Comunità di S.Egidio


 

16/11/2003


In quelle sinagoghe c'eravamo proprio tutti

 

I due barbari attentati alle sinagoghe di Istanbul colpiscono tutti. Gli ebrei per� pagano un prezzo altissimo e per questo sentiamo il bisogno di stringerci attorno a quella comunit� presente ad Istanbul come in ogni angolo del mondo. Purtroppo, per la strategia inscenata dal terrore islamico, non contano le vite umane. N� conta la gi� lunghissima storia degli ebrei di Istanbul, che l� trovarono rifugio durante le persecuzioni in Occidente. La sinagoga di Neve Shalom, posta nei pressi dell'antica torre genovese di Galata, � stata nei secoli testimone di tanta vita, di tante gioie ma anche di tantissimi dolori (tra cui un attentato nel 1986). N� conta che nell'antica capitale ottomana gli ebrei abbiano vissuto sempre in pace con tutti, musulmani compresi. Negli anni Venti, con la crisi ottomana, i capi cristiani della citt� chiesero al gran rabbino l'appoggio ebraico per staccare Istanbul dalla Turchia; questi per� rispose con parole di fedelt� alla patria che li aveva ospitati per secoli.

Non contano cio� neppure le consolidate storie di convivenza, di integrazione, di amicizia. Come in fin dei conti non ha contato il rapporto umano che si era stabilito a Nasiriyah tra i soldati italiani e la popolazione. Le vittime cio� sono bersagli di un odio cieco, che non guarda in faccia le persone n� la realt� in cui queste vivono. Trasformate, al di l� di ogni relazione concreta e personale, in mostruose caricature, appunto in bersagli. Cos� gli ebrei che ieri mattina si trovavano in sinagoga a pregare non erano dei consimili credenti, ma nemici solo perch� ebrei. Gli ebrei sono comunque, sempre nemici: visione nefanda che richiama quella dei nazisti, i quali portavano nelle camere della morte anche bambini e anziani, solo perch� ebrei, e perci� stesso nemici. Che potevano costoro contro gli interessi del Terzo Reich? Nulla, ma erano nemici in quanto ebrei. Dunque, andavano annientati. Ora ci troviamo di fronte ad un nuovo disegno sciagurato che arriva a stravolgere antichi mondi pacifici e vorrebbe tessere un futuro solo di paura. Perch� la paura sa farsi cattiva consigliera, ed � ci� che vuole il terrorismo islamico: suscitare reazioni inconsulte, e nell'urto mostrare la propria invincibilit�. � difficile per chiunque immaginarsi nella testa di Benladen e dei suoi soci, difficile decodificare il valore che danno ai loro gesti e l'escalation di questi. Riteniamo tuttavia che anche dal loro forsennato punto di vista stiano esagerando. Forse non se ne rendono conto, ma � cos�.

L'uomo e la donna in preghiera sono gi� di per s� un'immagine disarmata. La preghiera dello Shabbat chiede pace al Signore e parla di pace. Nei caduti di ieri sono stati mortalmente colpiti quanti credono che la preghiera disarmi i cuori. In questo, oltre al cordoglio scatta un'identificazione solidale.

Giovanni Paolo II, nel suo messaggio di partecipazione al dolore, ha chiesto una mobilitazione per la pace e contro il terrorismo. � un richiamo alla drammaticit� del momento che esige di liberarsi da una coscienza opaca rispetto alle proprie responsabilit� e pretende un impegno coerente e serrato. Noi non abbiamo rinunciato a vivere insieme in pace, pur se tanti recenti dolori sembrano spingerci al pessimismo sul futuro. Evidentemente chi colpisce come ieri � avvenuto, mira a dissolvere le condizioni di base per la pace in un mondo globalizzato. Motivo ulteriore per reagire tutti (cristiani di ogni confessione, ebrei, musulmani, uomini di buona volont�) e raccogliere l'invito del vescovo di Roma: "Mai pi� l'appartenenza religiosa sia origine di conflitti, che insanguinano e sfigurano l'umanit�". Noi sappiamo che questo � possibile. Oggi pi� che mai.

Andrea Riccardi