Comunità di S.Egidio


 

20 febbraio 2000

La speranza di un continente "cancellato" 

 

La Comunit� di Sant'Egidio vive da tempo un legame profondo con l'Africa, fin da quando, negli anni Settanta, cominciavano ad arrivare nel nostro Paese i primi immigrati. Come restare insensibili di fronte alle domande concrete di chi era costretto ad abbandonare la propria terra per la guerra, la fame, l'ingiustizia? Ma Sant'Egidio ha sempre camminato fino ad oggi guardando al continente sull'altra sponda del Mediterraneo. Nata nel '68 quando se ne parlava pi� spesso e quando nella Chiesa del Concilio Vaticano II maturavano attenzione e sensibilit� nei confronti del "continente giovane", la Comunit� non se n'� dimenticata negli anni successivi. Basta pensare alla pace in Mozambico, raggiunta nel '92 grazie alle trattative avviate da Sant'Egidio, fino al negoziato per il Burundi e a tante iniziative in molti altri Paesi tra cui l'Algeria e il Sudan, che proprio pochi giorni fa hanno fatto guadagnare alla Comunit� l'importante riconoscimento del premio Houphouet-Boigny per la pace dell'Unesco. Ci sono anche altri interventi. Nelle prossime settimane partir� il pi� ampio progetto mai effettuato di lotta all'Aids in Africa, portato avanti da Sant'Egidio e finanziato dalla cooperazione internazionale. Ma non c'� solo questo lavoro. C'� di pi�. In tutto il continente sono nate numerose comunit� di Sant'Egidio, tutte composte e guidate da africani che lavorano per l'Africa, che si preoccupano delle ingiustizie e della povert� delle loro regioni. E che non puntano al Nord del mondo, all'emigrazione, come unica �ncora di salvezza. In altre parole, giovani che vedono il loro futuro nei Paesi in cui vivono.

E' vero che oggi, all'alba del nuovo Millennio, l'Africa vista dall'Italia e dall'Europa sembra molto pi� lontana di ieri. Se ne parla molto meno degli anni Sessanta, quando i Paesi che si erano appena liberati dal colonialismo sembravano votati ad un rapido sviluppo, grazie anche alle loro ricchezze naturali. Rappresentava allora, quel continente, il 9 per cento del commercio mondiale. Oggi la percentuale � scesa al 3 per cento. Pesano su questo bilancio negativo le tante guerre che attraversano il continente, come l'ultima, quella che colpisce la Repubblica Democratica del Congo, che ormai coinvolge tutti i Paesi della regione. E pesa come un macigno l'Aids, con il triste primato dei due terzi dei casi mondiali. Ripetono in tanti: "� solo un continente alla deriva".

Ma davvero l'Africa � cos� lontana, cos� "estranea" alle nostre vicende? La storia di Yaguine e Fod�, i due ragazzi della Guinea Conakry morti sul carrello di un aereo mentre tentavano di raggiungere il Belgio, ci dimostra invece, anche se lo neghiamo o non ce ne accorgiamo, che c'� un grande legame. La lettera-testamento che ci hanno lasciato ci sveglia dall'illusione di poter vivere nella fortezza-Europa, come se l'Africa non esistesse. Sono poche frasi semplici e dignitose con cui ci si rivolge ai "Responsabili dell'Europa" non per chiedere la ricchezza, ma l'essenziale, cio� permettere ai giovani africani di studiare, crescere, essere curati quando si sta male, in altre parole avere alcuni diritti primari, avere la base per poter guardare al futuro. L'Africa si rivolge al Nord del mondo, l'Africa ha bisogno di essere aiutata. Per tanti motivi: perch� l'Europa ricca e piena di strumenti e valori come quelli della democrazia e del welfare non pu� restare insensibile all'agonia di interi popoli. E a volte basterebbe anche poco per dare risposte concrete. O, se vogliamo, anche per motivi pi� utilitaristici. Dare una risposta alle domande disperate dei due ragazzi guineani, ribattezzati nel loro Paese "les martyres de l'Afrique", � anche una via obbligata se si vuole allentare la pressione migratoria verso il Nord del mondo. Ma non � vero che � impossibile, come dicono tanti, che gli africani prendano in mano il loro avvenire.

Lo dimostra l'esperienza delle nostre Comunit� in Africa. L'esempio del Mozambico � significativo. E' da Roma che � partita la scelta nel '90 di intraprendere la via del negoziato che port� nel '92 alla pace tra il governo e la guerriglia della Renamo. C'era un debito da colmare nei confronti di un Paese che in 16 anni di guerra civile aveva avuto un milione di morti. Era difficile, ma doveroso e possibile grazie anche ai contatti che da anni Sant'Egidio aveva stabilito con quel Paese. E anche perch� fino ad allora tutti i tentativi di trovare un accordo avviati in Africa erano falliti. Ma oggi Sant'Egidio in Mozambico vuol dire soprattutto migliaia di giovani mozambicani di tantissime citt� che si prendono cura dei bambini pi� poveri delle bidonvilles, in questi giorni colpite da una disastrosa alluvione. Oppure studenti che si recano nel carcere di Pemba (citt� nel Nord del Paese) a visitare prigionieri che rischiano la vita per le condizioni di detenzione, in attesa di un giudizio che per molti non arriver� mai. E ancora, in Costa d'Avorio, liceali che diventano amici dei mendicanti disprezzati da tutti perch� vivono di elemosina e che solidarizzano con gli immigrati del Burkina Faso cacciati da regioni in cui vivevano da sempre. Oppure studenti che in Guinea Conakry, il Paese di Yaguine e Fod�, fanno assemblee nelle scuole per spiegare che c'� un futuro anche per l'Africa. E in molti altri Paesi tanti giovani che aiutano i bambini di strada a lottare contro una mentalit� di violenza e i pregiudizi dell'ambiente attorno a loro. Cristiani amici dei poveri, che sono spesso musulmani, universitari e lavoratori che si ritrovano insieme al di l� delle etnie di origine. Fatto molto raro nella maggior parte del continente. Testimonianze che contribuiscono alla coabitazione e alla pace. E' l'Africa che comincia a costruirsi un futuro diverso. E' ancora poco forse. Ma � tanto di fronte a chi ripete che "non c'� speranza". Una mano tesa dal Nord che � importante, necessaria. Tante braccia che lavorano nel Sud. E insieme si pu� uscire dal tunnel dell'indifferenza, dalla politica miope delle porte chiuse.

Mario Marazziti
Comunit� di Sant'Egidio

 

Dall'editoriale di Walter Veltroni 
Speranze per l'Africa

 

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Il 30% dei bambini che vivono nell'Africa subsahariana soffre la fame. Dei bambini che nascono in paesi come il Niger e la Sierra Leone uno su tre muore prima di raggiungere i cinque anni. E a guardare le statistiche sull'Indice di sviluppo umano, che non misura solo di dati del Pil, ma anche quelli relativi a speranza di vita e alfabetizzazione della popolazione adulta, ci si accorge non solo delle enormi disparit� tra paesi sviluppati e non, ma anche di come gli ultimi diciannove paesi della lista siano tutti africani.

Queste sono cifre, e purtroppo ce ne sono, altrettanto terribili, da riempire pagine e pagine. Dietro ad esse c'� una realt� che colpisce ancora di pi�. � una realt� che toccheremo con mano nei prossimi giorni. Andando a trovare i genitori di Yaguine e Fode, i ragazzi africani trovati morti assiderati nel vano del carrello di un airbus proveniente dalla Guinea, da dove erano partiti per fuggire alla miseria. Andando, a Conacry, in un ospedale che raccoglie i rifugiati della Sierra Leone, dove un conflitto silenzioso sta facendo migliaia di vittime. Visitando, in Angola, le strutture dove le organizzazioni non governative italiane aiutano i bambini vittime della guerra. Incontrando, vicino ad Abidjan, la Comunit� di S. Egidio che si occupa dei bambini di strada. Andando, a Nairobi, da Padre Zanotelli, che da anni dedica la sua vita agli ultimi, a chi vive, se cos� si pu� dire, in enormi discariche che non riesco a immaginare se non come una sorta di girone dantesco, davvero come l'inferno in terra. Cos'altro � un luogo dove poveri e affamati cercano di sopravvivere con quello che trovano arrampicandosi sulle montagne di immondizia, di rifiuti gettati dai ricchi, ai margini di una megalopoli? Non sar� un viaggio facile.

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Walter Veltroni