Comunità di S.Egidio


 

16/01/2004

Il discorso di Giovanni Paolo II al Corpo Diplomatico
Una convinzione che � una grande speranza

 

La comunit� internazionale sa che, a Roma e nelle parole del Papa, pu� trovare in ogni tornante della storia "uno sguardo sul mondo", che sia attento, appassionato, soprattutto originale. � lo sguardo che si ritrova nel recente discorso di Giovanni Paolo II al corpo diplomatico. Si potr� ironizzare sulle "divisioni del papa" come faceva talvolta Stalin; si potr� fantasticare sulla "potenza della Chiesa" come capita ancora di leggere. Tuttavia, da parte della Santa Sede, c'� un'attenzione alle vicende internazionali perseguita con coerenza e libert�. Questa visione non � tributaria di interessi nazionali o economici. Non rappresenta nemmeno gli interessi istituzionali della Chiesa, perch� talvolta si impegna su regioni dove la presenza cattolica � ridotta. Giovanni Paolo II ha spiegato le radici di questo interesse della Chiesa: "Come cristiani, abbiamo la responsabilit� del "Vangelo della pace"".

Tra la Chiesa e la pace c'� un intimo legame che affonda le sue radici nella fede stessa. C'� un legame profondo tra la pace nel cuore del credente e l'estinzione dell'odio e della violenza. Un grande spirituale russo, San Serafino di Sarov, insegnava: "Acquisisci la pace in te, e migliaia attorno a te avranno la pace". La parola del Papa sulla pace viene da una considerazione globale della pace come una realt� che abbraccia i cuori, i rapporti tra gli uomini e tra i popoli. Ma si fa molto concreta ed aderente agli sviluppi della realt�.

Si pu� dire che lo sguardo sul mondo del Papa si nutre del Vangelo della pace. Per questo non si rassegna. Talvolta la situazione internazionale � cos� tesa da spingere alla rassegnazione, quasi la pace fosse un'utopia. Infatti un crescente realismo spinge ormai a considerare la guerra e la violenza come compagne necessarie della storia umana. Ed � confortante sentire, all'inizio dell'anno, queste parole: "Ovunque la pace sia in causa, vi sono dei cristiani per testimoniare con parole e fatti che la pace � possibile". Sono le parole di Giovanni Paolo II. La fiducia nella pace ha accompagnato la Santa Sede anche nei tempi oscuri delle due guerre mondiali e in alcune stagioni dure della guerra fredda. In questo senso la Chiesa cattolica, le altre Chiese, le stesse comunit� dei credenti di ogni religione sono - e lo dice Giovanni Paolo II - una risorsa di pace: "Si pu� facilmente comprendere quale capitale rappresentano le comunit� dei credenti nella costruzione di un mondo pacificato e pacifico". � la linea degli interventi della Santa Sede; quella degli incontri di Assisi nel 1986 e nel 2002.

Il Papa colloca in questa prospettiva l'ecumenismo tra cristiani. Proprio in questo mese di gennaio ricorre il quarantesimo anniversario dell'incontro a Gerusalemme tra Paolo VI e Atenagora, patriarca di Costantinopoli. Quell'incontro � stato la "madre" dell'ecumenismo in cui siamo immersi e che, nuovamente, Giovanni Paolo II dichiara una delle priorit� del suo pontificato. Atenagora diceva che l'unit� dei cristiani avrebbe affratellato le genti: "Chiese sorelle, popoli fratelli" - ripeteva il patriarca. Il Papa ha aggiunto: "Sono convinto che se i cristiani riuscissero a superare le loro divisioni il mondo sarebbe pi� solidale". Proprio nell'attuale quadro internazionale si vede come i conflitti abbiano alla radice, talvolta, un malinteso senso dell'identit� religiosa. Lo sviluppo dell'unit� tra i cristiani e della comprensione tra i credenti ha una indubitabile ricaduta positiva sulla pace tra i popoli.

Sembrerebbe fin qui, per�, che ci troviamo nel rispettabile campo delle riflessioni o degli auspici religiosi. Ma che pu� oggi questo "venerabile" patrimonio contro la guerra e il terrorismo? Che pu� fare per creare rapporti leali tra gli Stati e per dare sicurezza alle nazioni? Non sono solo buone parole e buoni sentimenti? La Chiesa crede invece che l'ignoranza di queste "buone parole" e di questi "buoni sentimenti" sia all'origine di tanti problemi irrisolti nella vita internazionale. E poi non si tratta di buone parole e di buoni sentimenti, ma di una vera "esperienza di umanit�" per dirla con l'indimenticabile espressione di Paolo VI. Dall'osservatorio della Santa Sede, da quello della Chiesa, � maturata una riflessione che � di lungo periodo. Nella vita della Chiesa non si ha la fretta (e la discontinuit�) delle cancellerie, quella dei governi che cadono e passano, quella di strategie gridate e poi dimenticate, quella di una visione segnata da interessi di parte. I discorsi del Papa al corpo diplomatico mostrano una riflessione globale e di lungo periodo sul mondo contemporaneo.

C'� una convinzione attorno a cui ruota questa riflessione. Giovanni Paolo II ha detto: "� pi� che mai necessario imparare a trarre degli insegnamenti dal passato lontano e recente, In ogni caso, una cosa � certa: la guerra non risolve i conflitti tra i popoli!". � una tesi che il Papa non si stanca di riproporre, invitando a rafforzare le istituzioni internazionali e a praticare l'arte del dialogo e del negoziato. In questo senso la Santa Sede crede nell'utilit� della diplomazia e del negoziato; sente la necessit� - come � stato affermato nel messaggio di pace del 1� gennaio - di rinvigorire il diritto internazionale. Come la costruzione dello Stato ha significato il controllo della violenza e dei conflitti da parte delle istituzioni nazionali, cos� - nella vita internazionale del terzo millennio - il grande problema � il controllo e l'estinzione dell'uso della violenza.

Non solo l'uso della guerra non � bandito come strumento per risolvere i conflitti tra gli Stati; ma la violenza � vieppi� lo strumento per risolvere i conflitti tra i gruppi all'interno di un paese, e quello principe del terrorismo per affermare i suoi foschi disegni. Per questo, con molta decisione, il Papa ha dichiarato: "Il terrorismo internazionale... seminando la paura, l'odio e il fanatismo, disonora tutte le cause che pretende di servire". Infine ha detto: "Mi accontenter� semplicemente di dire che ogni civilt� degna di questo nome implica il rifiuto categorico dei rapporti di violenza". S�, questo � veramente un carattere peculiare di ogni vera civilt�.

Il discorso del Papa al corpo diplomatico mostra quale apporto di saggezza e di esperienza storica la Chiesa e i credenti possano dare alla vita internazionale e nazionale. In questa prospettiva si � sviluppata la sua riflessione sul rapporto tra la Chiesa, le Chiese, le religioni da una parte e, dall'altra, lo Stato. C'� un riconoscimento del significato della laicit�, ma si afferma che "la laicit� non � laicismo": "in una societ� pluralista, la laicit� � un luogo di comunicazione tra le diverse tradizioni spirituali e la nazione". Si tratta di una visione dinamica e aperta della laicit�, non contrapposta alla vita religiosa. Stato e Chiesa - afferma il Papa - sono partner differenti, non concorrenti.

Nella storia, molte volte, la vita religiosa � stata spinta ai margini di quella sociale. � sbagliato e, talvolta, pericoloso. Soprattutto si priva la societ� di preziosi apporti. D'altronde una societ� come quella attuale, sradicata e in crisi di identit� (e quindi tentata da recuperi fondamentalisti), necessita di grande attenzione per la tenuta del suo tessuto religioso e spirituale, evitando lacerazioni. Proprio per questo il Papa ha parlato di un sano dialogo da stabilire anche in nome di una laicit� come luogo di comunicazione. Infatti la vera laicit� non deve temere l'apporto delle religioni nel rispetto della libert� di tutti. Questo emerge dalle parole del Papa a nome della Chiesa cattolica ma, anche, con grande attenzione a tutta la vita religiosa.

Lo "sguardo sul mondo", offerto da Giovanni Paolo II ai diplomatici, traccia un panorama dove non mancano gli elementi di preoccupazione per il futuro. Mostra per� come le risorse spirituali possano dare un grande apporto. La Chiesa, nel rispetto delle diverse competenze, pu� dare il suo grande contributo di esperienza umana, di amore, di fede. Soprattutto dice che non bisogna rassegnarsi, magari con ragionamenti dall'apparenza realista, alla guerra e alla violenza cieca. Forte della storia e della fede della sua Chiesa, facendo suo l'anelito di molti, il Papa ha detto con chiarezza: "Non potremo mai rassegnarci ad accettare passivamente che la violenza tenga in ostaggio la pace!". � una convinzione che molti possono condividere, foriera di conseguenze sul terreno della vita dei popoli e delle relazioni tra gli Stati. Soprattutto � una grande speranza.

Andrea Riccardi