�Non solo dobbiamo combattere uniti le diverse forme di antisemitismo che ancora esistono, ma dobbiamo fare un passo ulteriore, pi� coraggioso e doveroso. Quello di un vero grande amore per il popolo ebraico, erede di una promessa irrevocabile da parte di Dio�.
Con queste parole l�arcivescovo Tettamanzi ha concluso ieri la commemorazione degli ebrei milanesi deportati sessant�anni fa nei campi di sterminio nazisti. Poche parole che il cardinale stesso ha chiamato �balbettii�, per sottolineare l�inadeguatezza di ogni discorso di fronte alla tragedia e per invitare �al silenzio interiore, alla meditazione e al pensiero da cui scaturisce la memoria vera�.
A parlare, durante la rievocazione, sono stati soprattutto i luoghi, quelli della stazione centrale da cui il 6 dicembre del �43 e il 30 gennaio del �44 partirono i convogli per Auschwitz e Bergen Belsen con 605 persone. Ne ritornarono solo 20 tra le quali Liliana Segre, che ha ieri offerto la sua testimonianza alle centinaia di persone presenti alla cerimonia, tra le quali anche il rabbino capo di Milano Rav Giuseppe Laras e il presidente della comunit� ebraica Roberto Jarach, svoltasi negli stessi sotterranei freddi e bui di via Ferrante Aporti dove i deportati furono allora portati sui camion dal carcere di San Vittore.
L� vennero ammassati in carrozze per il bestiame, innalzate al livello dei binari da un elevatore tuttora esistente, e poi mandati allo sterminio. Quei treni, nonostante il periodo di guerra e i numerosi trasporti militari, viaggiavano con precedenza assoluta.
Luigina Venturelli
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