Comunità di S.Egidio


 

26/09/2001

Mario Marazziti, portavoce del movimento, indica due strade: indebolire gli eversivi e cancellare la disperazione dei poveri
�Lotta al terrorismo, ma non parliamo di guerra�
La Comunit� di S. Egidio lancer� un segnale di amicizia tra cristiani e musulmani per contrastare la paura

 

Lavorano in 60 Paesi e credono nella convivenza. Era il 1986, quando ad Assisi il dialogo fra religioni sembr� meno impossibile. Giovanni Paolo II concluse l'incontro dicendo: �Continuiamo a diffondere il messaggio della pace�. Loro, i 40 mila della Comunit� di Sant'Egidio, lo presero sul serio. Da allora hanno riunito a convegno di anno in anno uomini e religioni. L'ultima volta � stato a Barcellona, una settimana prima dell'attacco agli Stati Uniti. Si parlava di dialogo fra civilt� nel nuovo secolo. Da questa prospettiva il portavoce della Comunit� Sant'Egidio, Mario Marazziti, guarda ai fatti delle ultime settimane.

C'� un'alternativa al conflitto che sembra imminente? Lei di recente ha detto che �la guerra non � mai un destino inevitabile�.
�Mi piacerebbe che non si parlasse di guerra, anche se � evidente che combattere il terrorismo � necessario�.

Lei che lettura d� della situazione attuale, come la definirebbe?
�Non ho dubbi sul fatto che sia giusto che il mondo democratico e gli Stati Uniti trovino la via migliore per contrastare il terrorismo. Avverto disagio per� di fronte al fatto che da qualche tempo parole come guerra e rappresaglia siano diventate di uso corrente. A mio parere occorre fare attenzione sia all'uso del linguaggio sia all'individuazione degli obiettivi. Va evitato il rischio di creare un clima da scontro di civilt�. Una delle cose che vuole il terrorismo, insieme alla distruzione nichilista, � proprio travolgere il mondo in uno scontro tra mondo occidentale e altre civilt�, come quella islamica, che non ha alcun fondamento�.

Partiamo dalla lotta al terrorismo. Quali strade vede?
�Quando si arriva a usare l'uomo come arma, gli obiettivi diventano infiniti e quindi la difesa � difficile. Di qui la sensazione che davvero serve e servir� un lavoro di lungo periodo per indebolire le molte centrali dell'illegalit� internazionale e del terrorismo, le centrali del narcotraffico, i molti poteri oscuri che oggi hanno potenza e disponibilit� finanziarie superiori a interi Stati. Qui l'impegno andr� intensificato e non so se sia un impegno in termini di guerra tradizionale, con bombardamenti e il rischio immenso che c'� nelle guerre contemporanee di colpire i civili. Inoltre si tratta di fare un lavoro grande per impedire che la disperazione di intere parti del pianeta abbandonate a se stesse e ai loro problemi possa essere strumentalizzata dai maestri del terrore. Penso ai 25 milioni di infetti da virus Hiv senza medicine in Africa, ad aree alle prese con guerre e ingiustizie croniche come il Medio Oriente o i Balcani sempre a rischio o a parti dell'Asia e dell'America Latina con sacche di sofferenza e sfruttamento immense. Eviterei l'equazione povert� uguale giustificazione per il terrorismo, ma di certo la povert� e l'abbandono possono offrire disperazione a basso costo da utilizzare nel modo peggiore�.

Secondo punto: il rischio di uno scontro fra civilt�. Nella vostra attivit� quotidiana, riscontrate gi� reazioni di questo tipo?
�A Roma, fra gli immigrati c'� una sensazione diffusa di paura, di sentirsi guardati in modo diverso e di aver bisogno ogni volta di distinguere, di spiegare "sono tunisino, per�". Negli Stati Uniti nei primi tre giorni successivi all'attentato ci sono stati 210 attacchi a moschee o luoghi di raduno o persone di nazionalit� magari americana ma arabi, compreso un ricco proprietario di un ristorante californiano, che � pi� americano di noi. Questo solo nei primi tre giorni, tanto che le autorit� sono attente ad andare a visitare moschee e a lanciare messaggi di segno opposto�.

La Comunit� di S. Egidio ha la possibilit� di fare qualcosa?
�Sui problemi quotidiani, il nostro movimento "Genti di pace", che raccoglie circa 40 nazionalit�, italiani compresi, e diverse espressioni religiose, � nato per costruire forme di integrazione e oggi a maggior ragione � impegnato, con incontri e iniziative, nel ricreare le ragioni del dialogo fra culture per sciogliere la paura e la diffidenza�.

Potete intervenire anche a un livello pi� generale?
�Sul piano internazionale, stiamo pensando a un segnale forte di amicizia tra cristiani e musulmani�.

Pu� anticipare di cosa si tratta?
�No, ancora no. Stiamo pensando a un segnale forte che possa contrastare la paura che sta crescendo�.

La settimana precedente all'attacco all'America, si � tenuto l'incontro fra religioni a Barcellona. A che punto � il dialogo fra Occidente e Islam?
�Barcellona � stato un momento straordinario che ha mostrato, in un mondo pieno di tensioni e in contemporanea con le difficolt� e poi il fallimento della conferenza di Durban sul razzismo, come il dialogo � possibile, pu� crescere ed � l'unica via per un XXI secolo che non sia sotto il segno della guerra e dello scontro di civilt�. L'abbraccio spontaneo tra il rabbino capo d'Israele Lau e il teologo musulmano Smaili non era programmato ma � stato il frutto reale del dialogo�.

Silvana Galizzi