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13/10/2002 |
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Ho fatto un sogno. Non l'ho fatto apposta. C'era un prete non troppo grande di corporatura, col clergyman usato senza essere sdrucito e con gli occhiali scuri (mannaggia a quel diabete...) che mi parlava dei campi zingari che sono sempre troppo pochi, degli usurai ipocriti, e dello schifo che gli facevano quelli che si scandalizzano per gli immigrati clandestini mentre nessuno fa niente contro le mafie di trafficanti balcanici e italiani. Sorrideva e s'arrabbiava e come al solito camminava da un posto all'altro. E poi si indignava sui ministri e su quelli col panfilo �che della povera gente non gliene importa niente� e mi parlava con simpatia di nomi di una Roma sparita, di qualche democristiano con gli occhialini da miope, che se per� gli spiegavi le cose, alla fine, stava a sentire. Di quelli venuti dopo non ho capito bene cosa dicesse, ne parlava bene (e male), come uno zio esigente a cui non sfugge niente. �Don Luigi�. Monsignor Luigi Di Liegro non � stato un sogno per Roma, ma sono cinque anni che non c'� pi�. Un prete romano vero, nato a Gaeta da una famiglia di emigranti, senza acrimonia per il mondo e con la capacit� di incontrare tutti. Un interprete autentico del Concilio, che per portare il Concilio nella citt� del Papa, diede un contributo decisivo ai cardinali dell'Acqua e Poletti per dare vita a quel convegno �sulle attese di carit� e di giustizia nella citt� di Roma�. Intorno a lui oggi c'� una nostalgia e un consenso che vanno oltre i confini dei cattolici romani. � nata una fondazione. In tanti, illustri, lo ricorderanno nei prossimi giorni. Spero che presto ci sia una strada intitolata a don Luigi. Magari a piazza Poli, dove ha abitato tanti anni, o vicino al Laterano. In lui si intrecciava l'eredit� del cattolicesimo sociale, filtrata attraverso la Giovent� operaia cattolica e il Concilio Vaticano II. Quel convegno sui �mali di Roma� era stato il suo capolavoro. Molti gliel'hanno rimproverato per anni, pochi gliene hanno attribuito il merito, che poi � quello di una revisione profonda dei rapporti della Chiesa con Roma, la sua classe politica e la sua periferia. Eppure � da l� che si � affermata per la prima volta, a Roma, una dimensione propria di Chiesa locale. Da quel 1974 la sua attenzione si and� concentrando sul mondo dei poveri, interpretando il suo ufficio di direttore della Caritas �alla grande�: forze civili, giunte, realt� ecclesiali dovevano parlare con lui. Lui non nascondeva simpatie e diffidenze e, alla fine, non apparteneva a nessuno. Credo che nessuno di quelli che l'ha frequentato pi� a lungo, che ha collaborato con lui, che ha fatto propria la stessa indignazione morale di don Luigi nella difesa dei pi� deboli, possa dire di non avere discusso con lui. Era un uomo fine, appassionato, un cristiano che sapeva chiedere perdono e che aveva una capacit� rara di assumersi il dolore degli altri. Per questo sembrava a volte arrabbiato: con le istituzioni, con i ritardi, con la gente della Chiesa, per i poveri. E i poveri lo conoscevano come uno di casa. Aveva spesso fretta. La fretta ne faceva a volte un �cavaliere solitario�, anche se circondato da stima e rispetto (e fastidio) di tanti. Don Luigi oggi manca, molto. � una responsabilit� in pi� per tutti, quella di fare come se ci fosse ancora. Per una citt� dove i poveri possano sentirsi a casa propria.
Mario Marazziti
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