La
mia citt� d'adozione, Rimini, ha tratto dal suo scrigno profano -
essendo principalmente votata alla pur sapiente leggerezza della vacanza
- la sua seconda perla: dopo Chiara Lubich, ha insignito della
cittadinanza onoraria Andrea Riccardi. Prima, dunque, una donna che - lo
dice un laico non avvezzo ad alcun genere di rigore canonico, eppure
fidando nel valore di una percezione condivisa - ha gi� il carisma di
un dottore della Chiesa, e poi un uomo che, per come testimonia,
ovunque, il fondamento cristiano della fratellanza, ha gi� la
reputazione di un premio Nobel per la pace.
Sono contento che nella Sala dell'Arengo della mia citt� malatestiana,
rischiarata dal biancore rinascimentale del Tempio di Leon Battista
Alberti, siano oggi affiliate, per dir cos�, due creature appartenenti
all'anima del mondo; e non importa che Riccardi possa
"vantare" diversi anni di effettiva, seppur lontana,
riminesit�, e Chiara sia di casa attraverso uno dei suoi pi� discreti,
ma generosi focolari: ci� che li mette insieme, nella perspicace e
delicata sensibilit� del riconoscimento municipale, � l'appartenenza a
una vocazione cui Rimini, avvezza a ben altro genere di universalit�,
guarda con il rispetto che l'effimero deve a ci� che, invece, ha la
natura per durare.
Ottobre 1992. La Comunit� di Sant'Egidio ha stupito il mondo
realizzando in Mozambico una pace giudicata "impossibile".
Analisti ed esperti sono ammirati e nello stesso tempo perplessi. Come
mai, si domandano, questo "singolare gruppo di mediatori" -
cos� lo ha definito il Washington Post, "unlikely team of
peace-brokers", dove "unlikely" pu� anche essere letto
come "improbabile", eufemismo per "improvvisato" o
"dilettante" - � riuscito dove altri non hanno neppure
tentato? N� pu� dirsi che abbia ottenuto tanto successo per un colpo
di fortuna, bens� costruendo dalle fondamenta un negoziato, facendolo
procedere per ventisette mesi, fino a consegnare alle Nazioni Unite un
accordo che poneva termine a sedici anni di guerra civile, e mettendosi
da parte dopo la firma dell'intesa, il giorno di san Francesco.
A mente fredda, qualche tempo dopo, un giudizio meditato e autorevole
sarebbe venuto dal segretario dell'Onu, Boutros-Ghali, egiziano,
diplomatico di carriera. Eccolo: "La Comunit� di Sant'Egidio ha
sviluppato tecniche che divergono da quelle impiegate dai peace-makers
professionali; e tuttavia, al tempo stesso, complementari. Nel Mozambico
la Comunit� ha lavorato con discrezione, per anni, perch�
s'incontrassero le due parti in lotta. Ha messo a frutto i propri
contatti, ed � stata particolarmente efficace nel coinvolgere coloro
che potevano contribuire alla soluzione. Come? Ha applicato le sue
tecniche, caratterizzate da riservatezza e informalit�, insieme, e in
armonia con il lavoro ufficiale svolto dai governi o dagli organismi
intergovernativi."
"Sulla base dell'esperienza mozambicana, per descrivere questa
miscela, unica nel suo genere, di impegno per la pace, governativo e
non, si � coniata l'espressione formula italiana. Il rispetto per le
parti in conflitto, e per quanti erano coinvolti sul terreno dello
scontro, � stato alla base del successo di tale iniziativa".
Andrea Riccardi, improvvisamente "scoperto" dai media
internazionali, insieme con la Comunit� di cui � stato l'iniziatore,
si era preoccupato di evitare che l'immagine autentica di Sant'Egidio
non venisse alterata per approssimazione o sensazionalismo. C'era chi
gli domandava quando e perch� i membri della Comunit� avessero
abbandonato il servizio di solidariet� sociale per impegnarsi
nell'azione diplomatica: Riccardi replicava che quel servizio
proseguiva, che la diplomazia era un impegno eccezionale, mentre quello
ordinario, quotidiano, era l'aiuto ai poveri; e metteva in chiaro che, a
Sant'Egidio, non si vedeva contraddizione tra la solidariet� con i
singoli e quella con i popoli.
Sull'argomento Riccardi ritorna, dedicandovi pi� di una pagina
illuminante, in un libro-intervista, testimonianza schietta delle sue
convinzioni ed efficace sintesi della storia della Comunit�, dei
princ�pi cui si ispira e dei problemi che affronta (Andrea Riccardi -
Colloquio con J.D. Durand e R. Ladous - Sant'Egidio Roma e il
mondo,
Prefazione di Carlo Maria Martini, San Paolo, 1997).
A proposito dell'azione per la pace in Mozambico vi si precisa che essa
fu preceduta da altri tentativi, in Libano, all'inizio degli anni '80:
dopo un incontro con Walid Jumblatt, a Sant'Egidio, si ottenne il
ritorno di profughi cristiani nello Chouf e la liberazione di alcuni
villaggi assediati. L'aspetto pi� interessante dell'esperienza
mozambicana stava nel fatto che l'iniziativa era, s�, partita da
Sant'Egidio, ma la Comunit� aveva interessato e coinvolto lo Stato
italiano: il quale, in posizione preminente nei programmi di
cooperazione allo sviluppo, esercitava in Mozambico una notevole
influenza. Sant'Egidio partecipava ai progetti di sviluppo e aveva
stretto molti legami d'amicizia in tutto il Paese. Ben presto dovette
rendersi conto, per�, che senza la pace quei progetti erano inutili.
Alla sede romana della Comunit� erano gi� giunte dal Mozambico
migliaia di lettere che chiedevano la pace, in gran parte raccolte dai
missionari.
Quando venne il momento favorevole per impiantare il negoziato su una
base stabile si form� un gruppo di mediatori modellato secondo quanto
suggerivano le particolari circostanze in cui si doveva operare: ne
facevano parte un parlamentare italiano, Mario Gabrielli, che dava
garanzie al Governo del Mozambico; l'arcivescovo di Beira, Jaime
Goncalves, che rassicurava la guerriglia; Andrea Riccardi e don Matteo
Zuppi, prete romano, ai quali spettava la parte pi� delicata della
mediazione, per conto di Sant'Egidio. Poi si aggiunsero osservatori
della Francia, dell'Inghilterra, dell'Onu, infine del Portogallo e degli
Stati Uniti. La tecnica della trattativa, di cui Riccardi � stato
l'abile regolatore, � diventata materia di studio. Un saggio su di essa
si deve al diplomatico americano Cameron Hume (Ending Mozambique's
War,
"La fine della guerra nel Mozambico", Washington 1994) e un
altro a uno studioso italiano, Roberto Morozzo della Rocca (Mozambico,
Dalla guerra alla pace, San Paolo, 1994).
Di ci� Riccardi pu� essere giustamente orgoglioso. Tutto era avvenuto
nello spirito della Comunit�, tant'� che durante i ventinove mesi del
difficile negoziato, ogni sera, la campana di Sant'Egidio aveva suonato
alle 20 e 30 per chiamare alla preghiera comune, aperta a tutti. Il
benvenuto per chi si avvicina alla Comunit� � stato sempre:
"Allora, venga a pregare con noi". Che vuol dire l'uno a
fianco dell'altro, anche con preghiere diverse. "L'immagine che mi
� pi� cara e che vorrei restasse di Sant'Egidio", dice Riccardi,
"� quella di una comunit� in preghiera!".
Ottobre 1975, borgata Alessandrina, alla periferia di Roma. Baracche,
fango, miseria. Nello stanzone di una pizzeria che ha traslocato in
cerca di miglior fortuna, si dice messa, ogni domenica, da quando i
ragazzi della Comunit� di Sant'Egidio - hanno tutti, pi� o meno,
vent'anni - vi si sono sistemati alla meglio. Chi celebra all'altare,
invece, va verso i cinquanta. � il rettore del Pontificio istituto
biblico, Carlo Maria Martini, che diventer� arcivescovo di Milano e
cardinale. Ha chiesto di partecipare alla vita della Comunit�, nella
quale si era imbattuto un po' per caso, come racconter� lui stesso, un
po' perch� la cercava senza saperlo. Il Concilio aveva lasciato aperto
un contrasto: da una parte si sanciva la priorit� dell'impegno per i
poveri, dall'altra ci si affidava alla spiritualit� e alla preghiera.
Martini pens� che doveva pur esserci un modo di conciliare le due
esigenze. Non solo in teoria, ma nella pratica quotidiana. Aveva trovato
la risposta nella Comunit� alla quale aveva dato vita Riccardi, con un
gruppo di compagni di liceo, nel 1968, per dedicarsi a diffondere il
Vangelo vivendolo ogni giorno. Martini ravvisava in essa la purezza e la
forza della Chiesa al suo inizio, quella degli Atti degli apostoli, e a
distanza di anni scriver�: "� una sintesi vissuta del Primato di
Dio, della preghiera, dell'ascolto della Parola". Perch� a
Sant'Egidio "si prega sul serio, la Bibbia � presa sul serio, i
poveri sono presi sul serio". Carlo Maria Martini, nel 1979, ha
lasciato Roma e Sant'Egidio, di cui � rimasto fedele amico, per la
diocesi di Milano e la porpora.
La Comunit�, intanto, � cresciuta: oggi raccoglie 30 mila membri ed �
presente in pi� di 30 Paesi di quattro continenti. La sua attenzione ai
poveri si � diffusa senza affievolirsi. Alla "pace possibile"
del Mozambico sono seguiti altri successi: nel 1995, il rilancio del
negoziato che ha posto fine, in Guatemala, a una guerra civile che
durava da venticinque anni; e, sempre nel 1995, gli incontri romani dei
partiti di opposizione algerini, tra i quali si � concordato un
documento, la cosiddetta Piattaforma di Roma, che elabora una via
d'uscita politica, ponendo termine alle stragi.
Andrea Riccardi ha cinquant'anni, � professore ordinario di Storia
contemporanea, si � fatto una reputazione internazionale anche con i
suoi studi. Temi: la Chiesa di Roma, il cristianesimo nel Novecento,
Roma capitale religiosa, il difficile rapporto del cristianesimo con la
cultura e la modernit�. Tra le sue opere, tradotte in varie lingue,
l'ultima, di imminente pubblicazione, � dedicata ai martiri cristiani
dell'ultimo secolo. Ha per titolo Il secolo
del martirio. � sempre alla
guida della Comunit� di cui � fondatore, pi� volte candidata al
premio Nobel per la pace. Sant'Egidio ha un posto di spicco nel dialogo
ecumenico, che ha avuto momenti memorabili nei grandi convegni
"Uomini e Religioni" e nelle "Preghiere per la pace",
lungo il solco aperto nel 1986, ad Assisi, da Giovanni Paolo II.
Devo ora concludere, senza aver detto di Andrea Riccardi, personalit�
tra le pi� significative del nostro tempo, tutto ci� che avrei voluto.
Non rinuncio per� a tentare di cogliere un tratto che mi pare precipuo
nel suo carattere: la dedizione agli ultimi, ai pi� deboli e offesi,
nella concretezza.
"La carit�", ha scritto di recente in un articolo che aveva
per tema la fame, "� non rinviare mai al domani, a un domani
migliore, il bisognoso. C'� un uomo che ha bisogno, di fronte a noi.
Quest'uomo esprime un problema generale, che merita una soluzione
generale. Ma anche quell'uomo concreto � un bisogno, e ha un
bisogno". E conclude con una lettera inviatagli da Londra: � di
Mohamed, il quale ha frequentato la mensa di Sant'Egidio per due mesi.
"Ricordo", vi si legge, "come fosse ieri sera: saliamo
per una strada molto larga, non molto illuminata, davanti a noi
camminano nugoli di persone, italiani o di altre nazionalit�, vecchi,
donne, bambini. Li vediamo quasi trascinati da una forza invisibile.
Adesso so come si chiamava questa forza: la speranza di avere un
futuro".
Penso all'intuizione della mia citt� che mettendosi in casa, insieme
con noi, creature come Chiara Lubich e Andrea Riccardi sembra voler
dichiarare, al di l� di quello che fai, anche ci� che sei, e
viceversa: l'esempio dialettico, speculare, di quanto esprimono i due
nostri, nuovi concittadini, per i quali fede e vita sono tutt'uno, la
parola � dialogo, la preghiera � comunione, e in qualunque luogo si
stia soli, trafitti dal celebre raggio di sole di Quasimodo - per cui
"� subito sera" -, occorre trasformare il mondo in un
crocevia dove ci si scambia la perenne luce di Dio, e consegnandoci al
suo spirito gli si rimette la nostra umanit�, per condividere una
storia dopotutto nata da lui. Sapendo che il credere deve essere
visibile, dare testimonianza, provocare s� stessi e Dio insieme, cio�
aver fede allo stesso modo in ci� che senti e fai, essere fattivo
profeta della storia e mistico intermediario del divino.
Sergio
Zavoli
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