Comunità di S.Egidio


 

11 luglio 2000

Voci dalla prigione romana.
Marco, nato in carcere e poi tornatoci: �Voglio studiare, per dare senso al mio tempo qui�
Gianfranco ha retto il pastorale di Wojtyla: �Ero comunista, ma il giorno dell'attentato, in galera, desideravo si salvasse. Ricorder� le sue parole per sempre�.
Filippo, catanese, ha l'Aids. Sogni? Lavoro e vicinanza ai cari: �Per ricominciare�
�Ora non dimenticateci in cella�
Le attese dei protagonisti di un giorno memorabile per tutti

 

ROMA. I muri sono bianchi e i ballatoi verniciati di fresco. Le lampade per la diretta televisiva fanno luce davvero. La Rotonda di Regina Coeli � pi� bella, non fa quel freddo ostile della Messa di Natale, e i detenuti hanno quasi tutti la camicia, invece delle tute scompagnate, che nella luce grigia sembravano tutte dello stesso colore.

Con altri amici che entrano da anni come volontari in carcere (sono l'ultima generazione: accanto ai cappellani e ai pi� anziani) posso vivere questo Giubileo speciale. Cerco di farlo dalla parte di chi � carcerato, anche se io vivo fuori. Mi sono preparato. Non posso non pensare che c'� un abisso nella condizione di benessere della mia, della nostra vita, e quella di chi mi sta accanto. Almeno, cercher� di raccontare.

Devo raccontare di Marco, 25 anni, che in carcere ci � nato, perch� la mamma stava in prigione, e c'� stato fino a tre anni. Poi, un po' in istituto e un po' con i parenti, fino al carcere minorile e a quello degli adulti. Si � preparato imparando a memoria il messaggio del Papa per il Giubileo nelle carceri. Imparo da lui la differenza tra l'abbondanza e la sete di vita degli assetati. Dice: �Debbo fare mio il discorso sul tempo che fa il Papa. Il tempo non � del carcere, � di Dio e nostro. Io voglio studiare, scrivere, dare un senso anche a questo tempo qua dentro�.

Devo raccontare di Gianfranco. � lui che tiene il pastorale del Papa, tutto vestito di bianco. �Quando c'� stato l'attentato al Papa io ero gi� in galera, e ero comunista estremista. Non sapevo pregare, ma volevo che si salvasse. Le sue parole di oggi le terr� per tutta la vita. Non ci sono altri al mondo che sanno dare coraggio cos� a un carcerato. Vedi, io da un po' vado a Messa tutte le domeniche e il fatto che il Papa ha detto una parola a tutti i carcerati del mondo mi d� la forza di sopportare la malvagit� del carcere. Sentirsi chiamare fratelli e sorelle � una cosa davvero divina�.

Devo raccontare del rumore delle televisioni accese, di tutti quelli che volevano essere l�, ma che hanno seguito dalle celle o dai bracci. Di quegli applausi, quei �viva il Papa� senza nome, come dalle viscere del carcere.
E devo raccontare di chi mi dice: �Io al Papa non gli chiederei dell'amnistia, dell'indulto: lui lo sa gi� da prima di noi che serve tutto questo. Lui � intervenuto quattro volte per quell'americano, Graham, che hanno mandato a morire: ma chi uccide si mette allo stesso livello�. E di Robinson, colombiano, che si � battezzato tre settimane fa, che voleva essere cristiano per "normalit�", �perch� lo sono tutti al mio paese�, ma che invece, prima del battesimo ha rinunciato all'idea di vendetta e a quella della pena di morte: �Capisco che bisogna stare sempre vicino a chi � peggiore di noi, come a uno che sta male�.

E non posso non dire l'emozione, la commozione di quelli che si sono potuti avvicinare al Papa, che attraverso di loro vorrebbe non smettere e parlare individualmente con ciascuno. Emozione incontenibile quando - fuori programma, per intervento diretto del Papa attraverso il suo segretario - vengono chiamati da dentro uno dei bracci, dalla terza sezione, e possono avvicinarsi direttamente a Giovanni Paolo II. � il caos della festa. � l'imprevisto dell'amore. Si capisce meglio Ges�, prigioniero, condannato, speranza per tutti. Sembra di vederlo.

C'� l'applauso quando il Papa invita i responsabili a un gesto di clemenza, ma � l'applauso per un destino che sembra meno segnato. �Non lo dimenticher� mai�, dice Francesco, che � messicano. �� l'occasione della mia vita�, dicono in tanti.

Siedo a lungo accanto a Filippo, 32 anni, di Catania. In carcere - a varie tappe - ne ha passati undici. A prima vista sta bene, ma l'Hiv a uno stadio avanzato non lascia molti dubbi: il carcere non � il luogo migliore per chi sta male. � contento che la moglie e i due figli non siano malati. Vorrebbe essere trasferito a Catania, per vederli qualche volta. Si � preparato per fare la comunione dalle mani del Papa. Gli chiedo se ricorda la prima comunione. Dice: �S�, a sette anni, in collegio�. �Quando si esce di prigione si ricomincia sempre da capo, non leggono nemmeno le relazioni dei servizi sociali. � assurdo�. Gli chiedo: "Se potessi azzerare tutto che cosa vorresti, davvero? Qualunque cosa�. �Un lavoro, per me e mia moglie. E basta�. Poi ci pensa un po', si accorge che vorrei sentirgli dire qualcos'altro, e aggiunge, dopo una pausa lunga. �E poi vorrei che arrivasse la vita, piano piano. Perch� non lo so che � la vita�.

Ci abbracciamo, in tanti, alla pace. Poi, la Messa � finita. Mentre rientrano nei bracci uno mi dice: �Speriamo che domani non sia tutto uguale�. Esco anch'io. I cancelli si richiudono dietro. Fuori c'� il sole. Vorrei fosse il sole di tutti e che dopo questa giornata lo diventi almeno un po' di pi�.

Mario Marazziti