Comunità di S.Egidio


 

 giugno 2000

La parola di Sant'Egidio
� la pi� famosa comunit� del mondo. Al centro di alcune delle iniziative diplomatiche pi� delicate del nostro tempo, prediletta da Giovanni Paolo II, Sant'Egidio non � tuttavia catalogabile in nessuno schema.
Per capirne di pi� Vivereoggi ha incontrato il portavoce Mario Marazziti

 

Paradossale Sant'Egidio. Se ci pensi, ti viene in mente il ruolo svolto dalla comunit� negli accordi di pace in Mozambico o I' "affaire Rugova" durante la guerra del Kosovo o l'intensa, perenne "attivit� diplomatica" in favore dell'incontro tra chiese e religioni diverse e tra queste con la cultura laica o ancora la mensa dei poveri a Trastevere. A questo pensi quando, in un pomeriggio caldo del maggio romano, ti presenti alla porta d'ingresso della sede centrale della comunit�, nella piazzetta di Sant'Egidio e ti aspetti un gran fervore, un viavai di gente indaffarata nell'operare. Entri e, nella piccola portineria, un ragazzo, il portiere, con cortesia sobria ti accompagna nella sala d'aspetto. Il mio interlocutore designato, Mario Marazziti, ha qualche minuto di ritardo. Mi accomodo su una sedia di legno in questa sala piena di affreschi di soggetto religioso. Di tanto in tanto appare e scompare qualche figura giovane. Il silenzio regna assoluto. Un silenzio conventuale, tipico del luogo di preghiera e di meditazione. "Ma dove sar� Sant'Egidio? � qui che si trova o da un'altra parte?", penso. E penso anche ai personaggi del potere, uomini di stato e di governo di svariati Paesi, che da qui sono passati e che qui, forse, dove sto io, si sono seduti. (Naturalmente, mi vengono alla mente le critiche, magari solo sussurrate, di chi ritiene Sant'Egidio "troppo compromessa con il potere", il paragone spontaneo va allora ad altre situazioni, ad altri personaggi che, come Vincenzo Muccioli ad esempio, per costruire una grande opera a favore di chi soffre o � emarginato, hanno avuto il bisogno di sedurre il potere per ottenere gli appoggi necessari a realizzare ci� che una "mente normale" non avrebbe mai pensato fosse attuabile).

Il mio interlocutore Mario Marazziti � finalmente arrivato. Si scusa per il ritardo e mi invita subito a seguirlo all'aperto, nel giardino conventuale "Qui possiamo parlare con maggiore tranquillit�", mi dice. Qui, in questo luogo di pace assoluta, avviene l'intervista.

Prima di venire qui, sono passato in S. Maria di Trastevere dove ho potuto vedere una scheda sulla storia di Sant'Egidio. Ho letto che siete nati nel '68. � un caso?

Credo che non ci sia mai nulla di casuale e credo che senza il Concilio Vaticano II e senza il clima del '68, quel clima di tensione per un cambiamento profondo, radicale, personale della societ�, forse la Comunit� di Sant'Egidio non sarebbe nata. Dentro il '68 Andrea Riccardi e alcuni amici prendono in mano il Vangelo, incontrano i poveri delle baracche romane e provano a costruire la propria vita attorno alla parola "comunit�". Comunit� � una parola magica, che comunque richiama l'immagine degli atti degli apostoli, delle origini cristiane oltre che la volont� di cambiare il mondo insieme, e non da soli. Comunque vuol dire anche amicizia come atteggiamento di fondo verso il mondo: non un luogo chiuso, quindi ma un luogo dove imparare a entrare in familiarit� col mondo. La differenza col '68 che in noi ha prevalso, � che al centro c'� il Vangelo, questo libro preso in mano in maniera molto asciutta, letto come ci sembrava lo leggesse San Francesco, nello sforzo di leggerlo sine glossa, senza aggiunte, letto dentro la periferia di Roma, innanzi tutto. II Vangelo � la nostra forza e la nostra debolezza, � ci� che per noi fa la differenza, direi che � stato negli anni, col senno di poi, quello che ci ha permesso di non essere subalterni all'ideologia dominante. La strada che abbiamo scelto insomma � stata quella di avere un solo maestro per non averne tanti. Certo c'era chi diceva che, siccome andavamo tra i pi� poveri di Roma, eravamo extraparlamentari o extraecclesiali, ma c'era anche chi, siccome non sposavamo il marxismo, diceva che eravamo pre-politici, o che eravamo assistenzialisti. Noi, da parte nostra, avevamo uno scopo molto semplice: stare accanto a chi non ce la fa e cambiare assieme a lui. Questo credo sia l'inizio della Comunit� di Sant'Egidio, che al principio per la verit� non aveva neanche un nome. Il nome Sant'Egidio arriva nel '73, quando approdiamo a questo ex monastero chiuso, abbandonato, nel cuore di Trastevere, al centro di Roma. � qui che la sera noi riapriamo una chiesa che negli anni, per molti anni, diventa l'unica chiesa che si apre la sera a Roma, quando tutte chiudono. Ecco, questa nostra fedelt� alla preghiera comune, questo aprire la porta di una chiesa nel cuore della citt�, direi che � questo che ha fatto negli anni quello che � Sant'Egidio oggi, un tentativo cio� di essere cristiani dentro una grande citt�, dentro tante grandi citt�, in una societ� urbana post-moderna, in cui la preghiera arriva alla fine della giornata, dentro il ritmo del lavoro, dentro il traffico. Oggi Sant'Egidio � in 35/36 Paesi fuori dall'Italia, ma non so come sarebbe stato Sant'Egidio se non fosse cominciato tutto a Roma, in questa citt� che e soprattutto un crocevia internazionale, senza questa chiesina che si apre nel cuore di una capitale, senza gli incontri che in questo modo sono stati caratterizzanti della storia della Comunit�.

Lei ha parlato di 35/36 Paesi in cui siete presenti. Mi pu� specificare dove?

In questi ultimi anni, per esempio in una decina di Paesi africani, ci sono Comunit� di Sant'Egidio; quest'anno abbiamo fatto due incontri, c'erano 1200 persone di tante piccole comunit� dell'Africa australe e circa 600 persone dell'Africa centro-occidentale. Le presenze in Africa sono tutte di persone locali che rappresentano una prima generazione di giovani africani con la passione per l'Africa, senza pi� la voglia di fuggire. Mi sembra che attorno al Vangelo, l'amicizia e l'attenzione ai pi� poveri, sia possibile invertire la tendenza di questa giovent� africana senza speranza, che cerca solo altrove il futuro, al contrario di questi giovani che vanno nelle carceri africane, che fanno le scuole con i bambini di strada, che cercano di costruire localmente il modo di combattere l'Aids.

Combattere l'Aids. Ma con quali iniziative?

Concretamente, da un lato stando accanto alle famiglie e alle vittime e ai malati di Aids. L'Aids oggi ha proporzioni enormi, immense, almeno in tutta l'Africa australe, e non solo. Oggi attraverso questi giovani la Comunit� nel suo complesso si sta assumendo questo problema e ha lanciato il primo, pi� grande progetto in Occidente per iniziare a curare l'Aids insieme al Centro di Montaign� a Parigi, a partire dal Mozambico. In questo modo noi contiamo di invertire la tendenza che fino all'altro ieri diceva che non si pu� curare l'Aids in Africa "perch� � troppo costoso e del tutto inutile". Al contrario, senza iniziare a curare l'Aids in Africa, sparir� un'intera parte del pianeta, sparir� nel senso che siamo in questo momento in molti Paesi a una percentuale tra il 15 e il 20% di infezione da Hiv nella fascia adulta. Questo vuol dire che verrebbero spazzate via un'intera generazione e intere fasce professionali. Le conseguenze dell'Aids sono anche la morte di interi settori produttivi, delle scuole, dei maestri, degli insegnanti.

Interi popoli che spariscono, dunque.

S�, questo � il rischio cos� come si rischia di perdere ogni possibilit� di riscatto. Gi� in Kenya non hanno pi� sufficienti maestri, a causa della mortalit� da Aids. Noi da parte nostra, stiamo gi� avviando questo lavoro e dall'autunno (c'� stato un rallentamento causato dall'alluvione) cominceremo a essere operativi sulla maggior parte del territorio mozambicano. Certo che si tratta di uno sforzo finanziario immenso e per�, dopo i fondi iniziali, noi speriamo che, attraverso una sorta di effetto-contagio positivo, il mondo occidentale veda che � possibile la cura dell'Aids e trovi conveniente salvare queste vite.

E' un progetto finanziato unicamente da soggetti istituzionali?

� un progetto che vede una parte di finanziamento iniziale, e solo per la parte iniziale, del Ministero degli Esteri italiano e di soggetti privati. � un progetto comunque partito come triennale, ma le dimensioni che sta acquistando fanno s� che o se ne fa un progetto-pilota per tutta l'Africa, in modo tale da far s� che possano arrivare altre risorse oppure � destinato a aprire una strada che non pu� essere continuata. Io ho fiducia che, dando dei grandi risultati come dar� e come sta dando, anche attraverso dei semplici interventi sar� possibile ridurre dal 40 all'80% la trasmissione madre-figlio dell'Hiv.

A quali interventi si riferisce?

Sono interventi terapeutici, assistenziali, con protocolli anche farmacologici, calibrati in loco con medicinali anche semplici. In alcune situazioni basta diffondere il "Bactrim", ad esempio. Sappiamo, siamo certi, che � possibile dimostrare che, con costi ragionevoli, migliaia, centinaia di migliaia e poi milioni di persone possano non morire pi�. Oggi in Occidente si tende a morire sempre di meno di Aids, riusciamo a convivere con la malattia, mentre in Africa, per ora, non si cura neanche la bronchite che deriva dall'Aids. La disparit� � tale che chiede un cambiamento radicale. Questa sensibilit� nasce anche dal messaggio che ci arriva dalle nostre Comunit� in Africa Tutti leggiamo il giornale, noi l'abbiamo sentito sulla nostra pelle, come una sfida necessaria, da non eludere. Sentiamo le nostre piccole forze vincolate a cercare una soluzione per questo continente che sembra troppo complicato, ormai, all'Occidente perch� se ne possa interessare per davvero.

Oltre tutto ci dovrebbe essere un interesse dell'Occidente a cercare di contenere un esodo di proporzioni bibliche che nei prossimi anni, secondo qualcuno, potrebbe dall'Africa riversarsi su di noi.

La grande povert�, la spinta a cercare migliori condizioni di vita, la disperazione, � una spinta enorme all'emigrazione. Le curve dell'immigrazione in Europa per� non sono mai state determinate solo da questo fattore. Ci sono dei cicli di grande disperazione con immigrazione molto bassa. In realt�, paradossalmente, c'� sempre una richiesta dell'Europa, quando c'� l'immigrazione, anche quella clandestina, anche quella irregolare. In genere le due cose o sono assieme, o una da sola non basta. Per cui, � verissimo che a tanta disperazione corrisponde per forza una spinta migratoria. L'Europa per� scoprir� sempre di pi� la necessit� di un'immigrazione che quanto pi� � regolarizzata, tanto pi� diventa interessante come fattore di equilibrio sociale, di sviluppo economico. L'immigrazione invece quanto pi� � lasciata allo stato brado dell'irregolarit�, se non della clandestinit�, tanto pi� favorir� alcuni settori selvaggi della grande o della piccola economia, ma rischier� di creare problemi che non si sanno controllare, come quelli della microcriminalit�. Ma la criminalit� non � colpa degli immigrati, � colpa di chi preferisce ci sia l'irregolarit�, perch� d� maggiori margini di sfruttamento e di guadagno. In California, ad esempio, ci sono 2 milioni di immigrati clandestini o irregolari, perch� cos� conviene al governo californiano. Infatti, una parte del boom economico americano � legato all'immigrazione, a un'immigrazione che a volte si regolarizza, a volte no, a seconda dei vantaggi dei cicli economici.

In Italia che tipo di azioni state intraprendendo?

In Italia la Comunit� � presente in maniera non uniforme in citt� come Bari, Napoli, Firenze, Trieste, Padova. C'� una piccola comunit� a Milano, altre ve ne sono a Torino e Novara. In una ventina di citt� in Italia c'� dunque una presenza reale della Comunit� di Sant'Egidio e in genere si tratta di persone che lavorano accanto agli anziani autosufficienti, che fanno una battaglia perch� si venga curati quanto pi� possibile, in casa propria. Si cerca di creare delle reti di solidariet� vicino casa, pi� economiche e, in genere, pi� umane rispetto all'istituzionalizzazione. In altri casi abbiamo gente che si sforza di aiutare una prima generazione di bambini zingari a andare a scuola regolarmente e trovare sbocchi diversi da quelli secolari dell'irregolarit� zingara, oppure che sta accanto ai malati di Aids a casa, all'ospedale, per strada, o che sta nelle strade accanto a chi � senza dimora. La nostra � insomma un'alleanza con i poveri per non imbarbarire, per non creare una societ� di spaventati intolleranti, dove ogni problema si scarica sui pi� deboli. Oggi sono nati dei movimenti accanto e attorno alla Comunit�, per esempio dei bambini delle periferie, dei bambini pi� deboli. Abbiamo ad esempio un'iniziativa di educazione al consumo, dove i giocattoli usati vengono raccolti in varie parti d'Italia, resi pi� belli, se possibile, cos� che possono diventare un regalo diverso per il Natale. In questo modo portiamo il nostro contributo contro l'inquinamento dato che i giocattoli sono tra gli oggetti che inquinano di pi�, perch� c'� tantissima plastica Dall'altra parte riusciamo anche a ricostruire un certo rapporto col consumo. Oltre a ci�, come dicevo, abbiamo intrapreso una battaglia nazionale per aiutare gli anziani a rimanere a casa propria, l'abbiamo fatto attorno a una lettera, "La lettera di Maria", con la quale un'anziana ragiona sul fatto che vorrebbe poter scegliere se finire in istituto o rimanere in casa propria, e dice: "Non capisco perch� il mio testamento ha valore dopo morta, mentre la mia volont� su scegliere dove essere curata non ha valore da viva". Su questo tema sono arrivate pi� di100.000 adesioni di anziani, a livello nazionale, ed � nato un movimento che si chiama "Viva gli anziani", che localmente (� in pi� di 50 citt� e paesi) d� vita a iniziative sulla condizione degli anziani, contro l'emarginazione degli anziani istituzionalizzati e per creare consapevolezza sul problema della terza et�, in una fase in cui nel nostro Paese gli anziani sono avvertiti un po' come un pericolo, come un'et� in pi� di cui non si sa che farci. Con gli immigrati, da 20 anni ormai la Comunit� ha stabilito dei rapporti notevoli. Basti pensare al fatto che solo al "Centro senza frontiere", oggi "Centro genti di pace", di via Dandolo, qui a Trastevere, sono venuti in dieci, anni 100mila immigrati. Questo � il punto in Italia dove sono passati pi� immigrati, perch� c'� una mensa, c'� una scuola di italiano, si � creata una rete di solidariet�, che credo abbia sgravato radicalmente l'impatto per gli immigrati, e al tempo stesso l'impatto sulla citt�. Attorno a questo centro oggi � nato un movimento, quello appunto di "Genti di pace", che raccoglie molte migliaia di immigrati ma non su base etnica, dato che si tratta di un movimento di stranieri e italiani e non di un'unica nazionalit�. Noi crediamo infatti che sia molto facile il corporativismo anche tra gli stranieri, nazionalit� per nazionalit�. Un altro rischio � che si crei un movimento di stranieri che diventa contrapposto a un movimento di italiani e viceversa. Al contrario "Genti di pace" oggi comincia ad avere sul territorio nazionale una presenza abbastanza forte e rappresenta un modello diverso di lavorare assieme. La Comunit� � inoltre molto impegnata su una campagna internazionale per una moratoria universale della pena capitale. Abbiamo raccolto quasi 2 milioni e mezzo di firme su un appello in questo senso e attorno si � costituito finalmente, per la prima volta, grazie ai rapporti che la Comunit� ha maturato in tanti anni, uno schieramento interreligioso, uno schieramento nazionale e internazionale contro la pena di morte, dove gli ebrei stanno accanto ai musulmani, ai buddisti, ai protestanti. Il nostro obiettivo � di arrivare prima o poi a una risoluzione dell'Assemblea Generale delle Nazioni Uniti, che non � vincolante, ma rende sempre pi� imbarazzante l'uso della pena capitale.

Lei ha toccato alcuni temi come quello degli anziani o dell'immigrazione che sono decisivi rispetto alla fase di trasformazione che sta attraversando il nostro welfare state. Quale � la vostra posizione in merito alla direzione che la nostra societ� dovrebbe al riguardo assumere?

Sia gli anziani che gli immigrati, a nostro parere, non sono tanto un problema ma piuttosto una chance. Si tratta di vedere come. Il problema del welfare state in Italia �, come in tutto l'Occidente, di tipo economico e in prospettiva non c'� compatibilit� tra classi lavoratrici e classi che hanno gi� lavorato, col rischio che tutto questo si scarichi anche sulla qualit� dei servizi. In realt�, � possibile spendere molto meno e offrire servizi pi� umani e di qualit� superiore invertendo la logica della moltiplicazione delle istituzioni per tutte le fasce deboli, ma in particolare per gli anziani. In Italia l'espansione della spesa per gli anziani e per gli istituzionalizzati in particolare, con servizi di bassa qualit�, si � dilatata, e la rete, invece, di assistenza domiciliare rimane del tutto irrisoria rispetto ai bisogni reali. Noi sentiamo che va sposata radicalmente la scelta non di un welfare state a pioggia di bassa qualit� per tutti, ma di stabilire una rete flessibile, elastica, articolata, vicina, per tutti quelli che non ce la fanno da soli, siano handicappati, anziani, adulti con problemi temporanei, ex carcerati. Questo vuol dire che il problema della non autosufficienza � diventato il problema ineludibile del presente e del futuro. Un milione circa di persone in Italia hanno questo problema, ma non � stata pensata a questo scopo n� la previdenza sociale, n� le pensioni, n� le assicurazioni, n� il sistema di sostegno territoriale. Allora io credo che proprio sulla capacit� di diventare flessibili e vicini, di accorciare le distanze, � possibile inventare una nuova alleanza giovani/anziani, per nuovi servizi vicini alle persone. Su questo terreno, chi far� prima, sia esso un comune, una provincia, una regione o un intero paese, diventer� trainante per gli altri, dato che la compatibilit� tra i costi e la maggiore qualit� della vita non mi sembra un sogno. A Roma noi, ad esempio, seguiamo circa 5.000 anziani direttamente e nel caso nostro sono tutti volontari a farlo.

Si tratta dunque di un'attivit� di puro volontariato?

S�, la Comunit� di Sant'Egidio mantiene questa caratteristica, e i pochissimi stipendiati sono per lavori amministrativi. Su 30.000 persone, gli stipendiati saranno una ventina.

Tornando al tema della vostra presenza internazionale. I media generalmente sottolineano il ruolo di Sant'Egidio come comunit� mediatrice nel caso di conflitti, come una sorta di agenzia diplomatica parallela allo Stato italiano o al Vaticano. Perch�?

Dopo la pace in Mozambico nel '92, costruita proprio da Sant'Egidio, una giornalista del Washington Post chiese a Andrea Riccardi: "Ma quando avete smesso il servizio ai poveri e avete iniziato l'attivit� diplomatica?". La risposa 0vviamente fu: "mai". Mai perch� la differenza pu� essere di scala ma � l'amicizia con interi popoli di poveri che conta. La stessa vicenda del Mozambico nasce dall'amicizia con un prete, un prete che poi diventa vescovo, che per noi � stato un tramite per conoscere la realt�. Abbiamo iniziato a mandare degli aiuti, a sostenere la libert� religiosa che non c'era e poi a inventarci il modo per parlare con il governo di queste cose. A un certo punto ci si � accorti che senza la pace tutto diventa pi� fragile, ci si � sforzati di avere dei contatti anche con l'altra parte, con la guerriglia Lo abbiamo fatto attraverso dei missionari, finch� alla fine, quando erano falliti molti tentativi internazionali, organizziamo, e accade che entrambe le parti vengono davvero, un primo incontro riservato a Roma. Questo primo incontro, che � per farli parlare, apre la strada a un negoziato vero e proprio; loro firmano con noi un primo documento in cui, mentre si chiamavano reciprocamente "bandidos armados" e terroristi e cosi via, si riconoscono fratelli della comune famiglia mozambicana. Da l� inizia un negoziato vero e proprio che dura due anni; loro ci chiedono di essere ufficialmente mediatori e la comunit� internazionale riconosce questo nostro ruolo ma rimane alla porta, rimane fuori. Allo stesso modo siamo impegnati in Burundi dove cerchiamo di arrivare a un cessate-il-fuoco tra Utu e Tutsi e di costruire le garanzie per la sicurezza di tutti. In questo ci troviamo oggi a lavorare insieme a Mandela. Tutto nasce da rapporti di amicizia, dalla fedelt� a dei missionari che ti chiamano, che ti raccontano, alle suore salesiane che ti chiamano disperate perch� la loro scuola in Sudan rischia di essere presa... Sant'Egidio � questa vicinanza a chi non ce la fa, in tutte le forme possibili, da parte di giovani, di meno giovani, di gente di tutte le et�, di tutti i ceti sociali, che crede che il Vangelo ancora pu� cambiare il mondo, che il Vangelo e l'amicizia possono aiutarci a resistere all'intolleranza, alla paura e anche a una globalizzazione senz'anima. Sui giornali, ad esempio, viene fuori che la Comunit� di Sant'Egidio - cosa vera - interviene e riesce a convincere Milosevic a lasciare Rugova libero dagli arresti domiciliari e dal rischio di essere ammazzato durante la guerra in Kosovo. In realt� questo � stato possibile grazie al fatto che dal '91 la Comunit� � stata presente in tutto il Nord dell'Albania e in Kosovo con progetti di educazione sanitaria e ambulatori per bambini. (In molte zone dell'Albania la mortalit� infantile � diminuita del 50% anche attraverso la semplice educazione sanitaria). Avevamo lavorato prima per scongiurare la guerra costruendo un accordo tra Milosevic e Rugova per riaprire tutte le scuole e restituire l'universit� agli albanesi di Kosovo, per decomprimere in questo modo lo scontro sociale. Oggi tutto questo continua in programmi con gli insegnanti albanesi in Kosovo e in Albania per scuole di convivenza, per "scuole senza odio" dove circa 5.000 ragazzini di nazionalit� albanese sono coinvolti in progetti per una scuola dove l'altro � un compagno di banco, un interessante compagno di giochi e non un nemico.

Una diplomazia che viene da una testimonianza di tipo evangelico, dunque?

Io credo nell'amicizia con i poveri senza mettere dei confini prefissati. In questo ci si pu� trovare coinvolti a cercare di pacificare il dialogo tra le parti anche laddove per ora parlano solo le armi. Nel fare questo noi abbiamo rapporti con tutti.

Anche col potere?

Abbiamo rapporti con i responsabili. Quello che noi chiamiamo potere sono i responsabili che decidono, � la diplomazia internazionale. Quando noi nella trattativa per il Mozambico abbiamo ottenuto che si creassero tre corridoi smilitarizzati per fare arrivare gli aiuti umanitari, per ottenere questo risultato abbiamo dovuto parlare con gli ambasciatori o i rappresentanti di otto paesi europei e extraeuropei che fossero in grado di fornire le garanzie militari perch� quei corridoi smilitarizzati funzionassero. Quindi, da un lato, noi dovevamo acquisire il know how tecnico, dall'altro dovevamo trattare con i rappresentanti di Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Portogallo, Russia e cosi via. II rapporto con le istituzioni, con i responsabili, va da s�, � un dato strutturale quando si tenta di difendere i poveri. La bellezza della consacrazione episcopale di monsignor Paglia, di don Vincenzo, qualche mese fa, a San Giovanni in Laterano, nasceva dal fatto che c'era s� una presenza del governo italiano, di persone che per molti motivi si sono incrociate con la Comunit� in questi anni, perch� hanno seguito certi sforzi internazionali o perch� hanno seguito lo sforzo di dialogo con la cultura laica che aveva aperto la Comunit�, in un Paese dove in genere cultura laica e cultura cattolica sono divise da steccati contrapposti. Ma erano presenti alcune persone senza dimora, alcuni stranieri, come erano presenti alcuni handicappati mentali che erano amici di don Vincenzo. Certo, si pu� cercare di avere rapporti con il potere per essere pi� importanti, per averne dei vantaggi. Io sono molto contento, dopo oltre trent'anni, di non saper individuare i vantaggi individuali avuti da qualcuno di noi. � lo stesso discorso che, fatte le debite proporzioni e differenze, si pu� fare per San Francesco che va a parlare col sultano per scongiurare la crociata. San Francesco era un grande, noi ci sforziamo di imitarlo, nello stesso spirito. Non credo che a nessuno venga in mente di dire che San Francesco se la faceva con il potere.

Lei ha citato lo sforzo di dialogo con la cultura laica. Da dove nasce?

Nel nostro sforzo di ricerca del dialogo interreligioso abbiamo sentito progressivamente la necessit� che questo dialogo fosse non fuori ma dentro i grandi problemi del mondo contemporaneo. Di qui la presenza alle nostre iniziative di alcuni esponenti-simbolo del mondo che � cambiato in questi decenni. Ricordo ad esempio la presenza di Gorbaciov al meeting interreligioso a Milano, organizzato insieme col cardinal Martini nei primi anni '90. In questo percorso noi abbiamo sentito sempre pi� necessario che la grande ricerca di ci� che conta per l'uomo e di ci� che conta per aiutare il pianeta a non autodistruggersi, doveva coinvolgere anche il mondo laico. Da questo punto di vista, piano piano, alcune esperienze di dialogo cominciano a uscire come i due testi di dialogo tra Arrigo Levi, ebreo secolare, don Vincenzo Paglia e Andrea Riccardi. Ma penso anche a dei dialoghi con esponenti come Mario Soares, Felipe Gonzales, Eugenio Scalfari, lo stesso Giuliano Amato. Giuliano Amato che, nell'ambito dei questi incontri, � arrivato a dire: "Devo ammettere che ho un problema per il fatto che vedo in voi e vedo in questo cristianesimo una marcia in pi� che mi sembra che il mondo laico non abbia Lo dico da laico e lo dico con invidia". Don Vincenzo Paglia gli rispondeva: "Non la chiamerei una marcia in pi�, la chiamerei una persona in pi�: � Ges�". Questa, della carit� e dell'amore, � dunque la chiave. Mi sembra interessante allora osservare che c'� da parte laica una ricerca cos� come � interessante che Sant'Egidio abbia aiutato a aprire un varco di dialogo. Noi infatti abbiamo sempre pi� bisogno di questo, in un mondo dove i problemi sono molti ma le ricette sono poche.