Comunità di S.Egidio


 

16/12/2000


Il Successore di Pietro rilancia la sapienza storica e la speranza della Chiesa

 

In un mondo sempre pi� globalizzato, come quello contemporaneo, si assiste a un fenomeno paradossale: da un lato cadono le frontiere e universi, sino a ieri distanti, si avvicinano ma, dall�altro, si innalzano nuove e sorprendenti barriere. Sono le barriere dei tanti fondamentalismi, religiosi o etnico-nazionali, sorte negli ultimi dieci anni. La loro nascita � il frutto della reazione di gruppi e di culture nazionali di fronte allo spaesamento generato dai processi invadenti di omologazione e di globalizzazione. In un modo o nell�altro si alzano nuove frontiere per proteggersi: sono barriere che fanno della propria diversit� un motivo di opposizione o di disprezzo per l�altro, talvolta per i vicini o per un mondo pi� largo. Queste reazioni creano un clima difficile nei rapporti tra i popoli o tra la maggioranza e le minoranze; fanno risorgere antiche diffidenze e vecchi fantasmi che si credevano sepolti; favoriscono �� inutile dirlo- i conflitti e gli scontri.

La pace e la guerra hanno radici anche nella cultura dei popoli, nella visione di se stessi e dell�altro. Politici spregiudicati o gruppi di interesse possono manipolare le visioni che i popoli hanno di se stessi, sino a condurle a minacciare la stabilit� internazionale. In dieci anni di storia, tra il Nord e il Sud del mondo, abbiamo visto tanti nazionalismi ciechi o molti fondamentalismi scatenati. Tutto questo � avvenuto mentre il processo di globalizzazione avanza imperioso e si affermano ovunque modelli culturali e antropologici molto simili. Il mondo va verso la sua unit� o percorre strade di pericolosa divisione e di nuovi aspri conflitti?

Giovanni Paolo II, nel recente messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, ha toccato il tema del dialogo tra le culture. Lo ha fatto nella prospettiva della �civilt� dell�amore�, riprendendo un�espressione cara all�umanesimo evangelico di Paolo VI. Non si tratta di un tema secondario nel mondo contemporaneo, ma riguarda da vicino il futuro di pace del nostro mondo. Le previsioni di Samuel Huntington su un inevitabile �scontro delle civilt��, avanzate nel 1996, sono sicuramente schematiche, ma contengono un�intuizione allarmante. I confini tra culture e civilt� sono le frontiere di pericolose incomprensioni, se non di alcuni gravi scontri. Spesso il peso di queste culture e di queste civilt� sembra spingere verso l�incomprensione e il rifiuto del dialogo.

Il Messaggio di Giovanni Paolo II osserva preoccupato come si assiste �al polemico affermarsi di alcune identit� culturali contro altre culture�. La voce di Giovanni Paolo II viene dal profondo della Chiesa cattolica, che vive in tanti mondi differenti e attraversa culture diverse. Il terreno del dialogo tra le culture � la vita stessa della Chiesa cattolica che, di per s�, non appartiene a una civilt� specifica, anzi vive il suo pellegrinaggio tra universi culturali differenti. Questa complessa esperienza storica si fa messaggio per un futuro di pace, che viene proposto non solo ai cristiani ma �come avviene sempre in questa occasione- a tutti �gli uomini di buona volont�� (cos� avrebbe detto Giovanni XXIII).

Infatti c�� un robusto nesso tra dialogo fra le culture e pace. Spesso si assiste a una vera patologia della memoria, per cui nella cultura di un popolo si accumulano ricordi di sofferenza, che quasi giustificano la diffidenza, motivano l�aggressivit�, chiedono vendetta e rivincita. Lo abbiamo visto nei recenti conflitti in Europa o in Africa, quando la memoria dei torti subiti sembrava giustificare le offese violente all�altro. Giovanni Paolo II lo dice con chiarezza: ��il dialogo � difficile, perch� su di esso pesa l�ipoteca di tragiche eredit� di guerre, conflitti, violenze e odi, che la memoria continua a alimentare�. E� una patologia della memoria da superare nel perdono e nella riconciliazione. L�esortazione del Papa giunge in un momento in cui dobbiamo chiederci se non sia necessario elaborare, con pi� profondit� e decisione, una cultura del perdono, capace di liberare popoli e gruppi schiacciati dalla memoria o da una certa rielaborazione di essa. C�� necessit� di fare storia e di liberarsi dalla prigionia di una memoria, falsata e spesso paralizzante. In fondo il cristiano crede che la pi� grande memoria � che siamo tutti fratelli e sorelle.

Questo non significa che le diverse culture dei popoli siano una realt� da sottovalutare. Giovanni Paolo II ha sempre insistito sul fatto che l�identit� di un popolo senza indipendenza sopravvive nella cultura. L�uomo non vive fuori da una cultura. Non esiste un astratto uomo universale. Ogni uomo nasce e cresce in una specifica cultura nazionale, anche se la sua maturit� lo porta ad allargare i suoi orizzonti. Il Papa non crede che il futuro del mondo sia in una �supina omologazione delle culture� che, magari con il potente supporto dei mass media, distrugga le culture nazionali o le retroceda a folklore.

Il processo di �occidentalizzazione� del mondo, veicolato dalla globalizzazione, sar� pericoloso, se divorer� le diverse identit� culturali o ne eroder� le caratteristiche fondamentali. Si vedono gi� �come ho detto- le pericolose reazioni aggressive a questo spaesamento indotto dall�omologazione. Fondamentalismi, razzismi, antisemitismo e ingiustificate aggressivit� fanno parte di questo processo di risposte inconsulte a un orizzonte senza riferimenti. Sono reazioni subculturali a una �cultura globale�, formatasi su alcuni specifici modelli e imposta dalle tecnologie della comunicazione con grande rapidit� e prepotenza.

Giovanni Paolo II afferma invece che ��essere uomo significa necessariamente esistere in una determinata cultura. Ciascuna persona � segnata dalla cultura che respira attraverso la famiglia e i gruppi umani con i quali entra in relazione��. Ed ogni cultura si configura nell�intreccio complesso e spesso irripetibile tra territorio, storia, elementi nazionali, molteplicit� di scambi e influenze. Per Giovanni Paolo II �il senso della patria� si connette fortemente con la cultura nazionale, che � l�humus della crescita personale e della vita di un popolo. La Chiesa, nel suo cammino secolare, ha vissuto un rapporto fecondo con le diverse culture nazionali, ma non ha dimenticato �la fondamentale prospettiva dell�unit� del genere umano�. Questa � la visione della Chiesa illuminata dalla fede, ma � pure la sua esperienza storica e umana: sa quanto c�� di comune tra i popoli e quale destino comune li unisca.

Il Papa indica il dialogo tra le culture come un elemento prezioso per il futuro.. Ma, allo stesso tempo, sottolinea l�esigenza che le diverse identit� culturali siano coltivate con intelligenza e larghezza. Non si tratta di un conservatorismo immobilista. Le culture si evolvono; entrano in contatto con altri mondi. Il caso delle migrazioni � espressamente trattato nel Messaggio, che ribadisce come primo principio per la Chiesa: �gli immigrati vanno sempre trattati con il rispetto dovuto alla dignit� di ciascuna persona�.

Tuttavia per il Papa � anche importante la �fisionomia culturale� del paese dove gli immigrati sono accolti. Non c�� accoglienza senza una specifica fisionomia culturale. Le politiche da attuare sono complesse e non ci sono soluzioni generali da proporre. Le soluzioni vanno trovate in un sano equilibrio sul terreno. Molto dipende per� dalla vitalit� delle culture: �in realt�, -osserva Giovanni Paolo II- una cultura, nella misura in cui � veramente vitale, non ha motivo di temere di essere sopraffatta, mentre nessuna legge potrebbe tenerla in vita quando fosse morta negli animi�.

L�esperienza di comunione vissuta nella Chiesa porta a guardare al dialogo tra le culture come la via della pace e del progresso civile dei popoli. Non solo � la strada di una vera crescita di ciascuna cultura in quella contaminazione dell�altro che nasce dallo scambio. E� soprattutto una decisiva premessa per una societ� di pace, capace di offrire una patria a ciascuno e di vedere nel mondo una grande patria.

Del resto l�uomo e la donna contemporanei vivono ormai in una condizione antropologica particolare e nuova rispetto alle generazioni precedenti: essi trascorrono la loro esistenza immersi nel loro mondo concreto e prossimo ma, d�altra parte, si trovano realmente e virtualmente di fronte ad orizzonti sconfinati. Ogni uomo vive, per cos� dire, tra il proprio vicinato e il mondo intero. Basterebbe pensare a internet, alla consuetudine agli scambi, alla facilit� dei viaggi, allo spostamento delle popolazioni. Per questo il dialogo diventa un�esigenza vitale di equilibrio.

Un�autentica �cultura globale� si crea nel paziente dialogo tra le culture, nella valorizzazione delle comunanze, nel rispetto delle diversit�, nella pratica dello scambio, nel meticciato virtuoso che nasce dalla scoperta dell�interdipendenza. In linea con il Concilio Vaticano II e con quanto Paolo VI aveva affermato nel cuore degli anni Sessanta, Giovanni Paolo II ripropone il dialogo sugli scenari del XXI secolo. Sono scenari, per alcuni aspetti, tanto diversi da quelli del passato. Di fronte ad essi qualcuno china il capo preoccupato della loro complessit� e senza speranza. Ma l�anziano Vescovo di Roma rilancia la sapienza storica e la speranza della sua Chiesa con un messaggio al mondo. Dichiara: �All�inizio del terzo millennio � urgente riproporre la via del dialogo ad un mondo percorso da troppi conflitti e violenze, talvolta sfiduciato e incapace di scrutare gli orizzonti della speranza e della pace�. Il recente Giubileo ha confermato la Chiesa nella saggezza della via del dialogo. Attraverso il dialogo si possono sanare i conflitti, arricchire le culture e i popoli, fondare stabilmente la pace. Per questo il Papa, alla fine del suo Messaggio, chiede ai cristiani, soprattutto ai giovani, di �essere uomini e donne capaci di solidariet�, di pace e di amore alla vita nel rispetto di tutti�: �Siate artefici di una nuova umanit� �egli afferma-, dove fratelli e sorelle, membri di una medesima famiglia, possano vivere finalmente nella pace!�.

Questa � la prospettiva che il Papa addita ai cristiani che hanno percorso il cammino del Giubileo, perch� non affrontino rassegnati il secolo che viene, non lo subiscano, ma credano che un�umanit� nuova possa abbeverarsi alle fonti del Vangelo. Il tempo dopo il Giubileo si apre come una stagione in cui i cristiani hanno un �ideale� di umanit� per cui lavorare nella pazienza, nel dialogo e nella fermezza dell�amore.

Andrea Riccardi