Comunità di S.Egidio


 

01/11/2003


Clandestini tra di noi

 

E� qualche giorno che i giornali sono pieni di religione o, almeno, di parole che fanno riferimento alla religione. Si parla di crocifisso nelle scuole, da togliere o da lasciare. Arrivano, per il crocifisso, difese civili e sincere. Ne arrivano anche di folcloristiche, assieme a provvedimenti eclatanti da parte di chi normalmente ama pi� riferirsi ai rituali celtici e ai benefici spirituali e identitari delle acque dei fiumi � meglio se � il Po. Non ci si accorge, tante volte, che se il �patrimonio cattolico� � evocato in una chiave �contro� (cio� il contrario di cattolico), contro ad esempio presunti nemici come i �maomettani�, in realt� si equipara il cuore del cristianesimo e la fonte di tanta parte della nostra Europa, della democrazia occidentale, della dignit� dell�individuo e della persona umana, si equipara cio� tanta parte anche di Roma, a una sagra paesana e al dialetto. Niente di male, ma sono difese mortifere.

Contemporaneamente, all�interno della presidenza italiana del semestre europeo, si celebra l�incontro dei ministri dell�interno sui temi del dialogo interreligioso. Che cosa ci dicono questi fatti e che cosa possono farci pensare per Roma? Il dialogo tra le religioni, emerso dalla paura e dalla diffidenza per l�iniziativa coraggiosa di Giovanni Paolo II e di quanti ne hanno raccolto il testimone, ha smesso da tempo di essere un momento celebrativo o un extra non necessario della nostra vita quotidiana. Dopo l�11 settembre � diventato un tema-chiave della convivenza civile: � l�antidoto al clima, evocato da alcuni, da scontro tra le civilt�. E� un clima che, se fosse motivato, significherebbe un cambiamento radicale del nostro modo di vivere. Come immaginare la dolcezza della vita a Roma, le strade piene la sera, la festa della Notte bianca e l�allegra confusione dei tutti i fine settimana, se fossimo in un clima di scontro tra le civilt�, dove l�Altro rappresenti una possibile minaccia? Il dialogo � la grande difesa della �nostra� civilt� e della nostra citt�. E� un dialogo che deve pian piano farsi gusto e stile di vita quotidiano. Come � gi� al mercato dove c�� un banco tenuto da immigrati e dove chi � arrivato dal Bangla Desh non vende solo pi� tre agli a un euro. E� un passaggio necessario e ragionevole.

A Roma la popolazione diminuisce da pi� di dieci anni. E� un�occasione storica per alzare la qualit� della vita e farne un laboratorio per il risanamento urbano, per servizi sociali di qualit� pi� alta, per una citt� policentrica ma con una identit�, per una straordinaria integrazione sociale. E� una citt� che non declina, come il Lazio, grazie agli immigrati. Sette abitanti su cento, uno ogni quindici, sono arrivati da fuori e nella regione sono 238.918 quelli che, da immigrati, gi� sono o saranno �nuovi cittadini�: ce lo ha ricordato il Rapporto della Caritas. Quasi la met� sta con noi, tra noi, da pi� di sei anni o da dieci anni. Ben presto, se le leggi saranno meno miopi di come sono ancora oggi, smetteranno di essere stranieri e saranno romani: avere radici altrove � proprio un modo di essere romani, una nostra ricchezza. Molti sono gi� inseriti nelle nostre case, sono il perno dei servizi alla persona. Se ci guardiamo indietro, � impossibile dire che la nostra vita, in questi anni, a causa loro, � peggiorata. Anzi.

Allora: smettiamo di parlarne come se fossero Ufo, aboliamo la parola �clandestini�, visto che non lo sono. Il funerale in Campidoglio per i profughi morti nel mare agitato di Sicilia � stato triste, ma anche un momento, austero, di dignit�. Mettiamo a frutto la possibilit� di essere la citt� e la regione che pu� dare il tono a una grande occasione di civilt� e di benessere.

Mario Marazziti