Comunità di S.Egidio


 

09/09/2003


Il teologo sciita: �Gli americani? Vogliamo che restino�
Secondo Jamal Al-Din, ospite di Sant�Egidio, ci sono Paesi dell�area che hanno interesse che l�Iraq esploda e l�esperimento democratico fallisca

 

AQUISGRANA (Germania) - �Ospitare gli americani sul territorio � una nostra libera scelta. Desideriamo che rimangano. Se il popolo iracheno volesse liberarsi di loro saprebbe come fare: e gli americani non resisterebbero un giorno. La lotta comincerebbe da Najaf... Insomma � un errore considerare il popolo iracheno come sconfitto e sottoposto a un'occupazione straniera�. Parola di Seyyed Ayad Jamal Al-Din, filosofo, teologo, politico, esponente di quel nuovo clero sciita iracheno liberale e progressista che vede nella divisione tra Stato e religione la salvezza del futuro Iraq e della stessa religione. Non per niente � amico di Seyyed Hussein Khomeini, nipote del Grande Ayatollah, che propone la medesima analisi. Jamal Al-Din � ospite ad Aquisgrana del convegno �Tra guerra e pace, religioni e culture s'incontrano� organizzato dalla Comunit� di Sant'Egidio di Andrea Riccardi. Accanto a lui cardinali cattolici, metropoliti ortodossi, rabbini ebrei, monaci buddhisti. Jamal Al-Din veste l'abito del mullah ma fuma sigari Avana, usa un telefono cellulare dell'ultima generazione e calza sandali di pelle di ottima fattura. Ha 42 anni e ha studiato dal 1979 al 1995 a Qom, citt� santa sciita in Iran.

Lei dice che il popolo iracheno non � ostile agli Usa. E allora le continue sparatorie, i clamorosi attentati?

�Quando Saddam � caduto la nostra gente � stata felice: l'unico paragone possibile con Hussein era con Stalin. Perci� nessun iracheno si � opposto all'arrivo delle truppe alleate. La base � tuttora su questa posizione anche se c'� malcontento per la mancanza di acqua o di elettricit� e di infrastrutture. Ma � fisiologico: si attendevano interventi miracolosi... Gli attentati? Operazioni finanziate e programmate da chi, dall'esterno, ha interesse che l'Iraq esploda e l'esperimento democratico fallisca�.

Lei dice: dall'esterno. Da chi?

�Dai Paesi vicini, per esempio. Si tratta quasi sempre di regimi dittatoriali che temono la nascita di una vera democrazia irachena: se funzionasse anche loro cadrebbero. L'Iraq � il cuore del mondo arabo e islamico e una democrazia avrebbe un impatto in quell'universo. La leadership sciita � in Iraq cos� come, storicamente, quella sunnita. L'Europa deve sostenere questa esperienza e quindi lo sforzo degli Usa. Un eventuale insuccesso segnerebbe evidentemente la vittoria del terrorismo�.

A quali �regimi dittatoriali� si riferisce? Per esempio all'Iran?

�Basta aprire la cartina e guardare. L'Iran? Non ho commenti. Abbiamo deciso di evitare ogni attrito�.

Cosa pensa dell'assassinio di Al Hakim?

�Opera di chi temeva un uomo equilibrato, aperto al dialogo. Lui non ha mai chiesto l'uscita degli Usa dall'Iraq ma solo un cambiamento della loro politica�.

Lei � un liberale. Quale governo si augura per l'Iraq?

�Non smetter� mai di battermi per un governo laico rigorosamente separato dalla religione e dall'ideologia. Non vogliamo che i nostri figli vivano le stesse tragedie gi� avvenute in nome di quei due principi. E se lotto per questa prospettiva non � certo per compiacere gli Stati Uniti ma perch�, studiando la storia e l'Islam, si scopre che quella separazione rappresenta il modo migliore per garantire libert� alla religione, che cos� perde ogni vincolo�.

L'esperimento iracheno mostra per� molte contraddizioni.

�Dal mio punto di vista la democrazia continua a compiere passi in avanti. Un governo � stato costituito, molti poteri sono in mani irachene, i ministri sono competenti. E' un risultato in un Iraq un tempo ricco che, per colpa di Saddam, ha visto via via distruggere l'industria, l'agricoltura, la vita intellettuale. Oggi ci confrontiamo sulla politica in seminari e dibattiti pubblici senza problemi. E siamo grati agli alleati che ci garantiscono questa possibilit�.

Paolo Conti