Comunità di S.Egidio


 

22/11/2000

CAMALDOLI. � morto padre Benedetto Calati
Dall'eremo in dialogo col mondo
Un monaco il cui nome significa molto per la �geografia del profondo� del cattolicesimo italiano, anche se raramente era comparso nelle vicende ecclesiali e politiche.
Il primato della Parola di Dio e il ritorno alle fonti patristiche

 

Padre Benedetto Calati si � spento a Camaldoli ieri notte. Il suo nome significa molto per la �geografia del profondo� del cattolicesimo italiano, anche se egli era comparso raramente nelle vicende pubbliche, ecclesiali e politiche del nostro Paese. Don Benedetto non amava i protagonismi, ma non � stato certamente un assente, rifugiato nel mondo dello spirito. Si � invece sempre mosso sulla linea difficile dell'incontro con tanti mondi, soprattutto del rapporto personale, vissuto come amicizia. David Turoldo lo aveva finemente ritratto in una poesia scritta per i 70 anni del monaco camaldolese: �Almeno tu, l'Anziano dei secoli, / quale tuo pastorale pi� vero / brandisci il cero della pasqua / e innalzalo sul tuo monastero / a rompere la notte: / che anche da lontano guidi / i molti amici che risalgono / le antiche vie dei monaci / nel cuore della foresta / che pur tramanda ancora la eco / di salmodie mai interrotte�. In ogni stagione del cristianesimo italiano lungo il Novecento, padre Benedetto ha avuto i suoi amici: monaci, preti, giovani, cuori inquieti, laici, ebrei, religiose e religiosi... Un'anagrafe delle sue amicizie � impossibile, ma una constatazione s'impone: padre Calati � stato presente con amicizia nelle nostre vicende religiose per tanti decenni in maniera discreta, mai reticente.

Lo ricordo, la prima volta che lo vidi, negli anni Sessanta, a Camaldoli, in un giorno inquieto per me: era pensoso e sorridente, ma con le braccia aperte e con quel suo sguardo profondo e pieno di spirito. Allora era priore generale dei camaldolesi, un incarico tenuto per ben 18 anni in una maniera tutta particolare, divenendo l'anima di una famiglia monastica che si rinnovava e si rifondava a partire dal Concilio. Testimone, predicatore, amico, pi� che superiore, don Benedetto � stato un grande carismatico senza esibizione. Veniva da lontano, dal povero mondo pugliese dei braccianti analfabeti di inizio secolo, dove il cattolicesimo barocco si incontrava con un'eredit� greca, non evidente ma mai cancellata. Don Benedetto aveva percorso i primi passi della sua vita camaldolese in una situazione non facile. Non aveva perso il suo tempo nelle �lotte di convento�, ma si era gettato sulle fonti monastiche e patristiche con quella passione da autodidatta che lo faceva diventare amico e interlocutore dei suoi �grandi�. Non aveva trovato �fonti�, ma uomini e donne che, in secoli lontani, avevano vissuto con spessore umano l'avventura del credente. Nella sua cella aveva cominciato a ricomprendere in maniera larga la storia della Chiesa e a scoprirne dimensioni insospettate nella sua formazione giovanile. Aveva elaborato un suo metodo personale di parlare con i Padri e con la storia monastica che rendeva i suoi corsi a Roma, fin dagli anni Cinquanta, attraenti per pochi e scelti studenti delle universit� ecclesiastiche, capaci di capirlo. Vi trovavano un insegnamento tutt'altro che sistematico, ma rivelatore di un'altra dimensione del vivere ecclesiale.

Non era un erudito, ma un monaco in continuo colloquio con generazioni passate di credenti. Tra la folla crescente dei suoi interlocutori del passato, si stagliava Gregorio Magno. Il colloquio con questo antico vescovo di Roma lo confermava in una visione della Chiesa, che aveva al centro l'ascolto della Parola di Dio e la liturgia. La Parola di Dio era, sempre pi�, l'anima della vita di questo monaco. Egli sapeva percorrere con libert� e passione tante frontiere, perch� aveva scoperto il cuore dell'esperienza cristiana. Le antiche pagine si rivelavano piene di novit� e di sorprese. Sul suo volto e nei suoi occhi si manifestava quasi lo stupore di un bambino, quando leggeva e commentava una pagina della Bibbia. Ricordava Giovanni Cassiano: �A mano a mano che il nostro spirito si rinnova, le Scritture incominciano a mutare aspetto: noi ne acquistiamo un'intelligenza pi� misteriosa, la cui bellezza si accresce proporzionalmente al nostro progresso spirituale�.

Anche in tempi difficili era fiducioso. Gli sembrava che lo Spirito parlasse al cuore dei credenti e che la Parola di Dio crescesse nella Chiesa. E ripeteva (perch� non aveva paura di ripetere le sue convinzioni, ma sempre con entusiasmo) l'espressione del suo Gregorio Magno: �Divina eloquia cum legente crescunt� (�Le parole di Dio crescono con chi le legge�). Aveva abitato per tanti anni, a Roma, sulla collinetta del Celio, nell'antico monastero costruito nell'area di quello di San Gregorio. Tra gli anni Sessanta e Settanta, in mezzo alle polarizzazioni del mondo cattolico, San Gregorio era un riferimento per tanti. Padre Benedetto non aveva programmi da proporre o ricette da prescrivere alla crisi della Chiesa; ma dava, con convinta serenit�, la testimonianza del primato della Parola di Dio come il cuore della vita cristiana. Quella collinetta romana, come pi� tardi la montagna di Camaldoli (dove ha abitato ed � morto), sono stati il luogo dove non poche speranza personali sono rinate e da cui molti sono partiti confermati nella fiducia. Il suo �fiuto� nella vita e nella storia - come diceva - si era formato tra la Bibbia e i Padri, tra la liturgia e l'amicizia.

La Dei Verbum lo aveva rafforzato in una visione aperta alla speranza e ritornava con gioia al testo conciliare, ritrovandovi l'insegnamento dei Padri. Era sereno, nonostante i problemi e le difficolt�, perch� credeva che la Parola parlasse ai cuori e alla Chiesa, pi� di quanto apparisse allo sguardo pessimista di tanti contemporanei. Non si stancava di riferirsi a quel passo della Dei Verbum che dice: �Questa tradizione di origine apostolica progredisce nella Chiesa con l'assistenza dello Spirito Santo: cresce infatti la comprensione, tanto delle cose quanto delle parole trasmesse...�. �Crescit enim...� - ripeteva scandendo i tre tum in latino contenuti nel testo (e li definiva come tre colpi). Cresce - ricordava �con la riflessione e lo studio dei credenti�, �con l'esperienza data da una pi� profonda intelligenza delle cose spirituali�, �per la predicazione di coloro i quali, con la successione episcopale, hanno ricevuto un carisma sicuro di vita�. Con la riflessione, con l'intelligenza, con la predicazione dei pastori... E da qui sorgeva spontaneo in lui l'entusiasmo per la vita spirituale.

Padre Benedetto non � stato mai uomo dell'istituzione. Non ne apprezzava alcune scelte, seppure non si appassionava nemmeno a furori riformatori. Il governo della Chiesa lo interessava marginalmente. Non si creda per� che ci fosse in lui la superiorit� dello spirituale, ma la simpatia dell'amico per la molteplice vicenda umana che segue tanti e imprevedibili sentieri. Non pensava di governare questa vicenda, ma la amava nei suoi aspetti pi� vari (e ne scopriva anche da anziano). Era uomo di passioni, di entusiasmi, d'ira, di sentimenti, di attese e di delusioni. � stato un monaco che amava la sua comunit� in maniera molto familiare e amava la Chiesa come luogo del dono dello Spirito. Provato dalla malattia, padre Benedetto, che non aveva mai vissuto all'Eremo, aveva vissuto la sua stagione �eremitica�, pi� silenzioso, tra i suoi libri, nella sua stanza luminosa, con un'apertura ancora pi� larga. Lucido e penetrante come sempre, amava stare tra i confratelli, gioioso di ricevere gli amici. Si era concentrato su quello che era il cuore della sua vita e della sua libert� cristiana: la kenosi, l'umiliazione e lo svuotamento di Ges�, come aveva confidato a un confratello. Oggi, lo si scopre presente su tante frontiere e in numerose esistenze, pi� di quanto si poteva pensare ieri. Si � compiuto quello che Turoldo sognava, dieci anni fa, nella sua poesia per don Benedetto: �...Almeno sopravviva la nostra amicizia: questo evento salvatore di essere amici in tanto deserto�.

Andrea Riccardi