Comunità di S.Egidio


 

11/09/2002


Per la costruzione di una civilt� del convivere

 

Una parte consistente dell�intellighenzia del Novecento aveva dato, entro il secolo, per finito o per fortemente consunto il ruolo delle religioni. Esse sarebbero rimaste, tutt�al pi�, come un riferimento privato per pochi. I regimi comunisti dell�Est avevano ridotto progressivamente lo spazio della vita religiosa; addirittura in Albania, veniva proclamato lo Stato ateo, mentre era interdetta e punita gravemente ogni pratica religiosa. In Occidente il consumismo e la modernit� sembravano erodere sostanziosamente lo spazio tradizionale della fede. Si prevedeva l�ineluttabile scomparsa delle religioni dalla vita della gente. Cos� si sarebbe concluso il Novecento, il secolo pi� secolarizzato della storia. Ma questa non � stata la conclusione del Novecento; anzi il secolo passato ha trasmesso a quello nuovo un ruolo importante delle religioni nella vita pubblica e privata.

Constatare questa realt� non vuole essere un grido di vittoria contro il secolarismo (che rappresenta tuttora un fatto rilevante del nostro tempo), ma appare il frutto dell�osservazione della vita di tanti popoli in tutte le parti del mondo. Le religioni, infatti, esercitano un ruolo pubblico, sono presenti in tante vicende sociali e personali, rappresentano una componente importante della storia contemporanea. Questo � una risorsa di speranza per tante donne e tanti uomini alle prese con dure condizioni di vita. Lo vediamo nel mondo cristiano del Sud, ad esempio in Africa, dove la povert� � molto forte: la fede costituisce un elemento di speranza per la vita e una spinta alla solidariet�, anche in concrete situazioni di difficolt�. La fede rinnova il tessuto sociale, mentre spinge gli uomini e le donne ad essere migliori sulla via della sapienza e della santit�., che tutte le religioni affermano come il cammino dei credenti. Del resto non c�� bisogno di spiegare il valore della fede sia per se stessi che per il mondo intorno.

Tuttavia il ruolo delle religioni pone nuovi problemi. In un mondo spaesato come il nostro, dove le ideologie si sono spente e tante passioni politiche si sono raffreddate, le religioni restano un riferimento riconosciuto e pubblico. Questa situazione fa si che si faccia appello alle religioni per sacralizzare i conflitti o per benedire nuovi muri tra i popoli. Lungo gli anni Novanta, con molta frequenza, si � tornati a parlare di guerre in nome della religione e talvolta in nome di Dio. Le religioni sono state utilizzate per fini che sembrano - almeno a chi osserva dall�esterno quelle tradizioni religiose che non sono la sua - veramente estranei al loro fondamentale messaggio di pace. Per questo lo �spirito di Assisi�, quello del dialogo tra le religioni e dell�invocazione di pace, nato dalla convocazione di Giovanni Paolo Il nella citt� di san Francesco nell�ottobre 1986, ha rappresentato una risposta forte e serena alla strumentalizzazione delle religioni per la guerra. Ed � stata una risposta corale (cio� proveniente da diverse religioni), che ha affermato il valore del dialogo e quello di una amichevole vicinanza. In questa prospettiva si sono sviluppati vari percorsi nuovi di rapporti tra le comunit� religiose anche a livello dei credenti e non solo dei leader religiosi o degli intellettuali.

Di fronte ad orizzonti allargati e innanzi al processo di globalizzazione, � cresciuto per� lo spaesamento con il timore di perdere la propria identit�. Sono nati fenomeni di affermazione di s�, carichi di aggressivit� e di esclusivismo, a cui � stato dato il nome di �fondamentalismo�. Come si sa questa espressione � nata nel mondo neoprotestante e riguarda quei gruppi che procedono ad un�applicazione letterale e radicale della Bibbia. Ma successivamente la si � estesa a settori delle diverse religioni che manifestano aggressivit�, esclusivismo, forme di esclusione dell�altro e di affermazione prepotente di s�: cristiani, ma anche ebraici o islamici fino all�induismo. Da parte mia credo che si possa parlare anche di fondamentalismo etnico o razziale in alcuni casi di particolare e aggressivo esclusivismo. Spesso il fondamentalismo � una reazione alla globalizzazione nella difesa della propria identit� o in una disperata e aggressiva volont� di dominio. Per i fondamentalisti l�eliminazione dell�altro (o la sua compressione pressoch� totale) rappresenta un obiettivo costantemente riproposto e talvolta perseguito con violenza.

Nel caso del fondamentalismo islamico, ad esempio, si discute sul suo futuro. Per alcuni l�11 settembre ha affermato la prepotente affermazione di un volto dell�islam, destinato a crescere in conflitto con l�Occidente; per altri, come il noto studioso Gilles Kepel, ci si trova innanzi ad affermazioni che rivelano la perdita di consenso dei fondamentalisti tra i musulmani. Qualunque sia l�interpretazione, sembra che le note tesi presentate dello studioso americano, Samuel Huntington, quelle sullo scontro di civilt� (e di religione) abbiano trovato una conferma nei tragici fatti dell�11 settembre. Almeno per l�islam, ma evidentemente non solo. Lo scontro di religione e di civilt� � un destino ineluttabile a cui ci si deve preparare?

In realt� la storia dei popoli, come quella delle comunit� religiose, non � programmata da una vocazione profonda allo scontro. Non c�� una religione destinata, quasi dai suoi cromosomi, alla guerra. Esistono complesse stagioni politiche in cui i sentimenti religiosi, quelli politici, passioni che hanno le radici pi� diverse, si intrecciano tra di loro o producono, talvolta, miscele esplosive. Ma queste miscele non inquinano un�intera comunit� religiosa, dove ovviamente ci sono scuole teologiche e esperienze spirituali differenti. Anche l�ebraismo, che � la comunit� meno vasta rispetto alle altre due religioni monoteistiche, presenta pi� volti. E non � che un esempio. Anche nella storia delle religioni niente � determinato, soprattutto da una vocazione profonda alla lotta. Tanto possono i credenti con la loro vita e con le loro scelte.

Per questo, l�anno trascorso dall�11 settembre � stata l�occasione per rimeditare il valore del dialogo tra le religioni. Per molti sarebbe un�ingenuit� pericolosa o almeno inutile. Per la Chiesa cattolica � un cammino intrapreso dal Vaticano Il, senza confusioni ma con molto impegno. Giovanni Paolo Il, nel gennaio 2002, � ritornato ad Assisi assieme ai leader delle religioni del mondo: ha ribadito non solo il valore dello spirito di Assisi, ma anche del lavoro per il dialogo. Gli �impegni� che hanno concluso quella giornata di preghiera nella citt� umbra mostrano come si crede che il dialogo interreligioso possa promuovere una visione pi� giusta dei rapporti tra i popoli. Dopo l�11 settembre, di fronte alle minacce sull�orizzonte internazionale, c�� pi� necessit� di contatti amichevoli e di dialogo, come � stato recentemente ribadito nell�incontro internazionale tra le religioni, promosso dalla Comunit� di Sant�Egidio a Palermo.

Nel nostro mondo contemporaneo, la gente di differente religione e cultura vive sempre pi� insieme. E� frutto non solo dell�emigrazione, ma di quel mescolarsi delle genti indotto dalla globalizzazione. Nessuna comunit�, non fosse che per il mondo virtuale, � pi� isolata in se

stessa. La sfida contemporanea � rappresentata proprio dalla costruzione di una civilt� del convivere, seppure in contesti nazionali o religiosi dalle differenti caratterizzazioni. Le religioni hanno un grande compito nell�educare i loro fedeli all�amore e nel disarmare i cuori. Ma questo compito si esplica anche nel dialogo tra di loro. L�auspicio � che il dialogo si diffonda non solo negli ambienti dei leader o degli studiosi, ma divenga sempre pi� un ethos condiviso come dialogo tra la gente e tra i credenti. Non � un sogno, ma una realt� che si va affermando in tante parti del mondo. Infatti i credenti chiedono motivi e sostegno per liberarsi dagli odi del passato, per comprendersi, per amarsi, per vivere con gli altri. E mi sembra che le comunit� religiose, nella loro maggioranza, si avviino su questa strada. Forse � un giudizio ottimistico, ma lo sento pi� vero del cupo pessimismo che talvolta ci prende, quasi il senso ineluttabile che siamo destinati ad odiarci e combatterci. Del resto il pessimismo non mi sembra il messaggio di nessuna religione, almeno non lo � della fede cristiana.

Andrea Riccardi