Comunità di S.Egidio


 

02/01/2001


Cuscus, riso e lasagna: � la notte dei clochard
A Roma alla mensa di Sant'Egidio, tra rifugiati curdi e barboni nostrani

 

ROMA - "Buon 2001". "Buon 1379". "Buon 1421". Neanche gli anni sono uguali per tutti. Cristiani, musulmani, buddisti, ognuno ha il suo dio a segnare il tempo. Quelli della Comunit� di Sant'Egidio, per�, non se ne curano troppo. Loro il Capodanno lo festeggiano cos�, tutti insieme. Prima in giro per Roma a portare cibo ai senzacasa. Poi in via Dandolo, nella mensa della Comunit� che in questi anni ha dato da mangiare a centotrentamila persone.

Per l'ultimo giorno dell'anno sono arrivati centoventi volontari. Punto di raccolta la sede della mensa, nel cuore di Trastevere, a due passi dalla piazza di Sant'Egidio dove negli anni Sessanta � nata questa comunit� frutto anomalo della contestazione.

In un attimo si formano le squadre. Obiettivo stazioni, parchi, caverne... Perch� nelle metropoli del Duemila si vive anche sottoterra. A New York ci sono i labirinti della metropolitana, a Roma le catacombe. Almeno si ripassa un po' l'archeologia.

"La citt� � diventata pi� bella per il Giubileo, ma per i senzacasa la vita oggi � pi� dura", racconta Daniela Pompei. Di giorno � assistente sociale, di sera porta da mangiare a loro. Gi�, Roma � proprio bella stanotte, ma ai barboni deve sembrare fin troppo eterna e distante: la stazione Termini � stata risanata, ma 300 clochard (in francese fa pi� romantico) sono stati invitati a sloggiare. Dove? Sotto i cavalcavia, sotto i ponti, che si arrangino. Oggi a Roma 3.500 persone vivono senza un tetto. "Stanotte porteremo un pasto a mille di loro": sono le nove e mezzo quando Daniela ferma l'auto davanti all'ingresso del parco del Colle Oppio, a due passi dal Colosseo. Qui vivono un centinaio di curdi. Sono arrivati come rifugiati politici, per fuggire alle persecuzioni di Iraq e Turchia. Ora si ritrovano a vivere senza niente: forze dell'ordine e nettezza urbana gli hanno portato via bagagli e coperte. Perfino le foto di famiglia.

Chiss� se si ricordavano che era Capodanno. Ma ci pensano i volontari di Sant'Egidio: una comitiva assortita: studenti universitari, professionisti, casalinghe. Prendete Amanda Favero, una pensionata del comune che ti aspetteresti di vedere a un tranquillo cenone. Invece � qui, con le cinque figlie e il marito.

Si trovano davanti uno sparuto gruppo di curdi, saranno una decina. Gli altri sono nascosti. Ma appena nell'aria gelida si diffonde il profumo del cibo, ecco che escono dal buio. Uno, dieci, cento, in un attimo lo spiazzo si riempie. C'� silenzio, quasi timore, all'inizio. I pacchetti di stagnola tiepidi passano di mano in mano, i curdi li tengono stretti per scaldarsi.

Il men� � stato studiato accuratamente: niente prosciutto e salame, perch� in Kurdistan sono musulmani e piuttosto che mangiare maiale morirebbero di fame. E niente alcool, si brinda a succo d'arancia, a rendere euforici basta il freddo che non fa stare fermi un secondo.

Sono le dieci esatte. Haidar alza le braccia in alto. "Hua a fis", urla, buon anno. Il suo orologio � regolato ostinatamente sulla mezzanotte, l'ora del Kurdistan, gli hanno portato via tutto del suo paese, ma non il tempo. E tutti cominciano a guardarsi intorno, cercano gli amici, presenti e assenti. Qualcuno d� un'occhiata in alto, c'� una stellata da far paura, almeno il cielo � lo stesso che stanno osservando a casa. Ci pensa Alessandro a spazzare via la malinconia, tira fuori una radio e parte la musica, curda ovviamente. In un attimo cento persone fanno cerchio, profughi e volontari. Amanda, abbandonati i panni della pensionata, balla il Ciapa e ride. Il marito se ne sta un po' in disparte, stupito.

Ma � il momento dei saluti, i volontari corrono alla mensa per il cenone. Appena entri nello stanzone quasi ti prende lo smarrimento: sei a Roma, ma potresti essere ovunque. In uno spazio di dieci metri per venti ci sono i cinque continenti. Si sente dalle voci, dai profumi. E poi nei cibi, ognuno ha preparato i suoi piatti: cuscus marocchino, riso senegalese, torte palestinesi, egiziane. Perch� lo stomaco, se non il cuore, non conosce discriminazioni. Gli italiani? Una minoranza, gli altri sono immigrati che ce l'hanno fatta. Hanno imparato la lingua, trovato lavoro, adesso aiutano chi arriva. A guardarli senza fare caso al colore della pelle ti sembrerebbe una festa come le altre: c'� George che a Roma fa il giardiniere, ma in Romania era un cantante e ora imbraccia la chitarra. C'� Johanna, anche lei arrivata dall'Est, che si aggira nel suo primo abito lungo e distribuisce intorno sguardi con occhi pi� grandi dei suoi vent'anni. E c'� Kornabali, fiero della cravatta e del doppiopetto nuovi di zecca, che cerca di non pensare al fratello ucciso dai talebani in Afganistan. "Buon anno", dice in ebraico il palestinese Tawak e un applauso lo sommerge. "Veramente da noi il Capodanno � a marzo", dice un signore iraniano. E si versa un bicchiere di spumante. Rumeno.

Ferruccio Sansa