Comunità di S.Egidio


 

11 marzo 2000

PAESI POVERI
RIDUZIONE DEL DEBITO COERENZA A TUTTA PROVA

 

L'iniziativa della Chiesa italiana per la riduzione del debito estero dei Paesi pi� poveri sta trovando ampi consensi anche al di fuori del mondo ecclesiale. Infatti � una prospettiva che risponde a una domanda che vasti settori del nostro Paese si portano dentro: che cosa si pu� fare per il Sud del mondo e in particolare per l'Africa? La Conferenza episcopale italiana ha avanzato una proposta operativa che accoglie l'idea lanciata da Giovanni Paolo II con la Tertio Millennio Adveniente nel 1994. Si � lavorato per rendere praticabile questa idea che vuole manifestare, in occasione del Giubileo, una nuova solidariet�.

� una concretezza importante, perch� mostra che la proclamazione dei principi o la denuncia delle ingiustizie � spesso accolta con freddezza in questo nostro tempo. Limitarsi a questo aspetto rischia di generare senso di impotenza e frustrazione. La gente chiede che cosa fare. In non pochi settori si va determinando l'idea che la solidariet� sia impossibile da un punto di vista concreto. Questa consapevolezza ha alle spalle la crisi della cooperazione negli anni Ottanta o vicende pi� recenti. Non si ha fiducia nei nostri canali di solidariet�. Si � inquieti di come essa sar� gestita nei Paesi africani, dopo vicende di corruzione o di malgoverno.

La Chiesa italiana non si � rassegnata all'impotenza. Non lo ha fatto per il vincolo di comunione che la lega a tante Chiese del Sud del mondo. Non lo ha fatto per lo stimolo costante che viene da tanti italiani e italiane, missionari nel Sud del mondo, che ricordano con la loro vita a questo Paese il debito della solidariet�. Non lo ha fatto, perch� inquietata dal messaggio di Giovanni Paolo II, che non si rassegna all'abbandono e alla dimenticanza di tante parti povere del mondo. Questo ha prodotto in parecchi ambienti del nostro cattolicesimo un itinerario di ricerca molto concreto: come trasformare il debito in investimento per lo sviluppo.

Questa azione intende promuovere una nuova sensibilit� in Italia. La cultura della solidariet� nel nostro Paese e nelle nostre Chiese ha bisogno di essere rifondata. Deve passare dall'emergenza o dalla denuncia alla coscienza costante e impegnata di un destino comune tra Nord e Sud del mondo. La spinta a dimenticare l'Africa � forte. L'aiutano un mondo di pregiudizi e di ignoranza. Si dice che i nostri problemi sono sul fianco Est dell'Europa e che si sta troppo speculando sui sensi di colpa degli europei. In realt� l'Africa, nel suo complesso, non � estranea al nostro mondo. I nostri destini sono intrecciati. L'Africa pu� sembrare lontana ma, piaccia o no, � la stessa nostra civilt�. Questa realt� � frutto di una storia lunga.

Per questo - e per molti altri motivi - non � possibile dimenticare l'Africa. Ma non basta proclamare un principio: occorre renderlo praticabile per i pi�. La via concreta scelta dalla Cei � un inizio importante. Ha il merito della concretezza. E ha avuto, tra l'altro, la forza di scuotere parecchi settori e istituzioni del nostro Paese. Naturalmente � un inizio. C'� una cultura della solidariet� da mettere in campo e ci sono politiche da realizzare. Mi pare, per�, significativo che questo avvenga durante il Giubileo: richiamo alla remissione del debito, ma anche a un ripensamento responsabile all'inizio di un secolo e di un millennio. La grande speranza � che la concretezza delle proposte avvii un processo di rifondazione della cultura della solidariet� in Italia. � un processo auspicato da tante realt� ecclesiali impegnate nel Sud del mondo, richiesto dai missionari e che nasce nel cuore di una Chiesa che, con la grazia del Giubileo, si apre a pi� larghe responsabilit�.

Esiste, d'altra parte, un'azione da condurre in vari Paesi di quell'area. Il progetto della Cei prevede una partnership dei governi e delle Chiese locali. L'esperienza delle classi dirigenti del Sud del mondo - sia detto senza alcun disprezzo - non � sempre positiva. C'� una cultura di governo e di senso dell'interesse nazionale da sviluppare. Lo sanno quanti operano in questi Paesi. Credo che gi� il fatto di ragionare insieme sugli investimenti allo sviluppo sia uno stimolo al rinnovamento o almeno al contenimento dello spreco.

L'interrogativo � condiviso anche dalle Chiese africane, come si � visto nel corso del Sinodo sull'Africa. Mi sembra che quelle Chiese, che hanno alle loro spalle una storia di grande impegno educativo nel Novecento, debbano ripensare in una situazione nuova cosa vuol dire contribuire alla formazione di classi dirigenti responsabili e motivate. Del resto l'Africa ha grandi risorse umane. Grandi africani occupano posti di responsabilit�, con frutti notevoli, nelle organizzazioni internazionali: dall'Onu, alla Fao ad Amnesty International. Indubbiamente l'Africa non pu� essere salvata solo da iniziative del Nord, che resterebbero velleitarie. C'� una sinergia da creare tra una nuova politica internazionale e nuove politiche nazionali.

Questi grandi compiti non debbono scoraggiare. Anche in Europa ci siamo trovati con gravissimi problemi dopo decenni o secoli di funzionamento collaudato delle istituzioni. C'� solo da auspicare che il nuovo secolo sia capace di elaborare una cultura e una politica della solidariet�, all'origine di fatti concreti. Questi saranno un segno per le popolazioni africane: che non sono state dimenticate. Saranno l'espressione di una nuova coscienza europea: nessun Paese pu� sperare di "salvarsi" da solo, ma nella comunit� dei popoli, almeno nei confini della propria civilt�.

Andrea Riccardi