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01/09/2002 |
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Da oggi Palermo ospita il convegno su "Religioni e culture tra conflitto e dialogo", con esponenti di diverse comunit� religiose mondiali. L'evento � di forte richiamo mediatico e, in questa fase di enfatizzazione di ogni happening in cui svolazzano tonache nere e baluginano zucchetti rossi, non mancheranno i commenti pomposamente retorici. Non meno banale risulterebbe per� la posizione �laicista� di chi decidesse di snobbare la notizia, ritenendola meritevole - al pi� - di qualche accenno ironico. Penso infatti che tre intere giornate in cui si riflette polifonicamente sulla ricaduta storicopolitica dei diversi atteggiamenti religiosi registrabili sulla faccia del pianeta costituiscano un appuntamento che interroga seriamente le coscienze davvero laiche, siano esse credenti anche in senso religioso o solo nei valori umani della giustizia e della pace. Telegraficamente evidenzierei in proposito quattro osservazioni, di rilievo crescente. La prima � di segno decisamente positivo: iniziative come questa danno contenuto alle chiacchiere sulla mediterraneit� della Sicilia e sul suo ruolo di ponte fra l'Occidente e l'Oriente come fra il Nord e il Sud. Non basta essere stati crocevia di civilt� al tempo di Federico II: le funzioni storiche di raccordo interculturale non si tramandano meccanicamente di epoca in epoca ma vanno, per cos� dire, guadagnate e riguadagnate sul campo. Poi, magari, pu� affacciarsi qualche problemino d'immagine (in quale delle varie lingue abitualmente adoperate il presidente Cuffaro porger� ai convegnisti il saluto inaugurale?). Una seconda osservazione � un po' pi� problematica perch� esprime una riserva sulla rappresentativit� delle varie correnti interne alle comunit� religiose presenti. Per limitarmi a quella che conosco pi� da vicino, la Chiesa cattolica, noto - a esempio - che cardinali, vescovi e laici invitati sono quasi tutti esponenti della linea wojtyliana maggioritaria: se si eccettua lo storico Pietro Scoppola, in pi� di un'occasione voce critica rispetto alle scelte temporali delle gerarchie ecclesiastiche e dei politici che le affiancano, non riconosco nel depliant alcun altro nome, almeno parzialmente �dissenziente�, invitato in quanto rappresentante della Chiesa cattolica. Persino nella tavola rotonda dedicata alla "Autocritica delle religioni" la Chiesa cattolica sar� rappresentata da una teologa palermitana molto colta, molto comunicativa e molto allineata sulle direttive magisteriali. Questa logica pu� lasciare supporre, agli occhi dell'osservatore esterno, un'omogeneit� culturale e sociologica che non rispecchia la variet� e la vivacit� delle posizioni oggi attive nel panorama ecclesiale. Una terza osservazione tocca un argomento particolarmente vicino alla nostra sensibilit� locale: la questione mafiosa come esemplificazione storica della tematica generale "Conflitti e riconciliazione". Difficilmente si sarebbe potuto scegliere per parlarne una testimone pi� appropriata di Rita Borsellino. A lei, affettuosamente, raccomanderei di non tacere - per amore di verit� - quanto � emerso tante volte in contesti differenti: che cio� nel �conflitto� fra mafia e antimafia le personalit� cattoliche (vescovi, preti e fedeli), e le stesse strutture organizzative ecclesiastiche, non sono state sempre dalla parte giusta, come don Pino Puglisi o don Peppino Diana: o perch� hanno perseguito una comoda e illusoria neutralit� o perch�, addirittura, si sono schierate dalla parte dei mafiosi. Una quarta osservazione pu� essere solo accennata perch� tocca il cuore della questione che sar� affrontata nei prossimi tre giorni. Le religioni sono state, storicamente, motivo di divisione fra i popoli e hanno legittimato violenze incredibili. A che condizione potrebbero, invertendo rotta, portare un contributo di segno opposto? La ricerca teologica e filosofica che ritengo pi� avanzata e che, certamente, � anche la pi� contrastata dalle autorit� religiose ha chiarito dei punti essenziali. Quando le religioni si autointerpretano come sistemi di verit� (dogmatiche) e codici di comportamenti (etici) non possono non scontrarsi reciprocamente: e, come sostiene Hans Kung, non ci pu� essere pace fra i popoli se non c'� pace fra le loro religioni. Quando invece le religioni prendono consapevolezza di s� come espressione dei desideri strutturali e costanti dell'umanit�; quando si presentano come �racconti dell'interiorit� dell'uomo� (Eugen Drewermann) nella sua incessante esperienza del divino; quando, insomma, pretendono di essere solo testimonianze storiche sia della contemplazione poetica del mistero trascendente sia del servizio disinteressato ai poveri, allora cessano di vedersi in competizione e imparano a collegarsi come frammenti dell'unico grande mosaico. E, imparando la finitezza del loro sguardo sul mondo, possono insegnare ai popoli la strada dell'umilt� e della cooperazione.
Augusto Cavadi
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