Comunità di S.Egidio


 

16/11/2003


Albert, il sogno infranto di un uomo che rispettava le regole.

 

E' morto Albert, muratore albanese di 30 anni, seppellito da una montagna di cemento e pali spezzati. Potrebbe essere una morte come tante, provocata da uno degli innumerevoli incidenti che ogni anno falciano centinaia di onesti lavoratori. purtroppo non � solo questo. La morte di Albert � anche la morte di un sogno. questo giovane uomo era uno di quegli immigrati che, a rischio della vita, hanno varcato l'Adriatico inseguendo l'aspirazione ad una vita migliore, lasciandosi alle spalle anni di miseria e di sacrifici inutili. Non � difficile immaginare i primi tempi in Italia: lavoro sottopagato, condizioni abitative insopportabili e poi quella sottile diffidenza che da sempre circonda gli albanesi. tutto ci� inseguendo quel pezzo di carta azzurra - il permesso di soggiorno - che lo avrebbe autorizzato ad andare in giro senza la paura costante di poter essere fermato dalla polizia e rispedito in quel paese che amava, ma in cui non era possibile vivere. Albert, probabilmente, credeva che quel documento gli potesse conferire anche una dignit�, che lo potesse proteggere dallo sfruttamento e dall'arbitrio di cattivi padroni. Albert sognava l'integrazione e, come tutti, una vita serena, anche se in un paese straniero. Nell'ottobre scorso il sogno sembra finalmente avverarsi. Albert � uno degli 11047 immigrati a Genova che ottengono il permesso di soggiorno in virt� dell'ultima sanatoria. Da quel momento pu� non essere pi� un fantasma dei cantieri, ma divenire un lavoratore vero, che pu� operare alla luce del sole, cui sono riconosciuti diritti. Ma non c'� happy end della storia di Albert. Il lavoro c'� ancora ma le condizioni non sono molto migliorate. peraltro quell'edificio - che sarebbe dovuto essere il simbolo della Genova capitale europea della cultura - va terminato in fretta. Qualcuno sussurra che bisognerebbe fare maggiore attenzione, lavorare con pi� lentezza e cautela. Proprio l� � rimasto sepolto il sogno di Albert. Ieri tra i quattrocento stranieri che ogni pomeriggio affollano le aule della scuola di italiano "Louis Massignon" della Comunit� di Sant'Egidio, in pieno Centro storico, non si parlava d'altro. Nessuno di loro conosceva Albert, ma tutti hanno ritrovato il profilo del loro parente, del proprio amico e - perch� no? - di s� stessi. Il sentimento comune � sempre lo stesso: chi � straniero, anche se in regola, � sempre pi� fragile e ricattabile. Questa condizione risulta essere inaccettabile alla maggioranza degli extracomunitari. Loro, infatti, si sentono cittadini di Genova; lo sono a tutti gli effetti, ma c'� ancora qualcosa, forse molto, che li fa essere ancora diversi dai veri genovesi. Questa potrebbe essere la sfida del 2004, anno in cui la nostra citt� sar� capitale europea della cultura: dimostrare alle altre metropoli del continente che � possibile vivere insieme. La cultura che la vera Genova vuole proporre � fondata sulla tolleranza e sulla comprensione: la nostra citt� vuole mostrare a tutti che le sue strade accolgono chiunque, senza alcuna differenza n� diffidenza. Per� la vita vera dello straniero � ancora troppo e inutilmente dura. Si fatica a trovare un lavoro; quando lo trovi la paga non � la stessa degli italiani e non sempre ti trattano bene. Spesso la conoscenza della lingua � ancora un ostacolo e un motivo di incomprensione; l'alloggio ha prezzi esorbitanti e metrature minuscole; poi - e non � poco - c'� il peso dell'isolamento, della nostalgia. Si � spesso parlato, con severit�, di stranieri che quando decidono di vivere nel nostro paese "devono rispettare le regole". Albert lo aveva fatto. Lavorava, forse pi� del dovuto, in condizioni che nessuno avrebbe dovuto imporgli. Albert era debole. Aveva rispettato le regole. Perch� gli � successo tutto questo?

Luca Riccardi