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03/09/2002 |
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Seimila gli iscritti: alla cerimonia finale 10 mila persone. In tanti venivano dall'Italia ma anche da Europa, Africa ed America Latina. Oltre tremila i palermitani. "Cercatori di unit� e di pace" arrivati nel capoluogo siciliano per partecipare al Meeting "Uomini e Religioni" che ogni anno, sullo "spirito di Assisi", la Comunit� di Sant'Egidio promuove in una diversa citt� europea. Questa l'hanno chiamata la "festa dell'unit� tra i popoli e della pace tra le genti" ed � iniziata la mattina del 1� settembre con una solenne celebrazione eucaristica in cattedrale alla quale hanno partecipato in tremila persone, molte delle quali costrette a seguire la messa attraverso i teleschermi. Palermo segna per� anche un altro record: mai si � verificata una presenza tanto ampia di capi religiosi e personalit� della comunit� politica e culturale internazionale". Oltre 460 ospiti, tra cui 12 cardinali, diversi patriarchi, moltissimi vescovi cattolici e ortodossi, pastori protestanti che segnano la presenza di tutte le confessioni cristiane. Presenti anche ebrei, musulmani, 13 rappresentanti delle religioni orientali, responsabili di organismi internazionali e membri del corpo diplomatico. Riportiamo il servizio quotidiano del Sir che giorno per giorno ha seguito l'evento.
Il Papa ha ricordato ai partecipanti il primo incontro di Assisi nel 1986 che "segn� - scrive - l'inizio di un nuovo modo di incontrarsi tra credenti di diverse religioni: non nella vicendevole contrapposizione e meno ancora nel mutuo disprezzo, ma nella ricerca di un costruttivo dialogo in cui, senza indulgere al relativismo n� al sincretismo, ciascuno si apra agli altri con stima, essendo tutti consapevoli che Dio � la fonte della pace". "Nel nostro tempo - ha aggiunto il Papa - vivere questo spirito � ancor pi� necessario". Per questo, nel gennaio scorso, dopo i tragici eventi dell'11 settembre, Giovanni Paolo II ha voluto ritornare ad Assisi per dire che "le tenebre non si dissipano con le armi; si allontanano accendendo fari di luce". Il Santo Padre auspica che l'incontro di Palermo possa accedere "di nuovo" fari di luce "in tutta l'area del Mediterraneo, luogo di antica collaborazione tra religioni e culture diverse, ma teatro anche di vivaci incomprensioni e di conflitti cruenti. Penso in particolare alla Terra Santa, precipitata in una spirale che pare di violenza inarrestabile". "Quanti popoli - scrive il Papa - oltre che da dolorosi conflitti, sono oppressi dalla fame e dalla povert�, specialmente in Africa. Salga da Palermo un nuovo appello perch� tutti, responsabilmente, si impegnino per la giustizia e l'autentica solidariet�".
"Tutti noi cristiani - ha detto l'arcivescovo De Giorgi nell'omelia - possiamo avanzare sulla via verso l'unit� chiesta da Ges� come dono al Padre" e "siamo chiamati a lavorare ogni giorno" perch� questo sogno "si compia pienamente".
Il metropolita ortodosso Serafim del Patriarcato di Romania ha invece spiegato perch� le Chiese ortodosse europee hanno timore di aprirsi al dialogo ecumenico. "70 anni di storia comunista - ha detto - hanno lasciato le nostre Chiese estremamente indebolite nelle strutture ed impoverite di fronte ad una modernit� aggressiva che � arrivata nell'Est in seguito al crollo della cortina". "La reazione - ha detto Serafim - � stata la nascita di ambienti anti-ecumenici e anti-occidentali, provocando una crisi ecumenica che tuttora stiamo vivendo. Personalmente penso che certe reazioni siano troppo dure e non servano alla causa dell'unit� e alla propria causa. Il dialogo � pi� che mai necessario". Chiede invece alla Chiesa cattolica un atto di riconoscimento per i limiti con cui fino ad oggi ha affrontato la questione femminile, Ignazia Siviglia Sammartino, teologa nonch� responsabile dell'ecumenismo e dialogo dell'arcidiocesi di Palermo. "Ho spulciato il programma di questa assise - ha detto - ed ho verificato che 172 interventi sono voci maschili e solo 6 sono voci femminili. E' un segno che dice quanto sulla questione della presenza delle donne nella Chiesa, dobbiamo fare ancora passi in avanti". Secondo la teologa, la Chiesa non ha fatto abbastanza anche sul fronte dei poveri. "L'auspicio - ha detto - � che questo diventi il millennio della sobriet�, l'era in cui ci si distacca da ogni potere e privilegio, la stagione in cui i poveri diventano soggetti e non destinatari dell'attenzione della Chiesa".
"Niente viene risparmiato per soddisfare gli appetiti e le logiche sempre pi� rigide del saccheggio che sta diventando il commercio senza viso umano". Anche dal punto di vista politico, l'Europa ha le sue responsabilit�. "L'Europa - ha sottolineato mons. Agr� - ha sempre influenzato la politica del continente africano" ma oggi "lo sfruttamento dell'Africa continua ancor meglio di prima, con meno scrupoli". "Quanta insicurezza - ha lamentato il cardinale - quante guerre scatenate o nutrite in Africa da mani straniere". L'arcivescovo ha quindi lanciato un interrogativo all'Europa. "Ancorata volente o nolente alla potenza economica degli Stati Uniti - ha chiesto - l'Europa dispone ancora di sufficiente autonomia per seguire le proprie scelte? Pu� ancora pronunciarsi in favore di soluzioni originali?". "Non abbiamo bisogno dei soldi occidentali". Ha detto invece il card. Christian Tumi, arcivescovo di Douala, che ha parlato soprattutto di "democrazia intrappolata" e di corruzione. Il cardinale ha detto che "i problemi economici dell'Africa sono aggravati dalla disonest� di alcuni governanti corrotti" che agendo "in collusione con degli interessi privati, locali o stranieri, deviano le risorse nazionali a loro profitto, trasferendo denaro pubblico sui conti privati in banche straniere". Ai due arcivescovi ha fatto eco anche Sunday C.Mbang, africano e presidente del Consiglio mondiale metodista. "Gli europei - ha detto - hanno diviso le ricchezze dell'Africa secondo le loro necessit�, un po' come fanno gli ospiti ad un banchetto con il dolce. Hanno sfruttato l'Africa a loro vantaggio. E quando gli africani hanno conquistato l'indipendenza, hanno lasciato il continente in preda alla corruzione, ai poteri dittatoriali, alle povert�, alla guerra". Sudan, Algeria, Guinea Bissau, Sierra Leone, Liberia, Repubblica Centraficana, Rwanda, Burundi, Somalia, Congo Brazzaville, Uganda, Mozambico, Angola. A nominare, ad uno ad uno, i nomi dei Paesi in preda a guerre e conflitti etnici � stato Cornelio Sommaruga, presidente di Caux-Iniziative e Cambiamento (Svizzera). "E' responsabilit� europea - ha detto - aiutare gli africani a determinare quello che loro stessi devono intraprendere, per essere artefici del loro avvenire, per inserirsi nell'economia mondiale e porre fine alla loro marginalizzazione". E' dello stesso parere Serge Latouche, dell'Universit� di Parigi, che ha denunciato "l'ipocrisia di certa carit�" e le "dimensioni ridicole" degli aiuti al Sud del mondo. "Ogni aiuto - ha detto - ogni volont� di aiutare sono ineluttabilmente sospetti". "Aiutare l'Africa - ha aggiunto Latouche - passa pi� per un'autolimitazione delle nostre societ� del Nord, per un cambiamento profondo dei nostri modelli e per una rimessa in discussione dello sviluppo". "L'Africa - ha concluso il professore - non sa che farsene dei nostri aiuti internazionali. Ha bisogno di riconoscimento di fiducia, di dignit�. E' cos� che possiamo rafforzarla nel modo migliore".
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