opposizione su un tema che unisce tutti gli albanesi in una fiammata di nazionalismo. Alcuni apparati dello Stato albanese vengono messi da Fatos Nano a disposizione della guerriglia kosovara. D'altra parte lungo gli anni Novanta i centri di addestramento di guerriglieri kosovari erano rimasti sempre in funzione. Hashim Tha�i vi aveva ricevuto la sua formazione militare nel 1993, nell'Albania governata da Berisha.

La comunit� internazionale, preoccupata dalla primavera del '97 della vastissima diffusione di armi tra la popolazione albanese, aveva tentato invano di raccoglierle per riporle negli arsenali da cui erano state sottratte. Vi si era impegnata la missione Alba, poi alcune missioni Onu ad hoc. Finalmente ora il disarmo albanese inizia, e in grande stile. Infatti grandi quantit� di armi vengono raccolte e convogliate ai confini con la Jugoslavia per essere introdotte in Kosovo. � un affare per gli albanesi di Albania. I kosovari pagano le armi direttamente in marchi tedeschi, che � la valuta del loro lavoro in Nord Europa oltre che la valuta pi� usata nei Balcani dopo il 1991.

Nella primavera 1998 le diplomazie europee sono in grande allarme per l'escalation del confronto etnico in Kosovo. I guerriglieri avvisano candidamente che le ostilit� inizieranno �quando gli alberi avranno le foglie�, cio� in giugno. Il Gruppo di contatto - Stati Uniti, Russia, Gran Bretagna, Francia, Germania e Italia - vorrebbe esercitare pressioni su entrambi i contendenti perch� recedano dalla imminente guerra. In riunioni ravvicinate ammonisce sia serbi sia albanesi e distribuisce sanzioni, ma solo ai serbi che sono uno Stato mentre la guerriglia rappresenta un fenomeno inafferrabile e incontrollabile. Sono iniziative inefficaci. Intanto in ambito Nato si inizia a discutere di opzioni militari, che si riducono sostanzialmente a due: un intervento contro i serbi e un cordone sanitario in Albania e Macedonia per bloccare il flusso di guerriglieri, armi e rifornimenti all'U�k. Nel primo caso, la Nato, per quante distinzioni si possano avanzare, si schiererebbe con i guerriglieri albanesi. Nel secondo invece si schiererebbe a favore della stabilit� interna jugoslava e contro l'U�k. La seconda opzione � resa improbabile dallo stato d'animo antiserbo diffuso in Occidente.

Il tempo stringe e il Gruppo di contatto non riesce a trovare soluzioni. Gli americani decidono allora - � ormai la fine di maggio - di avviare in proprio una risoluta iniziativa diplomatica. L'inviato speciale statunitense per il Kosovo � Gelbard, persona di forte impegno. Presto Milosevic rifiuta di incontrarlo per alcune interviste in cui il diplomatico lo aveva criticato. Gelbard viene sostituito da Holbrooke, il protagonista di Dayton che conosce abbastanza bene Milosevic per avere avuto con lui numerosi contatti. Dopo Dayton, Holbrooke ha pubblicato le sue memorie balcaniche, in cui Milosevic � descritto nei termini pi� offensivi possibili, come forse il pubblico americano si attendeva. Ma questo non sembra avere incrinato nel Dipartimento di Stato l'idea che Holbrooke sia l'uomo giusto per Belgrado.

L'iniziativa americana si concretizza nel forzare Rugova, rieletto plebiscitariamente nel marzo '98 presidente della autoproclamata repubblica albanese del Kosovo, a recarsi a Belgrado per incontrare Milosevic. Rugova � accompagnato da altre personalit� kosovare albanesi. L'incontro avviene secondo le modalit� volute da Milosevic. Per Rugova � uno smacco. I suoi avversari politici in Kosovo, tra cui i militanti e i simpatizzanti dell'U�k, ironizzano sul cortese sorriso di Rugova - educato aristocratico - nel porgere la mano a Milosevic. Le immagini televisive dell'incontro rivelano nella delegazione albanese una certa soggezione. Forse i nemici di Tito avevano le stesse sensazioni quando incontravano per la prima volta il maresciallo dopo averne sub�to a lungo l'ostilit�.

Psicanalisi a parte, il risultato dell'incontro tra Milosevic e Rugova � la creazione di un tavolo negoziale tra serbi e albanesi, con l'ambasciatore americano in Macedonia, Hill, delegato a soggiornare fuori della porta per aiutare se richiesto dalle parti. Milosevic ha prevalso su Holbrooke e ha umiliato Rugova.

La linea del presidente jugoslavo � quella di dilazionare qualsiasi mutamento nello status del Kosovo, mantenere il dossier Kosovo nella cornice di una questione interna, dialogare con gli albanesi in funzione tattica. Milosevic non tiene al Kosovo per sensibilit� nazionalista. Il suo obiettivo � restare al potere. A questo fine ha strumentalizzato la questione del Kosovo negli anni Ottanta, congelando poi la regione in uno status quo favorevole ai serbi per non urtare l'opinione pubblica jugoslava che sul tema Kosovo reagisce con patriottismo viscerale. L'intransigenza di Milosevic nel mantenere l'egemonia serba sul Kosovo, malgrado il 90% dei suoi abitanti sia albanese, non deriva da una scelta personale di attaccamento a questa terra. A Milosevic, freddo calcolatore, il Kosovo degli anni Novanta comporta solo problemi di gestione, complicazioni internazionali, costi militari, sprechi di risorse, cattiva fama. Ma non pu� abbandonarlo al suo destino se vuole restare a capo dei serbi i quali tutti sin da bambini imparano che il Kosovo � terra sacra della loro civilt�.

Lungo gli anni Novanta i serbi conoscono un rovescio dopo l'altro. Sono cacciati dalla Krajina (Croazia) dove vivevano da secoli. Sono sconfitti in Bosnia. Sono profughi dalla Slavonia orientale gi� a maggioranza serba, tornata sotto sovranit� croata. Sono contestati dagli autonomisti montenegrini che minacciano il distacco da Belgrado. La Jugoslavia ospita 700 mila rifugiati serbi venuti da Croazia e Bosnia. Il bilancio di Milosevic quale leader nazionalista non potrebbe essere pi� fallimentare. In questo contesto di umiliazioni e disfatte, pu� Milosevic lasciare il Kosovo agli albanesi? Una decisione in questo senso sarebbe in realt� la pi� saggia, ma per Milosevic avrebbe la conseguenza di riportarlo immediatamente allo stato di semplice cittadino, candidandolo forse a essere imputato dinanzi alla Corte internazionale dell'Aja.

Rugova non voleva recarsi a Belgrado per incontrare Milosevic. In passato aveva sempre rifiutato un simile incontro, condizionandolo alla concessione da parte serba di sostanziali miglioramenti nel trattamento fatto agli albanesi in Kosovo e all'esistenza di proposte serbe sullo status del Kosovo. Holbrooke discute con Rugova fino a tarda notte per convincerlo. Rugova cede perch� ritiene che gli americani siano gli unici in grado di mutare gli equilibri politici del Kosovo. Gli Stati Uniti, nella visione albanese, possono tutto, sono il deus ex machina, sono la potenza messianica da anni attesa. Rugova non pu� rifiutare quanto Holbrooke chiede, pur sapendo che proprio gli americani lo considerano debole e incapace, tanto da incoraggiare e aiutare, tra gli albanesi, personaggi, partiti e movimenti politici che sono contro di lui.

Rugova � in un momento di grave difficolt�. La sua linea non violenta � duramente contestata, gli si rimprovera scarso attivismo, membri autorevoli del suo partito (Lega Democratica del Kosovo - Ldk) si sono dimessi per passare a formazioni pi� radicali o in sintonia con l'U�k. Si sfrangia la struttura della Ldk, fino al giorno prima incontestata guida di quanto accadeva tra la popolazione albanese. Nei villaggi la popolazione solidarizza con i guerriglieri e anche il personale della Ldk segue l'onda di simpatia verso gli insorti. Mentre nei comunicati dell'U�k si descrive sarcasticamente Rugova come un amico di Milosevic, la base della Ldk si identifica tout court con l'area di consenso all'U�k. La popolazione non fa caso alle divergenze ideologiche e alle rivalit� personali che animano il dibattito politico di Pristina e acclama insieme U�k e Rugova, accomunati sotto l'unica bandiera dell'indipendentismo.

Il tavolo negoziale fra serbi e albanesi suscitato dall'intervento di Holbrooke ha vita breve. Come in ogni negoziato, i risultati dipendono, oltre che da capacit� individuali dei mediatori, dalle pressioni e dagli incentivi rivolti alle due parti in contrasto. L'ambasciatore Hill non solo ha un ruolo fuori sala, ma difetta di autorevolezza. Preme soprattutto sui serbi, sopravvalutando l'effetto di sanzioni gi� comminate e di altre minacciate. Agli albanesi invece garantisce la solidariet� americana, in termini che vengono intesi dai kosovari non come garanzia per l'accettazione dei compromessi necessari in un negoziato, ma come riconferma di un sostegno alla causa albanese che porter� a medio termine all'indipendenza. Nella mente degli albanesi c'� il modello Bosnia: come nella vicina regione gli americani hanno liberato i musulmani dai serbi, cos� faranno prima o poi in Kosovo.

L'U�k � estraneo al negoziato promosso da Holbrooke. Non ha ancora legittimazione politica sebbene gi� gli americani stiano prendendo contatti con i suoi dirigenti (a fine giugno Gelbard incontra emissari dell'U�k). L'U�k considera i negoziati come un trucco di Milosevic e un cedimento compiacente da parte di Rugova.

I negoziati vengono presto sospesi per la guerra che investe il Kosovo. La delegazione albanese rifiuta di partecipare ai lavori finch� polizia ed esercito jugoslavo conducono la repressione sul terreno. Non accetta che si discuta mentre in Kosovo si muore. I serbi rispondono che i combattimenti sono una conseguenza delle iniziative militari dell'U�k, che in effetti sta avviando la preannunciata offensiva d'estate. Molti aspetti della controversia sulle violenze sono pretestuosi o paradossali. I serbi prendono a giustificazione l'insorgenza dell'U�k per impartire una crudele lezione militare e repressiva agli albanesi. Alcuni esponenti albanesi, invece, prigionieri di un certo schema di propaganda, continuano a sostenere la versione secondo cui l'U�k sarebbe un'invenzione dei servizi serbi per giustificare la violenza dispiegata. Da due anni questa � la tesi della Ldk: non c'� pallottola in Kosovo che non sia serba.

Ma l'U�k esiste, sebbene la sua identit� politica sia ancora in gestazione e il coordinamento delle azioni militari sia assai carente. Nato nella diaspora albanese in Svizzera e Germania, l'U�k ha inizialmente varie anime, ma emerge un nucleo dirigente politico-militare ideologicamente marxista-leninista. Sono i cosiddetti enveristi, che si richiamano al defunto dittatore albanese Enver Hoxha. La gran parte dei guerriglieri per� � tale per semplice amor di patria. E molti sono giovani arruolati all'istante nei villaggi del Kosovo dai pochi quadri addestrati. Anche questi giovani acclamano indifferentemente l'U�k e la Ldk di Rugova. Sono disponibili alla lotta contro i serbi indipendentemente dalla bandiera politica per cui si battono, volendo essenzialmente difendere la propria terra e il proprio villaggio. Per inciso va ricordato che la prolifica popolazione albanese del Kosovo � la pi� giovane d'Europa: il 52% ha meno di 24 anni.

Siamo ormai a fine giugno. La strategia della guerriglia all'offensiva presuppone, malgrado i bellicosi proclami di invincibilit�, il coinvolgimento della Nato o quantomeno degli americani. L'U�k sa di non essere in grado, da solo, di sconfiggere i serbi. La tecnica adottata � quella di provocare i serbi, uccidendo poliziotti e civili, in attesa che la loro reazione si distingua per brutalit� e spregio della popolazione civile, come spesso avviene, in modo da trascinare la Nato o gli americani all'intervento.

A volte per� i massacri sono letteralmente inventati a fini di propaganda. Cos� accade agli inizi di agosto quando due giornalisti occidentali - R. Jeffrey Smith del Washington Post sulla base di quanto avrebbe visto personalmente e Erich Rathfelder della Tageszeitung sulla base di testimoni che raccomandano �per l'amor di Dio di non rendere nota la loro identit�� - riferiscono dell'esistenza di fosse comuni con 500 cadaveri di albanesi tra cui 430 bambini nei pressi di Orahovac, dove si � duramente combattuto. La notizia � ripresa da altri giornali occidentali con grande rilievo. Ma � tutto falso, come dimostra una missione d'osservazione della Ue.

Se il massacro di Orahovac si rivela un'invenzione, non lo � la terra bruciata che i serbi compiono di tanti villaggi albanesi, n� lo � la massa enorme di profughi. La vista delle distruzioni operate dai serbi per punire la ribellione suscita sdegno nelle opinioni occidentali. Soprattutto in America il conflitto in Kosovo � seguito con emozione, l'opinione pubblica essendosi convinta, con qualche semplificazione, che i serbi sono pi� o meno dei nazisti e che sempre loro sono i �cattivi�.

La strategia dell'U�k, mentre la guerra entra nel vivo, si fa incerta, sia sul piano militare sia su quello della propaganda. La guerriglia si espone in battaglie in campo aperto. Occupa citt� dove si ritrova assediata. Inoltre ci sono notizie sulle pulizie etniche che anche l'U�k compie nelle zone liberate, a danno dei residenti serbi. Questa condotta della guerra costa perdite umane ai guerriglieri, e non riesce a dare all'opinione occidentale, particolarmente all'opinione americana che � quella che conta nello scenario, la certezza che in Kosovo si stia svolgendo un massacro a senso unico. Infatti risulta pi� evidente la guerra in corso tra i due contendenti, che non la repressione serba.

Le immagini che durante l'estate vengono dal Kosovo sono quelle delle case in fiamme della popolazione albanese e dei villaggi desertificati dai reparti speciali di Belgrado, cos� come predicano i manuali antiguerriglia che prescrivono di colpire i guerriglieri togliendo loro il terreno su cui si muovono (il �togliere l'acqua ai pesci� della guerra del Vietnam). Poich� i guerriglieri trovano rifugio in pressoch� tutte le case albanesi sul territorio, nelle zone di guerra i serbi distruggono sistematicamente villaggi e fattorie (le case albanesi di campagna sono casali circondati da muri di isolamento e protezione). Ogni casa albanese � considerata dai serbi un santuario del nemico, con enormi sofferenze dei civili coinvolti nella guerra loro malgrado. Ma queste immagini di morte e distruzione vengono ricomprese dall'opinione occidentale nel quadro di una guerra condotta da due belligeranti.

3. Mentre in Kosovo si combatte, la Nato permane nel suo dilemma. Occorre colpire i serbi, divenendo alleata dell'U�k come invocano i guerriglieri, oppure conviene dispiegare forze di terra in Albania e Macedonia per bloccare i rifornimenti all'U�k, rendendolo cos� facile preda dei serbi? A Bruxelles non si decide nulla. I guerriglieri dell'U�k intanto per gli americani non sono pi� terroristi, e neanche ribelli, ma �insorti�. Ma per loro non c'� nulla di pi� che buone parole e incoraggiamenti, e di nuovo dagli americani ma non dagli europei.

L'estate � triste per gli albanesi. Cinquecento vittime militari e civili, 300 villaggi distrutti, 250 mila sfollati. In settembre i combattimenti si esauriscono e la depressione pervade gli albanesi. Gli effettivi dell'U�k sono ridotti a non pi� di 3 mila dai 25 mila della fine di giugno. Tuttavia alcuni risultati sono ottenuti, sul piano interno e su quello internazionale. Anche parecchi serbi del Kosovo hanno sub�to una pulizia etnica e hanno abbandonato le loro case. Certo la proporzione di vittime e sfollati riflette la proporzione demografica delle due etnie (90% sono gli albanesi, 10% i serbi) ma quando si � pochi, come pochi sono i serbi, le perdite sono pi� sentite che quando si � in tanti. Inoltre nulla pi� che lo stato di guerra sospinge i civili serbi - isolati fra masse di albanesi - a fuggire verso terre pi� sicure del Kosovo.

Sul piano internazionale l'U�k � riuscito a porre la questione del Kosovo come una priorit� mondiale. Quanto non � riuscito ai tibetani o ai timoresi, n� probabilmente riuscir� ai curdi, viene ottenuto dai kosovari albanesi. In particolare, nella politica americana il peso strategico della crisi del Kosovo pareggia ormai quello della questione irachena. La lobby albanese negli Stati Uniti � attiva ed efficace, potendo contare tra l'altro su personaggi di primo piano sia dell'amministrazione clintoniana sia del partito repubblicano.

Con il sopraggiungere dell'inverno, il Kosovo non ritorna alla dr�le de guerre, al parallelismo delle due societ� etniche, all'apartheid sui marciapiedi, nelle scuole, nei bar, insomma alla guerra di posizione che dura da otto anni. Certo l'U�k � sconfitta. E la reazione militare internazionale contro la Jugoslavia non c'� stata. Ma c'� un elemento nuovo, evidenziato proprio dai primi rigori invernali.

Le offensive serbe dell'estate hanno prodotto masse di sfollati e profughi - 250 mila � la cifra pi� accreditata. Pochi hanno trovato rifugio in Montenegro, Macedonia o Albania. Molti sono stati accolti da parenti all'interno del Kosovo. Ma almeno 50 mila persone, per lo pi� vecchi, donne e bambini, vagano ancora senza riparo mentre arriva la prima neve, nei boschi oppure attorno alle rovine delle case distrutte.

L'opinione pubblica internazionale, alla fine di settembre, prende coscienza di questa massa di civili che si muovono come fantasmi, privi di tutto, a rischio di morire di stenti e di freddo, terrorizzati di ritrovare i soldati serbi nei cortili delle case perdute. Si moltiplicano gli appelli umanitari e i reportage. La questione umanitaria diventa immediatamente politica. L'impressione prodotta dalla �gente dei boschi� � profonda. Il governo di Belgrado non favorisce il ritorno a casa degli sfollati - che sono suoi cittadini - n� provvede a sistemazioni alternative per i tanti rimasti senza casa. Le assicurazioni date dalle autorit� serbe, secondo cui tutti gli sfollati possono tornare a casa, non ottengono credito, anche perch� si accompagnano a minacce per coloro che fossero riconosciuti membri di organizzazioni terroristiche (cio� dell'U�k). Del resto la presenza militare serba in Kosovo resta massiccia anche dopo la sconfitta dell'U�k, alimentando tra gli sfollati uno stato di panico.

Si prospetta l'intervento della Nato contro i serbi, qualora non diano soluzione rapida al dramma dei profughi. I serbi producono nuove assicurazioni che non vengono accettate. Gli attacchi della Nato si fanno improvvisamente possibili a breve scadenza. Vengono attivate le procedure del caso, tra governi dell'alleanza e tra comandi militari. La Nato non si � mossa per prevenire la guerra o per farla cessare durante i mesi dell'estate. Si muove ora per le conseguenze di una guerra che appare conclusa. Le immagini della �gente dei boschi� senza riparo dai rigori invernali sono toccanti.

Accanto alla commozione per la tragedia di anziani, donne e bambini dispersi fra la neve, un altro fattore sospinge all'intervento Nato. Alcuni governi - segnatamente quello americano e quello inglese - vorrebbero giungere a una punizione dei serbi, riducendone drasticamente la potenzialit� militare, a prescindere dalle circostanze del momento, poich� ritengono Belgrado responsabile della complessiva crisi balcanica degli anni Novanta. L'amministrazione americana � piuttosto debole (Clinton sta rischiando l'impeachment) e nella politica estera manifesta una marcata dipendenza dai grandi network che raffigurano i serbi come nemici dell'umanit�. Il nuovo governo laburista inglese ha rovesciato l'approccio piuttosto cauto con cui i conservatori di Major guardavano alle questioni balcaniche; il ministro degli Esteri, Cook, ha litigato duramente con Milosevic nei giorni del massacro di Drenica.

L'appeasement, provvisorio, viene da Holbrooke, che va a Belgrado a porre una serie di condizioni a Milosevic in cambio della sospensione dei bombardamenti aerei della Nato. Milosevic il 12 ottobre accetta di ritirare gran parte delle forze di polizia serbe (strutturate come vero e proprio esercito dotato di armi pesanti) dal Kosovo e di farvi entrare 2 mila osservatori disarmati dell'Osce. Rassicurata dalla partenza di gran parte dei reparti militari di Belgrado, la �gente dei boschi� ritorna stabilmente ai luoghi di residenza, se gi� non lo ha fatto nelle settimane precedenti. Il Kosovo si internazionalizza. Con gli osservatori dell'Osce, che giungono peraltro lentamente, si installa un arcipelago di Ong umanitarie. La polizia serba sembra scomparsa. Holbrooke ha ottenuto da Milosevic anche la rimozione dei muniti posti di blocco sulle strade principali, che erano ben pi� di semplici controlli delle norme di circolazione, come sa bene chi abbia viaggiato in Kosovo negli anni scorsi.

Corollario fondamentale dell'intesa Holbrooke-Milosevic � il proposito di lavorare per risolvere la questione del Kosovo con un accordo-quadro fra serbi e albanesi. Il difficile compito � delegato di nuovo all'ambasciatore americano Hill che elabora una piattaforma negoziale sullo status del Kosovo. La proposta di Hill non contiene rilevanti novit� rispetto a quanto la comunit� internazionale chiede da tempo: il Kosovo non pu� essere indipendente ma deve godere di un largo autogoverno su base rappresentativa; alla predominanza albanese sul piano politico-amministrativo farebbero da contrappeso le competenze federali in materia di difesa, dogane, rapporti con l'estero; un nodo cruciale � dato evidentemente dal controllo della polizia, punto su cui si concentra l'apprensione delle due parti. Hill si dedica per qualche settimana alla spola fra Belgrado e Pristina. Quando una bozza � gradita ai serbi non lo � agli albanesi e viceversa. � la normale condizione del mediatore, che deve possedere un'alta dose di pazienza e flessibilit�, e per farsi valere deve utilizzare al meglio gli strumenti di pressione sulle due parti per forzarle ad accordarsi con reciproche concessioni.

Alcune premesse per un accordo ci sono. Sia gli albanesi sia i serbi hanno interesse a dare sollievo alle rispettive societ� civili. A capo della delegazione albanese � Fehmi Agani, l'anziano decano dei politici albanesi, un negoziatore civile e pacato, sensibile alla volont� del suo popolo, che dopo la tragica estate � pi� che mai una volont� di pace. Da parte serba c'� convenienza a raggiungere un'intesa per evitare un intervento della Nato, per mantenere un rapporto con la comunit� internazionale, per trovare una soluzione che consenta ai civili serbi in Kosovo di condurre una vita serena. Che un accordo sia possibile lo dimostra poi l'unico dialogo esistito fra serbi e albanesi tra il 1996 e il 1998, quello per l'applicazione dell'accordo scolastico tra Milosevic e Rugova del 1� settembre 1996, mediato dalla Comunit� di Sant'Egidio. Dopo molte pressioni su Milosevic, e dopo un lungo esercizio di fatica e pazienza, l'accordo � stato parzialmente implementato per quanto riguarda l'universit� (lo sar� ancor pi� nel febbraio '99 quando i serbi restituiranno agli albanesi i maggiori edifici del campus di Pristina). Dunque una trattativa con esito positivo, per quanto ardua, non � impossibile.

Ma i giorni trascorrono senza alcun risultato. Il piano Hill sembra svanire nelle nebbie che talora avvolgono le pianure jugoslave. Holbrooke, il quale non ama gli scenari balcanici che pur lo hanno reso famoso, non ricompare pi� sulla scena. Intanto la situazione in Kosovo si deteriora.

In conseguenza dell'intesa fra Holbrooke e Milosevic il controllo militare serbo sul Kosovo si � considerevolmente ridotto. Il territorio viene pattugliato dai mezzi semiblindati dell'Osce. Si notano strane coesistenze: vigili stradali serbi che osservano il traffico e a pochi metri, dietro la curva o il dosso, una pattuglia dell'U�k nel medesimo atteggiamento. A Belgrado c'� irritazione per la sovranit� di fatto perduta. Infatti il ritiro serbo ha coinciso con la ripresa del territorio da parte dell'U�k, rapidamente riorganizzatosi. Il 60% del Kosovo � ora �zona liberata�, dove i serbi non abitano pi�. Gli albanesi esultano per l'opera di Holbrooke che ha rimesso in gioco l'U�k e ha internazionalizzato la questione del Kosovo portandovi migliaia di osservatori internazionali. Holbrooke in effetti � riuscito a infrangere il tab� della questione interna sempre riaffermata da Milosevic riguardo al Kosovo. Per evitare i bombardamenti Nato il leader serbo, che aveva sempre negato all'Unione Europea l'apertura sia pure di un minuscolo ufficio di rappresentanza in Kosovo, deve ammettere sul territorio jugoslavo il nutrito corpo degli osservatori Osce.

Col passare delle settimane viene meno la commedia dei controlli stradali incrociati, con la polizia serba che ferma di preferenza gli autisti albanesi e i miliziani dell'U�k che fermano di preferenza gli autisti serbi. Si riprende a sparare. L'U�k si fa aggressivo, forte dello spazio ritrovato, dell'ininterrotto flusso di armi che ora pu� liberamente ricevere, dell'incoraggiamento venutole dalla Nato che stava per bombardare quando ormai la guerriglia ne aveva perduta la speranza. Da una parte e dall'altra si moltiplicano le vittime. Una particolarit� di questa fase del confronto, che vede un certo equilibrio di forze tra albanesi e serbi, sta nella pratica dei rapimenti. L'U�k meraviglia sequestrando un intero plotone di giovani soldati jugoslavi. Il rilascio avviene per la mediazione del capo degli osservatori Osce, il generale americano Walker, di nazionalit� bene accetta all'U�k. La presenza dell'Osce, molto utile a ridurre il livello di violenza nella condotta di guerriglieri albanesi e poliziotti serbi, rivela una certa differenziazione nelle sue componenti, che riflette le posizioni politiche dei paesi di provenienza. Gli americani hanno propensione a favorire gli albanesi, gli inglesi hanno un analogo orientamento, gli altri europei sono pi� prudenti nell'addossare colpe e responsabilit�.

La guerra sembra riprendere, malgrado l'inverno non sia passato e anzi si sia lontani dalla primavera, in Kosovo piuttosto tardiva dato il clima continentale. L'U�k colpisce in imboscate, con pattuglie rapide a ritirarsi, avendo appreso dalle sconfitte estive come non convenga agire in gruppi folti n� mantenere posizioni stabili. Decine di serbi vengono rapiti e scompaiono, alcuni vengono torturati. I serbi, esasperati e furiosi, sono tentati dal compiere barbare rappresaglie sulla popolazione civile.

Si ripropone a questo punto l'interrogativo sulla pace di cui Hill dovrebbe curare l'implementazione, dopo l'intesa raggiunta a Belgrado da Holbrooke. Hill sembra avere cessato il suo lavoro. Altri mediatori non sono all'orizzonte. Holbrooke resta lontano. Agli inizi di gennaio l'unico scenario della crisi del Kosovo � quello dei quotidiani scontri fra U�k e militi serbi, con la contabilit� di qualche morto al giorno.

Dietro le quinte � avvenuta probabilmente la svolta che decider� il destino del Kosovo: prima l'avvicinamento, poi la collaborazione fra gli americani e l'U�k. La diplomazia americana agisce su due binari. In parallelo a Hill che con vigore decrescente conduce il negoziato fra serbi e albanesi secondo i canoni della mediazione diplomatica, si sviluppano le relazioni con la guerriglia albanese, non � dato sapere con quale prospettiva politica, se di semplice appoggio alla causa albanese in Kosovo o di destabilizzazione complessiva del regime serbo. Si tenga presente la radicata avversione americana per Milosevic e la convinzione che Belgrado costituisca l'ostacolo principale anche per la pace in Bosnia.

La scelta degli Stati Uniti per l'U�k non avviene per un improvviso feeling. Da tempo gli americani ritengono Rugova un uomo politico senza carattere, senza carisma, senza muscoli. Le visite a Washington del �Gandhi dei Balcani� sono state deludenti per il Dipartimento di Stato. Gli americani sono gli unici ad avere un ufficio a Pristina, con rango e protezione diplomatica, e quotidianamente osservano, studiano, prendono contatto con le varie realt� albanesi. Dal 1997 gli americani sono alla ricerca di una forza politica pi� capace e incisiva di quella espressa da Rugova, per farne il loro partner. Per un certo periodo, in mancanza d'altro, sponsorizzano gli studenti albanesi, protagonisti di coraggiose manifestazioni di massa. Gli studenti criticano Rugova, pur adottando inizialmente la medesima linea non violenta; dopo il marzo '98 tuttavia saranno sempre pi� favorevoli a un confronto muscolare con i serbi (i loro leader finiscono per impegnarsi politicamente con personaggi che invocano maggiore durezza e combattivit�, e presto l'U�k ricever� liste di centinaia di studenti pronti ad arruolarsi).

Rugova e i suoi collaboratori soffrono dell'atteggiamento americano ma pensano di avere ugualmente un disperato bisogno dell'appoggio di Washington. Rugova continua a ricevere gli ospiti accanto a immagini che lo ritraggono durante le visite alla Casa Bianca e al Dipartimento di Stato. Come tutti gli esponenti politici albanesi, � persuaso che solo la superpotenza americana pu� liberare dai serbi e donare l'indipendenza. Rugova pensa per� a un intervento americano preferibilmente nel quadro politico-diplomatico, non militare.

Dall'autunno 1998 le attenzioni americane si rivolgono risolutamente all'U�k. Non � ovviamente possibile qui esprimere una valutazione dell'appoggio fornito dagli americani all'U�k. A parte la visibile presenza a fianco di esponenti dell'U�k di ex diplomatici americani in veste di consiglieri politici, poco si sa di flussi di armi e di istruttori che l'U�k avrebbe ottenuto dagli americani. Voci e indiscrezioni circa flussi di armi e presenza di istruttori americani presso l'U�k ve ne sono soprattutto a Pristina e a Tirana. Alcune diplomazie europee seguono con apprensione la convergenza tra americani e guerriglieri albanesi. Di certo la rapida riorganizzazione della guerriglia in Kosovo � frutto di un intelligente supporto in materiali e in tecniche che in precedenza l'U�k non aveva. Rambouillet confermer� infine il rapporto molto amichevole fra gli americani e i guerriglieri kosovari.

I motivi della scelta americana sono molteplici. Anzitutto va ricordata una certa allergia statunitense per i tempi lunghi. Anche nel lavoro diplomatico tempo e risultati contano e nella palude jugoslava Holbrooke, o chi per lui, non intende restare pi� di tanto. I diplomatici europei e soprattutto mediterranei hanno generalmente un'altra adattabilit� al levantino e aggrovigliato mondo balcanico, sapendo tra l'altro come soluzioni affrettate e non consensuali abbiano dimostrato in passato di essere perfette premesse per nuovi conflitti.

Gli americani sono pi� attenti degli europei alla democraticit� di paesi e regimi politici. Il Dipartimento di Stato avr� certamente preso in considerazione questo criterio nella scelta degli interlocutori in Jugoslavia. Per quanto riguarda il mondo serbo, qualsiasi alternativa a Milosevic in senso democratico � venuta meno dopo il fallimento delle agitazioni belgradesi dell'inverno 1996 (quando i manifestanti agitavano anche bandiere a stelle e strisce). Peraltro gli americani devono prendere atto che Milosevic, per quanto governi dittatorialmente, gode di ampio consenso nella popolazione serba e poco � possibile influire sulla politica interna jugoslava. Sul versante albanese, la democraticit� della Ldk suscita dubbi negli americani, per il carattere di partito largamente egemone, se non unico, e il legame con circostanze e situazioni del passato comunista. In assenza di sicuri interlocutori democratici, perch� non concedere credito a forze emergenti come l'U�k? Che la guerriglia kosovara rappresenti una soluzione pi� democratica della Ldk � un dato da verificare, trattandosi di un gruppo marcatamente militare e non avvezzo alla politica. Ma questa verifica si pu� rinviare a tempi meno turbolenti. Cos� gli americani hanno agito anche con Tudman nel '94-'95, considerando che la situazione della Croazia, in guerra e parzialmente occupata, non consentisse lo sviluppo della democrazia.

4. Contestualmente all'avvio dell'inedita collaborazione fra americani e guerriglieri aumenta la violenza in Kosovo. L'U�k non si copre di gloria quando vengono scoperte due fosse comuni di serbi (10 e 14 corpi), peraltro questi crimini passano quasi inosservati. La parte del malvagio sfiora appena l'U�k, forse mediaticamente protetta dalla rendita di buona fama prodotta dalla lunga lotta non violenta condotta dagli albanesi finch� hanno creduto alla saggezza di Rugova. In ogni caso l'U�k riesce a rimontare abbondantemente quel poco di sfavore internazionale grazie al massacro di Racak. In questa localit�, da giorni al centro di combattimenti, vengono rinvenuti il 15 gennaio 1999 i corpi di 45 vittime di colpi di arma da fuoco sparati a distanza ravvicinata. Sono albanesi. Il massacro di Racak oscura immediatamente i massacri di minore entit� e gli agguati a poliziotti e civili serbi compiuti dall'U�k.

Il massacro di Racak � raccapricciante, con mutilazioni e teste mozzate. � una scena ideale per suscitare lo sdegno dell'opinione pubblica internazionale. Qualcosa appare strano nelle modalit� dell'eccidio. I serbi abitualmente uccidono senza procedere a mutilazioni. Durante la notte, prima dell'arrivo degli osservatori Osce e dei giornalisti, il paese di Racak, con i corpi, � ritornato sotto controllo della guerriglia. Da qui a ipotizzare �manomissioni�, in attesa che al mattino giungesse Walker a proclamare il crimine dei serbi, poco passa, e infatti vari osservatori internazionali vi hanno alluso. Come la guerra di Bosnia insegna, le denunce di efferatezze sui corpi, segni di torture, decapitazioni, sono una diffusa arma di propaganda. Quali dati certi si hanno su questo massacro che di fatto avvia la sequenza di avvenimenti che portano all'attacco della Nato contro la Jugoslavia? I morti sono albanesi. Alcuni potrebbero essere guerriglieri dell'U�k ma non tutti, come affermato dai serbi. Questi ultimi sono i probabili autori del massacro, bench� la commissione finlandese incaricata dell'inchiesta internazionale abbia escluso di poter risalire agli uccisori. Forse non i serbi ma i guerriglieri albanesi hanno mutilato i corpi.

Se non era quella di Racak sarebbero state comunque altre stragi a riportare i serbi sul banco degli accusati. Fedeli alla brutalit� gi� altrove manifestata, i serbi avrebbero presto o tardi reagito a una delle tante aggressioni e provocazioni dell'U�k con un'altra strage di ampie dimensioni.

La reazione al massacro di Racak � innanzitutto mediatica. Il procuratore della Corte internazionale dell'Aja per i crimini di guerra, la canadese Ann Harbor, all'indomani della strage di Racak si presenta al confine jugoslavo in compagnia di Christiane Amanpour, la giornalista della Cnn che oltre a essere moglie di Rubin portavoce di Madeleine Albright � ormai candidata al ruolo di giornalista pi� famosa al mondo. Certe coincidenze matrimoniali possono indurre a malizia. Invece il fatto che il massimo responsabile di un accreditato tribunale internazionale ritenga utile precipitarsi a compiere una simile indagine confidando nelle capacit� investigative e legali della Cnn � una novit�.

In ogni caso i morti di Racak inducono il Gruppo di contatto a riprendere in mano il dossier Kosovo. In certo senso, quello che in Bosnia sono state le due bombe al mercato nella Sarajevo del '94 e '95 � per il Kosovo la strage di Racak. Il Gruppo di Contatto decide di imporre a serbi e albanesi un negoziato sotto la propria egida, in forma di ultimatum. Rambouillet deve essere una sorta di conclave da cui non si esce senza un risultato, che sia la fumata bianca della pace o quella nera della guerra.

Le settimane di trattative nel castello di Francesco I rivelano pubblicamente il legame tra Usa e U�k. Sono gli americani che portano Hashim Tha�i alla guida della delegazione albanese, in cui Rugova, presidente democraticamente eletto dai kosovari, passa in secondo piano rispetto a questo giovane di 29 anni che nel 1991 i serbi avevano espulso dall'universit� di Pristina. Tha�i ha l'attenzione della Albright e riceve le premure di Wesley Clark, comandante supremo della Nato, ma al termine della prima fase dei negoziati non firma il testo dell'accordo in quanto non prevede l'indipendenza del Kosovo. Dopo l'insuccesso della prima fase negoziale, Tha�i � invitato a Washington dove con pazienza gli viene spiegata la convenienza di firmare.

Una seconda fase negoziale riprende il 15 marzo a Parigi. Il testo dell'accordo, che rimane quello di Rambouillet, non prospetta l'indipendenza del Kosovo. L'indipendenza � il dogma della fede albanese kosovara. Tutte le soluzioni politiche diverse dall'indipendenza sono considerate in linea di principio inammissibili dall'U�k ma anche da Rugova (che per� ben comprende la necessit� di una gradualit� politica nel raggiungimento degli obiettivi). Nel 1991 gli albanesi hanno scelto per l'indipendenza del Kosovo con un referendum che � stato piuttosto un plebiscito. Ma soprattutto gli albanesi politicamente pi� moderati, come Rugova e Agani, riconoscono l'esigenza di tappe intermedie per raggiungere l'indipendenza. Una di queste tappe, da anni invocata, consiste nell'occupazione militare del Kosovo da parte di truppe Onu o Nato. Il documento di Rambouillet soddisfa le aspettative albanesi da questo punto di vista. Il consenso infine espresso al piano di pace di Rambouillet da parte kosovara non significa la rinuncia all'indipendenza bens� una progressione tattica verso questo obiettivo. Anche Tha�i firma. Lo fa sapendo che i serbi non intendono firmare e che il loro rifiuto del piano di pace decreta l'inizio dei bombardamenti.

Perch� i serbi non firmano? Il piano di pace appare loro congegnato in modo tale da significare, in particolare con l'ingresso di truppe straniere in Kosovo e il ritiro di quelle jugoslave, la fine della sovranit� serba sulla regione, malgrado le assicurazioni sull'intoccabilit� dei confini. Milosevic sa che solo la presenza massiccia della polizia serba garantisce ormai che questa regione, al 90% albanese, resti jugoslava. Preferisce accettare una guerra disastrosa per il proprio popolo piuttosto che cedere il Kosovo. L'irresponsabilit� di questa scelta � pari all'irragionevolezza dimostrata nel mantenere il possesso di una regione gi� perduta sul piano demografico. L'irremovibilit� di Milosevic � del resto coerente con la condotta seguita negli anni precedenti, avara di concessioni e di prospettive.

All'indomani della firma apposta al piano di pace, gli esponenti dell'U�k cominciano a reclamare con impazienza dalle potenze occidentali i bombardamenti. Non devono attendere molto. Ma l'avvio della guerra tra la Nato e la Jugoslavia � disastroso per i kosovari stessi che l'hanno desiderata. La collera dei serbi, che non pu� riversarsi sugli americani irraggiungibili sui loro aerei, colpisce tragicamente la popolazione albanese che l'U�k raramente difende. Se le azioni della Nato che provocano la morte di civili serbi nel corso dei bombardamenti sono definite vili e barbare da Belgrado, quanto i serbi fanno in Kosovo, colpendo la popolazione civile con furia vandalica, non � affatto meno vile e barbaro.

Quando taceranno le armi, si dovr� riflettere sull'opportunit� dell'averle usate. Le guerre nei Balcani producono vincitori ma anche folli rancori e propositi di vendetta. Nella complessit� dei Balcani le guerre si ripresentano proprio perch� i conflitti del passato sono stati risolti con la forza, in una catena di orrori e pulizie etniche che solo soluzioni politiche consensuali possono spezzare.

Roberto Morozzo della Rocca