Comunità di S.Egidio


 

30/04/2002


Parla il tecnico dell�Ansaldo rapito in Colombia nel novembre scorso
e liberato con la mediazione della comunit� di Sant �Egidio

Nessun riscatto � stato pagato

 

L'Ansaldo e la comunit� di Sant'Egidio negano che sia stato pagato un riscatto e affermano che la liberazione del tecnico genovese � avvenuta solo per motivi umanitari. L �azienda genovese si era subito mobilitata dopo il rapimento di Gianluigi Ravotti chiedendo il silenzio stampa. Due dirigenti avevano raggiunto Bogot� in aereo e avevano preso contatto con i rappresentanti della comunit� di Sant �Egidio che nel paese sudamericano ha una forte presenza e che si � adoperato in diverse occasioni per ottenere la liberazione degli ostaggi.�Quando siamo arrivati in Colombia - spiega il direttore del personale dell �Ansaldo Energia Giorgio Nannetti - abbiamo dato piena fiducia alla comunit� di Sant �Egidio e al nostro ambasciatore a Bogot� Felice Scauso che si sono messi a nostra completa disposizione �.Nel corso della conferenza stampa sono stati forniti tutti gli sviluppi dei particolari relativi alla liberazione del tecnico genovese che, nei giorni precedenti, aveva portato anche alla liberazione di altri due tecnici milanesi che erano stati rapiti due anni fa in Colombia, sempre da parte dei guerriglieri del Farc. L �ambasciatore Scauso ha sottolineato che in entrambi i casi fondamentale si � rivelato l �intervento della comunit� di Sant �Egidio che ha svolto una delicata opera di mediazione per ottenere la liberazione degli ostaggi. Ma ora che i due tecnici milanesi e che l �ingegnere Ravotti sono tornati felicemente a casa, in Colombia restano sequestrati altri due nostri connazionali entrambi imprenditori che sono stati rapiti in Venezuela.


Non ho mai perso la speranza
Vita nella jungla: �Insegnavo l�italiano ai guerriglieri�

�Non potr� certo mai dimenticare i miei 168 giorni di prigioniero sui monti della Colombia fino al momento della liberazione. Mi ha aiutato la forza di sperare di un ritorno a casa con la mia famiglia che mi aspettava..�.A parlare � l �ingegnere Gianluigi Ravotti, il quarantasettenne genovese rapito il 10 novembre scorso e liberato sabato scorso, che � rientrato ieri Genova e che ha incontrato i giornalisti negli uffici della direzione dell�Ansaldo durante una conferenza stampa. Il tecnico dell �Ansaldo Energia, appena arrivato Genova nel primo pomeriggio dall �aeroporto della Malpensa, ha abbracciato la moglie, il figlio Simone e i genitori, per poi raggiungere gli uffici di Campi insieme al direttore del personale Giorgio Nanetti e al rappresentante della Comunit� di Sant�Egidio Riccardo Cannelli, che si sono adoperati per ottenere la sua liberazione per motivi umanitari e senza il pagamento di riscatto. �I guerriglieri del Farc che lo hanno rapito spiega Riccardo Cannelli erano convinti che Ravotti fosse un dipendente dell�impresa colombiana di Medellin. Il nostro lavoro, in tutti questi mesi, ha consisitito nello spiegare che il tecnico non faceva parte dell�azienda sudamericana, ma che veniva dall�Italia, da una famiglia di lavoratori che non avevano certo i soldi per pagare un riscatto �. Il rappresentante della Comunit� di Sant�Egidio fornisce tutti i particolari che hanno poi portato alla liberazione di Gianluigi Ravotti.

�La mia storia del rapimento � cominciata il mattino di sabato 10 novembre scorso racconta il tecnico mentre andavo dall�accampamento dove dormivo alla centrale idroelettrica di Porce Dos per effettuare le prove di regolazione dell�impianto. Eravamo in macchina nel distretto di Antioquia e siamo stati fermati dai guerriglieri...�.

Come � stato trattato dai suoi rapitori?
�Non mi hanno maltrattato. Sono stato portato sui monti, in mezzo alla jungla. Dormivo in tende militari con il fondo di foglie e c �era il pericolo dei serpenti velenosi. Per fortuna non mi sono ammalato. Di tanto intanto ci sono state marce improvvise o piedi di alcune ore o a cavallo per far perdere le tracce all�esercito colombiano �.

Ci racconta come trascorrevano le sue giornate?
�Erano tutte uguali. Non c �era mai niente di diverso. Le mie giornate cominciavano alle cinque del mattino con una colazione a base di caff�. Alle undici c �era il pranzo: per lo pi� una ciotola di riso, qualche volta con fagioli o jucca. Alle cinque si cenava con stesse cose, talvolta con l�aggiunta di uova o qualche pezzo di carne. Alle sei di sera mi mettevo il cuore in pace per aspettare l�alba del giorno dopo. Passavo il tempo a guardare il cielo, scambiavo qualche parola con i guerriglieri. Imparavo lo spagnolo e insegnavo loro qualche parola di italiano. Riuscivo sentire anche la radio, specialmente le notizie sugli altri sequestrati in un paese come la Colombia, dove rapiscono dalle due alle tremila persone all�anno...�.

Non ha mai pensato di fuggire?
�No, perch� non avevo l�idea di dove mi trovavo. Sapevo solo di essere in mezzo i monti. In quella zona fuggire � impensabile, equivale ad autocondannarsi. I miei guardiani erano campesinos divisi in squadre di otto-dieci unit� che si alternavano nella mia custodia nei diversi campi. Erano probabilmente istruiti a questo lavoro. Si trattava di gente giovane, di et� tra quattordici e sedici anni. Solo il comandante superava i venti �.

Ha avuto paura?
�La paura c�� sempre per diverse cose, ma bisogna essere positivi e non arrendersi mai. Ho attraversato momenti veramente brutti durante la mia prigionia, ma mi ha dato coraggio la speranza di riuscire a tornare casa per continuare vivere con i miei congiunti. Guardando il cielo speravo di riuscire prima o poi di ottenere la liberazione. La mia storia si � risolta grazie all�intervento di alcune persone di cui io non immaginavo nemmeno l�esistenza .Le prim persone che ho visto sabato mattina, al momento della mia liberazione, � stato un sacerdote colombiano. Considero questo tempo trascorso in Colombia una trasferta di lavoro purtroppo una po� pi� lunga del solito. Se dovesse succedere qualcosa di analogo ad un collega, sappia che laggi� ci sono persone sempre pronte ad aiutarti per ottenere la tua liberazione, proprio come � successo ora a me �.

Torner� nuovamente a lavorare all�estero?
�Pu� darsi, probabilmente penso proprio di s�, ma ora voglio solo tornare nella mia casa, perch� il rapimento mi ha tenuto lontano dai miei familiari per 168 giorni. Mentre ero prigioniero all�interno di quella tenda nella jungla colombiana, la mia famiglia mi � mancata molto. La continua speranza di rivederli mi ha aiutato vincere quei brutti momenti della paura. Dopo la liberazione sono partito con il primo volo per l �Italia. Appena rientrato a Genova ho visto per qualche attimo il mio adorato Simone e i miei familiari. Ora voglio tornare a casa da mio figlio, mia moglie, i miei genitori e gli altri parenti che mi spettano �.

Manlio Di Salvo