Comunità di S.Egidio


 

01/10/2002


�Forza debole� e vincente
Il presidente della Comunit� di Sant�Egidio spiega come si pu� costruire la pace con la capacit� di parlare alla ragione e al cuore.

 

I cristiani a volte si sentono rivolgere l�interrogativo che il teologo Karl Barth poneva a se stesso: �Che fai nel tuo popolo per la vera pace che sola pu� impedire la guerra...?�. La guerra e la pace infatti non riguardano solo i responsabili politici, diplomatici o militari. Riguardano i popoli con tutte le loro contraddittorie passioni. E� l�esperienza di questo Secolo appena trascorso, che nelle guerre ha coinvolto sempre di pi� i civili.

C�� un grande spazio di impegno per i cristiani nel campo della pace: il lavoro per curare la violenza e finanche la guerra. L�ho visto realizzare da numerose Chiese africane. Ma credo sia per me onesto far riferimento all�esperienza che mi coinvolge, quella della Comunit� di Sant�Egidio. Di fronte alla catastrofe di un intero paese, il Mozambico, si impose alcuni interrogativi: non si poteva fare di pi� che un lavoro di cooperazione allo sviluppo per il Mozambico? Non si doveva osare un lavoro per la riconciliazione tra le due parti in lotta? L�ex colonia portoghese era travagliata da una dura guerra civile che aveva provocato un milione di morti e distrutto la fragile economia del Paese (con gravi e ricorrenti problemi di fame). Una soluzione negoziata non sembrava possibile tra le due parti: il governo marxista e nazionalista, e la guerriglia della Renamo, che aveva catalizzato attorno a s� l�opposizione nazionale.


Dalla lotta armata al confronto politico
Ne � scaturito un impegno per la riconciliazione che, nel 1992, con la mediazione di Sant�Egidio ha posto fine alla guerra attraverso un accordo di pace che ha consentito di trasformare il Paese in senso democratico e di spostare il conflitto dalla lotta armata al confronto politico. Oggi in Mozambico c�� pace e la ex guerriglia rappresenta il pi� forte partito di opposizione in un quadro democratico. Non voglio trattare oltre dell�attivit� di Sant�Egidio per la pace in vari Paesi, ma intendo testimoniare chi c�� uno spaizio di impegno cristiano contro la violenza in un mondo in cui sembra che molti possano fare guerre. L�uso della violenza � oggi alla portata di gruppi, etnie, movimenti per affermare i loro interessi, causato anche dal facile accesso al mercato delle armi e dalla fragilit� di molti Stati. E� per� possibile non limitarsi agli appelli di pace, ma operare contro la violenza e per la riconciliazione.

Infatti, lo dico in base alla mia esperienza, le Chiese e i cristiani non sono destinati solo a deprecare la violenza e la guerra. Essi hanno una loro propria forza, che ho pi� volte chiamato una �forza debole� secondo le parole dell�apostolo Paolo (�quando sono debole � allora che sono forte�): � quella della persuasione, della capacit� di parlare alla ragione e al cuore, della libert� che deriva dall�assenza di interesse di parte, della dedizione alla pace .. Questa forza manca a volte alle istituzioni politiche, che pur contano di strumenti di pressione politici. militari ed economici. Paradossalmente, proprio la caratteristica di outsider, di mediatori super partes, seriamente dediti alla causa della pace senza possibili tornaconti politici, economici, o di prestigio internazionale ha costituito il punto di forza dell�intera vicenda diplomatica di Sant�Egidio. Mi sembrano letture di quella �forza debole� che non manca ai cristiani contemporanei. In un mondo cristiano sempre pi� perplesso e inquieto di fronte all�uso della violenza, occorre procedere -e se ne vedono i segni- sulla via di un approfondimento della spiritualit� della pace.

In questa prospettiva Giovanni Paolo II ha creato un movimento decisivo, che riassume tanti segmenti di esperienze del Novecento, con la preghiera interreligiosa di Assisi nel 1986: la Comunit� di Sant�Egidio l�ha continuato anno dopo anno in diversi luoghi del mondo. Il Papa invit� le Chiese cristiane e le grandi religioni mondiali, talvolta prigioniere dei particolarismi nazionali, a spendersi nel cammino religioso della ricerca della pace. E� sorto un movimento di dialogo. Per misurare il cammino compiuto bisogna riandare alle parole di Giovanni Paolo II alla fine di quel giorno �Forse mai come ora nella storia dell�umanit� � divenuto a tutti evidente il legame intrinseco tra un atteggiamento autenticamente religioso e il grande bene della pace. . . La preghiera � gi� in se stessa azione. . . La pace attende i suoi profeti. Insieme abbiamo riempito i nostri sguardi di visioni di pace: esse sprigionano energie per un nuovo linguaggio di pace, per nuovi gesti di pace, che spezzeranno le catene fatali delle divisioni ereditate dalla storia. . . La pace � un cantiere aperto a tutti e non soltanto agli specialisti, ai sapienti e agli strateghi. La pace � una responsabilit� universale: essa passa attraverso mille piccoli atti della vita quotidiana�.

La drammatica realt� della violenza diffusa nelle societ�, quella quotidiana o del terrorismo, delle guerre di ogni tipo, si articola in differenti capitoli; ma il �demone� della violenza � una realt� con cui la nostra umanit� deve fare quotidianamente i conti.

I cristiani del Novecento sanno bene, anche dopo stagioni di grandi speranze come la fine della seconda guerra mondiale, la decolonizzazione, l�89, che la violenza continua a essere una compagna della storia degli uomini. L�esperienza di umanit� della Chiesa in questo Novecento lo conferma. I cristiani, pellegrini nella storia, sanno come la realt� del male sia presente e come da essa possa nascere ogni tipo di violenza. Non rinunciano tuttavia a una visione di pace, in cui �le armi diventeranno vomeri� come dice il profeta Isaia; ma sono consapevoli della realt� del male nell�uomo e nella comunit� umana, della forza della violenza e della guerra che, gi� nel primo millennio, il papa Nicola I definiva �satanica nelle sue origini�.

Il bilancio del secolo si conclude con una accresciuta vigilanza e consapevolezza tra i cristiani sul problema della guerra e della violenza. Ma certamente questa non � ancora abbastanza per il credente che spera che la violenza ceda il passo a una convivenza umana ragionevole e pacifica e che -come diceva Giovanni XXIII nella Pacem in Terris- �fiorisca. . . e sempre regni la desideratissima pace�.

Andrea Riccardi