Il risultato riguardante Israele emerso a sorpresa dal sondaggio condotto tra i cittadini europei appare francamente preoccupante. Israele verrebbe al primo posto come minaccia per la pace: ben prima dell'Iran, della Corea del Nord, o dell'Afghanistan. Per fortuna, si tratta di un sondaggio impostato male dal punto di vista metodologico: si vuol dire che Israele minaccia la pace o che la situazione israelo-palestinese � un'area calda del pianeta? Per questo saremmo per non dare soverchio valore a tale sondaggio, seppure oggi sia uno strumento di moda, capace di sollevare bollenti reazioni ma che evaporano anche presto. Non a caso si sono prontamente registrate posizioni ufficiali diffidenti se non negative. E a ragione. Tuttavia non ci sarebbe di per s� bisogno di un sondaggio per sapere che in Europa, purtroppo, Israele � un argomento controverso. Lo � per antico antisemitismo che, come ricorda Amos Luzzato, attraversa le culture sia della destra sia della sinistra; lo � per la sopravvivenza di un pensiero che fa d'Israele un colonizzatore; ma lo � anche per il fatto che lo Stato ebraico � percepito come affine e, cos�, per uno strano gioco psicologico, si finisce col condannare il simile pi� del lontano. Tra gli altri motivi c'� anche il fatto che gli europei volentieri allontanano da s� le crisi che chiamano alla responsabilit�.
Era chiaro: quando si afferma che Israele � un elemento perturbatore della pace, si salta dal piano politico al metapolitico. Si lambiscono antichi pregiudizi e non si comprende la storia d'Israele dalla seconda guerra mondiale in poi. Non � nemmeno una risposta obiettare che Israele � un pezzo d'Europa caduto in Medio Oriente, come un tempo si definivano i maroniti del Libano. Diciamo piuttosto che si stenta ad accettare la realt� complessa di un Paese dove le strade dolorose degli ebrei europei si sono incrociate con quelle degli ebrei del mondo arabo: quella di uno Stato insieme laico e religioso, di una democrazia tra le dittature arabe, di un Paese da sempre in stato di guerra con i propri vicini. Sessant'anni dopo Israele � una realt� data, frutto di una storia complessa, che fa parte del nostro mondo contemporaneo. La non accettazione di questa realt� � stata la grande debolezza della politica araba: una fonte di estremismo e di vocazione alla sconfitta.
C'� poi l'irrisolta e drammatica questione palestinese: ma non la si risolve certo negando la complessit� d'Israele. La demonizzazione � sempre un sintomo brutto. Quando le realt� storiche divengono caricature, fatalmente ci si situa sul crinale scivoloso della tragedia.
Ci sono umori ambigui circolanti nell'opinione pubblica europea su Israele, ma - crediamo - che essi siano assai minori dei risultati del sondaggio in discussione. Si deve provare a capire meglio. Ricordo che, anni fa, la presidente delle Comunit� Ebraiche del tempo, Tullia Zevi, disse ai giovani antisemiti: "voglio parlare con voi: mi dovete spiegare e vi voglio spiegare...". C'� insomma da andare al di l� delle pur doverose condanne espresse nelle ultime ore dai politici.
Si apre un compito arduo: capire in profondit� quel che succede e contrastarlo, spuntando argomento dopo argomento. La diaspora ebraica europea ha un ruolo tutto suo in questo campo. E la scuola rimane essenziale. C'� inoltre la funzione delle Chiese. Si resta meravigliati del fatto che paesi cattolici come l'Italia (un 48% su una media europea del 59%), la Spagna (56%), il Portogallo (55%), la Francia (55%) sarebbero quelli con un'opinione meno negativa su Israele (con l'eccezione dell'Austria che conterebbe un 69%). Non � da trascurare, al riguardo, il grande lavoro compiuto dalla Chiesa cattolica che ha preso sul serio la dichiarazione conciliare, "Nostra Aetate", di cui stiamo per celebrare il quarantesimo. Il vero problema � che il vasto mondo dell'incultura e dell'assenza dei valori pu� partorire mostri di tutti i tipi. Contro questo bisogna lottare.
Andrea Riccardi
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