Comunità di S.Egidio


 

05/10/2003


Il calvario di Rodolfo, da ingegnere a barbone

 

CONOSCO e stimo da anni i responsabili della Comunit� di Sant�Egidio. Mi piace la loro attivit� e la capacit� di risolvere problemi complicatissimi con l'aria di svolgere una attivit� normale. Al contrario, direi che c'� proprio poca normalit� in quello che vanno facendo in Italia e nel mondo.

Mario Marazziti, che della Comunit� � autorevole rappresentante, mi ha parlato di recente del fenomeno dei nuovi barboni, di coloro i quali, ancor giovani, si trovano costretti ad una esistenza marginale quasi di colpo. Poco dopo quest'incontro, mi � arrivata una lettera, lunga, scritta con la grafia di chi ha fatto studi regolari. Lo dico subito: � una storia che colpisce e inquieta. A raccontarmi la sua vicenda � un quarantaduenne ingegnere nato in provincia di Brescia ma poi trasferitosi a Milano. Scrive: �Mi � capitato un vecchio numero de Il Messaggero e ho letto una storia che riguardava una persona anziana che aveva voglia di calarsi gli anni non accettando un percorso irreversibile. Ebbene, io, se volessi dare una motivazione alla mia attuale condizione, gli anni me li dovrei aumentare. Si pu� finire senza casa, senza affetti, senza soldi, garantendosi un pasto caldo presso una delle tante Comunit� quando si hanno pi� di 50 anni e si � vissuto sempre ai margini della societ�. Ma io, che di anni ne ho 42, fino a due anni fa ero un rispettato e rispettabile ingegnere che lavorava in una azienda metalmeccanica in provincia di Milano. Ero sposato, allora, e avevo un figlio, Carlo, che adesso ha 15 anni. La strisciante crisi economica, le difficolt� di alcune aziende leader, hanno portato ad un immediato ridimensionamento delle societ�, fabbriche, aziende dell'indotto ed io mi sono ritrovato nella prima lista di persone da mandare a casa�.

Via via che leggevo provavo una strana sensazione quasi che l'ingegnere (Rodolfo R.) riferisse un qualcosa accaduto a un altro, non a lui. Avvertivo cio� freddezza, quasi distacco. Andando avanti, Rodolfo mi dice che, perso quel posto, di l� a poco ne ha trovato un altro che garantiva minor soldi ma comunque occupazione. Anche questo secondo posto lo ha perso e da quel momento, da quando � tornato a casa e ha detto alla moglie qual era la situazione e purtroppo quale il futuro che si prospettava, la sua vita � scivolata rapidamente verso la solitudine, l'emarginazione, il dolore. Gi�, perch� la moglie gli ha chiesto di andar via per consentire, a lei e al figlio, di organizzarsi in modo da mantenere il tenore di vita di sempre. Lascio a lui la parola: �La verit� � che mia moglie da tempo mi considerava un inetto, una persona incapace di stabilire quei rapporti sociali che avrebbero potuto farmi crescere professionalmente. Soltanto a posteriori ho scoperto che da tre o quattro anni lei aveva una relazione con un industrialotto brianzolo che, con supponenza e volgarit�, le prospettava una vita da eldorado. Posso dire oggi con certezza che questa donna, da me considerata la persona pi� importante, l'amore che non avrebbe vissuto tracolli, aveva da tempo in animo la separazione a prescindere dalla perdita del posto di lavoro. Il licenziamento ha solo accelerato i tempi. Se per�, signor Costanzo, hai perso il posto di lavoro, tua moglie ti ha messo in mezzo a una strada impedendoti anche di vedere tuo figlio, i pochi amici non hanno tanta voglia di sovraccaricarsi dei tuoi problemi avendo gi� i propri, e sei naturalmente frastornato e depresso per un bilancio inaspettatamente cos� negativo, puoi diventare un barbone, un senzacasa in tempi brevissimi. Io arrivai a Roma trascinandomi un valigione che conteneva ogni mio avere. Il conto in banca si era prosciugato tra il primo e il secondo lavoro ed io non riuscivo a trovare dentro di me, e non ci riesco ancora, la forza per reagire, per ricordarmi il titolo di studio conquistato, per bussare a una porta e chiedere di essere sottoposto per lo meno ad una prova. Ho vissuto prima in un vecchio baraccone lungo il Tevere, poi sotto un ponte e adesso ho trovato un portone, per fortuna poco frequentato, dove gli inquilini, persone civili, mi consentono di dormire quattro-cinque ore e ogni tanto di lavarmi in una specie di vasca in terrazza. Poi, come le ho detto, ho un pasto caldo in Comunit�. Per il resto giro, chiacchiero con qualcuno nella mia stessa condizione e guardo, guardo ininterrottamente gli altri, quelli che ce l'hanno fatta, quelli che non hanno avuto il mio destino...�.

I miei amici della Comunit� di Sant�Egidio mi hanno precisato che � sempre pi� diffuso incontrare quarantenni o cinquantenni che potevano aspirare ad un altro futuro e, quasi dall'oggi al domani, si sono trovati in mezzo a una strada. Mi hanno anche detto che, dopo qualche malinconico tentativo di risalita, accettano la condizione, provano a cancellare il passato e vivono, giorno dopo giorno, senza nemmeno aspettare che qualcuno venga in loro soccorso. Mi sembra la considerazione pi� drammatica. Chi � sempre vissuto ai margini della societ�, impara ad augurarsi che succeda un miracolo e che la giocata al lotto, fatta con soldi racimolati, gli riversi addosso quei milioni sempre favoleggiati e mai visti, neppure per un secondo. Al contrario, chi di punto in bianco si � trovato a vivere il fallimento professionale e quello privato, probabilmente accetta l'accaduto come una punizione, non dico come qualcosa di meritato ma come un accadimento ineluttabile.

Non ho avuto pi� notizie di Rodolfo, lo sfortunato ingegnere, anche perch� nella lettera non c'era un recapito. Un senza fissa dimora ha qualche problema a lasciarlo. Mi auguro che di qui a qualche tempo, leggendo pubblicata la sua storia, voglia di nuovo mettersi in contatto con me per spiegarmi, se vuole, come si fa, in circostanze del genere, a rassegnarsi. Buona fortuna, carissimo e sconosciuto ingegnere.

Maurizio Costanzo