Mi � sempre rimasto impresso il fatto che la firma degli accordi di pace per il Mozambico fosse coincisa per uno strano caso con la festa di San Francesco d'Assisi. In realt� si sarebbe dovuto firmare firmare il 3 ottobre, ma all'ultimo momento insorse una grave difficolt�, con grande preoccupazione per i presidenti e ministri degli Esteri gi� arrivati a Roma per la cerimonia. Fortunatamente si riusc� a concludere in 24 ore e ci fu la firma. Fin� per sempre quella guerra dimenticata che aveva consumato la vita di un milione di persone.
Da dieci anni - oggi 4 ottobre 2002 suona infatti la campana del decennio di quell'avvenimento- c'� pace in Mozambico. C'� anche, pur tra tanti problemi, una democrazia, che vede la guerriglia trasformata in partito di opposizione parlamentare. Ed il presidente della Repubblica, Chissano, gi� massimo esponente del regime marxista, ha rinunciato a candidarsi per un nuovo mandato, cosa rar a in Africa.
A tornare indietro con la memoria a quei negoziati, si nota la lunghezza delle trattative. Ci furono circa due anni e mezzo di conversazioni, talvolta difficili, a Roma presso la Comunit� di Sant'Egidio nel cuore di Trastevere, con la regia di quattro mediatori (Mario Raffaelli, rappresentante dell'Italia, mons. Gon�alvez, vescovo mozambicano, Matteo Zuppi per Sant'Egidio, oltre il sottoscritto). Attorno all'"inaspettato team di mediatori di pace non professionisti", come scrisse il "Washington Post", si era creata anche una sinergia tra Italia, Stati Uniti, Francia, Portogallo, Gran Bretagna, Onu, tutti rappresentati al tavolo dei negoziati.
Trattare fu un lungo e estenuante cammino per cui un "sogno" di pace diveniva, un poco alla volta, una realt�. Infatti la pace, valore indiscusso, ha bisogno di un grande lavoro di costruzione. Non basta proclamarla, ma occorre fare i conti con i problemi milit ari, politici e anche di mentalit� che la rendono possibile. Lungo i negoziati l'impostazione solo militare dei guerriglieri si � trasformata in una visione politica. E d'altra parte i governativi dovevano evolvere dalla pratica marxista del partito unico verso il pluralismo. Il cambiamento di mentalit� fu una delle fatiche pi� grosse. Per anni la pace aveva significato per gli uni l'eliminazione degli altri e viceversa. La sfida era passare dal conflitto militare al conflitto politico nel quadro di istituzioni democratiche, tutte da progettare e costruire.
Il grido di pace dei mozambicani, vessati sino all'inverosimile da una guerra decennale, andava raccolto. Ma doveva diventare una costruzione realistica, che avrebbe impedito ai guerriglieri di riprendere le armi e spinto il governo a condividere il potere. Il sigillo della fiducia fu la costituzione di forze armate unitarie tra governo e guerriglia dopo la firma. Questo non fu fatto in Angola, in que gli stessi anni, e la guerra riprese come prima dopo la sconfitta elettorale della guerriglia. In Mozambico il leader guerrigliero, Dlhakama, mantenne - nonostante la sconfitta alle prime elezioni libere - la sua promessa: non avrebbe pi� ripreso le armi.
Oggi non si tratta di rievocare solo un fatto di dieci anni fa, quanto di riflettere come la pace richieda grande speranza, e insieme realismo e tenacia. Dove realismo � innanzitutto non dimenticare quella fiducia profonda per cui la pace � possibile. In questo nostro tempo, siamo spesso presi da un senso di impotenza e di pessimismo di fronte alle guerre in corso o minacciate, sentendo la distanza dei valori condivisi con l'effettiva possibilit� di fare. Quell'"insolita mediazione" di dieci anni fa non � solo una pagina di passato, ma ricorda le grandi possibilit� di lavorare ancora per la pace.
Andrea Riccardi
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