Comunità di S.Egidio


 

14/12/2001


Smuovere in profondit� le energie di bene

 

Giovanni Paolo II ha con forza rivolto per oggi la proposta del digiuno ai cattolici del mondo intero.

Non � un mistero che la pratica del digiuno fosse progressivamente decaduta nel Novecento: le nuove condizioni di vita, la poca considerazione per le iniziative "esteriori", una visione molto psicologica della fede, ma soprattutto una mentalit� che non tollera limitazioni, avevano portato ad un'abrogazione silenziosa di questa antichissima tradizione. Fin dalle origini del cristianesimo, il digiuno, insieme alla penitenza e alla preghiera, si accompagnavano alla ricerca di una vita spirituale pi� profonda, al passo con determinati tempi liturgici, in particolare la Quaresima. Ancora oggi una Chiesa molto radicata nella consuetudine e legata all'eredit� ebraica come quella di Etiopia, conta - in un anno - circa 140 giorni di digiuno e richiede questo esercizio tutti i mercoled� e i venerd� della settimana eccetto che nel tempo di Pasqua.

L'idea di Giovanni Paolo II � dunque un anacronismo per questo nostro tempo?

La proposta, si sa, nasce nel clima difficile determinatosi con l'11 settembre, di fronte a scenari di futuro tutt'altro che chiari, a una guerra aperta e a ulteriori minacce terroristiche all'orizzonte. E' un'iniziativa insomma lanciata proprio per questo nostro tempo.

Facile intuire l'ansia di pace di Giovanni Paolo II, un uomo che, avendo conosciuto l'orrore della guerra, un giorno l'ha definita �avventura senza ritorno�. Egli non sa rassegnarsi a un mondo minacciato dalla violenza, un mondo lacerato, in cui sono le armi a dire l'ultima parola. Ovviamente � tutt'altro che facile trovare sul terreno contrastato della vita internazionale le indicazioni pi� opportune. Ma il Papa mostra come la Chiesa e lui stesso non rinuncino a lavorare per la pace e - se altro non potessero - chiedere la pace al Signore. Al di l� delle armi e della stessa politica, c'� un'invocazione di pace cui forse noi crediamo poco. Karol Wojtyla invece ci ha costantemente testimoniato come l'"arma" pi� forte sia proprio la preghiera. Nel Natale 1986, riferendosi all'appena avvenuto incontro di Assisi e ai suoi partecipanti di varie religioni, disse: di fronte alle potenze di questo mondo "abbiamo deciso di essere poveri� avendo a nostra disposizione� solo la preghiera e il digiuno".

Gi� nel 1986, dunque, Giovanni Paolo II aveva chiarito la sua intuizione, quando pi� di oggi la cultura era dominata dall'idea che le religioni fossero un fatto residuale e la secolarizzazione l'elemento vincente. Le religioni rischiavano di essere trascinate in logiche di conflitto, mentre avrebbero dovuto riscoprire quel messaggio di pace che � al fondo di ogni tradizione: questo il Papa aveva intuito. In tale prospettiva invit� i leader religiosi a stare vicini, mai pi� gli uni contro gli altri, come disse. Li chiam� a pregare l'uno accanto all'altro, preservando scrupolosamente la propria identit�, ma anche mostrando una prossimit� religiosa che sfociasse in un comune, vigoroso messaggio di pace. Cos� Assisi � diventata una delle pi� espressive immagini religiose del Novecento.

La medesima intuizione emerge ora dalla scelta che Giovanni Paolo II ha compiuto circa il giorno per il digiuno: "La data del 14 dicembre - ha detto - coincide altres� con la fine del Ramadan, durante il quale i seguaci dell'Islam esprimono col digiuno la loro sottomissione all'Unico Dio". Una coincidenza che contiene un auspicio: "che il comune atteggiamento di religiosa penitenza accresca la comprensione reciproca tra cristiani e musulmani�". Non si tratta allora di rifiuto solo culturale o politico di una guerra di religione o di civilt�; il Papa crede che la prossimit� religiosa possa smuovere in profondit� le energie di bene, che sono nel cuore degli uomini e delle grandi tradizioni religiose. Disse a conclusione dell'incontro di Assisi nel 1986: "abbiamo riempito i nostri occhi di visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace, gesti che spezzeranno le catene fatali ereditate dalla storia o generate dalle moderne ideologie".

Nessuno, in quella fredda giornata dell'ottobre 1986 sul colle di Assisi, aveva previsto che nel giro di tre anni alcune "catene fatali" sarebbero state spezzate. Ma il Papa, come si diceva, crede nella forza della preghiera e del digiuno, conducendo il popolo cristiano, talvolta troppo pessimista, altre volte troppo preoccupato per progetti di breve periodo, a un primum, che poi � l'unum necessarium: un consapevole atteggiamento di fede dinanzi alla complessit� della storia contemporanea, anzi dentro ad essa.

L'invito al grande digiuno, con la sua semplicit�, sorprende forse i cristiani d'oggi, troppo presi dall'ingranaggio della societ� dei consumi o prigionieri del loro modo di pensare sofisticato. Riecheggia, in questo invito, la memoria del digiuno ebraico: i saggi insegnavano che il digiuno manifesta l'umiliazione di s� davanti a Dio. Il digiuno richiama soprattutto all'imitazione di Ges� stesso, che digiun� per quaranta giorni nel deserto. Egli insegna che "non di solo pane vive l'uomo", mentre siamo immersi nel culto delle nostre soddisfazioni. Soprattutto ricorda che siamo deboli e tentati. Nel Vangelo, dopo le tre tentazioni, il diavolo lasci� Ges� "e gli angeli gli si accostarono e lo servivano" (Mt 1, 11). Nell'umilt� del digiuno, forse, il popolo di Dio impara a lasciarsi servire dagli angeli, rivolgendo la sua attenzione a ci� che � essenziale.

E' come il digiuno di Ninive, la grande citt� in cui predic� il profeta Giona: quei cittadini "bandirono un digiuno, vestirono di sacco, dal pi� grande al pi� piccolo". La loro speranza era: "Chi sa che Dio non cambi, si impietosisca, deponga il suo ardente sdegno s� che noi non moriamo?". E Dio si impietos�. Anche oggi la nostra speranza � che Dio abbia piet� e non moriamo. Il digiuno fa s� che i cristiani si sentano popolo e ritrovino quei sentimenti di concordia, che rendono accetta la preghiera. Per questo, con fiducia, siamo convinti che Dio avr� piet� del mondo e la sua misericordia, alla fine, si affermer� sui pensieri di male degli uomini.

La sfida del Papa, di fronte a tanti ragionamenti di geopolitica e a tante interpretazioni raffinate, � quella della "forza debole" della preghiera e della fede che lo ha accompagnato durante tutto il suo pontificato e che egli ha espresso con grande limpidit� specie nei momenti pi� difficili.

Andrea Riccardi