Comunità di S.Egidio


 

25 giugno 2000

CAMBIARE L'ARIA NELLE NOSTRE CARCERI

 

Il carcere e la condizione carceraria, all'improvviso, sono usciti dal silenzio, portandosi al centro dell'attenzione nazionale, dai fatti di Sassari in poi. E progressivamente, superando un tab� non scritto ma reale, i termini - ad esempio - amnistia e indulto appaiono per quello che sono, possibilit� reali, scelte possibili, come in generale i gesti di clemenza, in una societ� forte e che crede nella necessit� di amministrare la giustizia in maniera umana, e perci� giusta.

Anche il carcere e il dibattito sulla questione carceraria sono emersi per quello che sono: una delle chiavi per eccellenza per valutare il tasso di democrazia e di civilt� di un Paese, nel caso il nostro. Il benessere delle grandi democrazie occidentali rischia purtroppo di accompagnarsi a un accresciuto malessere e a una protezione sociale pi� fragile, con il risultato di prigioni sempre pi� piene e che non bastano mai. Il rischio � quello di societ� pi� ricche e sempre meno capaci di dare al disagio sociale risposte diverse da quelle della recinzione e della carcerazione. La sfida, al contrario, � quella di un sistema giudiziario capace di prevenire la devianza, in grado di garantire sicurezza e offrire sanzioni capaci di riabilitare, senza vendetta. Per fare questo occorre essere liberi da scarti emotivi e da scontri opportunistici, guardando alle questioni reali. L'alto numero di tossicodipendenti e di immigrati in carcere per piccoli reati - per fare solo un esempio - mostra, infatti, a uno sguardo sereno non tanto la predisposizione a "delinquere" di queste categorie quanto piuttosto una collocazione parzialmente errata della frontiera del reato e dell'irregolarit�, e un'arcaica coincidenza tra carcerazione e sanzione. Contemporaneamente, scontiamo la carenza delle reti di reinserimento e di promozione sociale, previste ma non attuate.

� vero, a ondate cresce l'allarme sociale. Ma l'allarme sociale si concentra spesso sulla crosta dei problemi, quelli pi� "mediatizzati", e non raramente � infondato. Come quando si volevano espellere gli stranieri dopo l'ondata di violenza a Milano e poi si � scoperto che le rapine non erano opera di albanesi ma di italiani. Periodicamente � stato invocato un "pacchetto sicurezza" di fronte a reati commessi da persone in semilibert�: ma pochi hanno ragionato sul fatto che appena un detenuto ogni duecento commette in Italia nuovi reati mentre gode di benefici extracarcerari, quando tanti di pi� ricadono e sono recidivi al termine della pena.

Nel dibattito si � inserito anche un fatto inatteso, la grazia ad Al� Agca, e intanto � all'orizzonte il Giubileo nelle carceri.

La grazia ad Al� Agca non ha risposto ai termini tradizionali: richiesta di perdono-grazia-assenza di pericolosit� sociale-non odiosit� del reato commesso. Proprio per questo introduce elementi significativi che possono aiutare a impostare in maniera nuova il problema.

Come � noto, c'� chi obietta che il Papa e i vescovi non dovrebbero occuparsi delle cose "italiane", e che ogni amnistia sarebbe tout court una forma intrinseca di ingiustizia, come, alla fine, ogni attenuazione delle pene. Ci si permetta di non concordare, almeno in un Paese in cui solo un processo su dieci arriva a sentenza e dove il criterio per scegliere un processo o un altro � discrezionale. Se il sistema della giustizia � obeso, lento, affannato, non � saggio concentrare unicamente sulla detenzione l'idea di giustizia.

Una divisione tra sostenitori della clemenza e dell'amnistia (ritenuti "lassisti") e difensori della legalit� (bloccati dal timore dei "colpi di spugna") sarebbe oggi ancora una volta letale, e comunque produrrebbe il perdurare di offese alla dignit� umana e di spaccature nel Paese. Un confronto in questi termini rischia di essere un'articolazione ulteriore di una politica dell'immediato, condizionata dal guadagno del momento e pesantemente influenzata dal passato.

C'� una "cultura del Giubileo", strutturalmente diversa dalla "politica dell'immediato", che non apre la strada al "perdonismo", ma indica (senza tornaconti di parte) la strada di una riconciliazione effettiva e di una giustizia non vendicativa, capace di creare futuro e non solo di contenere i danni del passato. Questa "cultura del Giubileo" si pu� tradurre in forme storiche, e vi sono esempi che - al largo dalle ingenuit� - si pongono in questa direzione, primo fra tutti quello del Sudafrica post-apartheid.

L'attuale confronto su clemenza, amnistia e indulto, su pena e riabilitazione, su sicurezza e disagio sociale, su societ� aperta e societ� chiusa � una grande occasione per far crescere questa nuova cultura del Giubileo e rimandare a casa l'ultima stagione di politica dell'immediato.

Mario Marazziti