Comunità di S.Egidio


 

04/10/01


Dalla Chiesa un appello al dialogo

 

Mentre il mondo � in ansia per la guerra annunciata, il Papa continua nella sua offensiva di pace affermando, nell�udienza generale del mercoled� in piazza San Pietro, che �la religione non deve mai essere utilizzata come motivo di conflitto �. Un nuovo monito a chi pensa ancora di prospettare uno scontro tra civilt� e tra religioni. Anzi, ha sottolineato che, mai come in questo momento, �cristiani e musulmani, insieme ai credenti di ogni religione, sono chiamati a ripudiare, fermamente, la violenza per costruire un�umanit� amante della vita che si sviluppi nella giustizia e nella solidariet��.

E, ricordando episodi salienti del suo recente viaggio in Kazakistan e in Armenia, Papa Wojtyla ha detto di aver riscontrato, nei suoi incontri con le autorit� civili e religiose come con la gente, �la volont� di superare il duro passato� e di lavorare per costruire un futuro fondato sulla �convivenza pacifica�. Un�aspirazione che va assumendo sempre pi� vaste dimensioni.

E, mentre il Papa si faceva interprete del fatto che �nell�animo della gente si sta diffondendo la convinzione che non � possibile continuare a vivere cos� divisi�, parlando a ventidue mila pellegrini di 23 nazioni, dall�assemblea dei vescovi dei cinque continenti riuniti in Vaticano si levava un analogo sentire. Il cardinale Claudio Hummes, arcivescovo di S�o Paulo (Brasile) ha ammonito che �il dialogo e la negoziazione sono indispensabili perch� la guerra costituisce sempre la peggiore via per risolvere i conflitti�.

Nonostante che � ha rilevato � �l�autodifesa sia legittima e forse necessaria per gli individui, i gruppi sociali e popoli, tuttavia essa deve evitare in ogni modo di trasformarsi in una guerra e mai usare violenza contro innocenti�. Il presidente dell�Unione dei Superiori Generali, padre Fran�oise Eid, ha affermato che, oggi pi� di ieri, �la coesistenza tra cristiani e musulmani deve rappresentare il punto essenziale di ogni dialogo in quanto � nella vita quotidiana che le persone si incontrano, si conoscono, collaborano, si capiscono, si amano�. Un orientamento che va praticato anche in quei Paesi, come l�Afghanistan o il Sudan o l�Arabia Saudita, dove �l�Islam si mostra pi� fondamentalista e pi� fanatico verso le minoranze cristiane�.

Interessante l�intervento del vescovo di Baltimora, cardinale William Henry Keeler, il quale ha osservato che proprio dagli Stati Uniti, il Paese che ha sub�to gli effetti dell�attacco terroristico dell�11 settembre, viene �un segnale di speranza� perch� �nelle attivit� ecumeniche e interreligiose, abbiamo un campo di azione assai ricco, probabilmente il pi� ampio del mondo�. Non a caso abbiamo visto, in questi giorni, il presidente George Bush avere incontri cordiali e distensivi con autorevoli esponenti religiosi fra cui quelli musulmani. Perci�, il cardinale Julius Rivadi Darmaatmadja, arcivescovo di Giakarta, capitale di un Paese, come l�Indonesia, a stragrande maggioranza musulmana, ha fatto due raccomandazioni per superare le tensioni sociali che alimentano il terrorismo: �sviluppare il dialogo nelle societ� molto pluralistiche quali sono quelle dell�Asia e preoccuparsi delle varie forme di ingiustizia e di povert� diffusa�.

Non lontano da Piazza S. Pietro, nella Comunit� di S. Egidio dove � in corso un importante incontro interreligioso (come ha sottolineato il fondatore Andrea Riccardi) l�ulema di Gedda, Abdullah Kedhaui, ha affermato che �dobbiamo condannare la violenza, ma dobbiamo andare anche alla radice, perch� ci sono ingiustizie che vanno risolte�. Gli ha fatto eco il cardinale Carlo Maria Martini, il quale ha affermato che �la violenza e il terrorismo vanno isolati e disarmati con energia e determinazione, ma proprio per questo non devono essere confusi con contesti culturali, religiosi o etnici�.

Alceste Santini