IL FATTO � minimo e si potrebbe classificare a prima vista tra quelli �toccanti�: un centinaio di bambini immigrati, ieri, a Montecitorio hanno intonato pi� volte �Fratelli d�Italia�, per sostenere la proposta di legge presentata dall�UDC che anticipa i termini per ottenere la cittadinanza italiana. La legge attuale la concede a chi ha almeno 18 anni e risiede in Italia da dieci. La nuova proposta riduce questo intervallo a cinque anni per gli adulti e riconosce automaticamente la cittadinanza a chi nasce in Italia. I bambini (dicono le agenzie) hanno anche ritmato, per essere pi� chiari, �Siamo tutti italiani, qui siamo nati�.
L�evento non � da libro Cuore, ma stimola riflessioni serie, che vorrei articolare brevemente. Anzitutto, fa effetto sentire che bambini, per giunta extra-comunitari, abbiano cantato �Fratelli d�Italia�, uscendo indenni da formule che neanche gli italiani capiscono, come quell��elmo di Scipio� o quello �stringiamoci a coorte�. I calciatori della nazionale italiana, come tutti sanno, quell�inno non lo cantano, protervamente, perch� non lo conoscono o perch� non lo riconoscono. Non tutti gli italiani, del resto, lo sanno per intero. � una dura lezione, quella che ci viene da questi bambini: in un Paese rudemente secolarizzato e percorso da brividi autonomistici o leghisti, un memento unitario da parte di piccoli immigrati mi pare davvero il pi� severo dei rimproveri. Alcune forme di ritualit� verbale sono indispensabili, in tutte le culture e i regimi, come segno di appartenenza e come collante unitario. Nelle scuole statunitensi si recita ogni mattina una sorta di promemoria del perfetto cittadino, e non pu� dirsi che l�americano medio non sia anche mediamente �patriota�. In Italia, al contrario, l�idea stessa di �inno� sembra di destra, mentre invece � un�idea semplicemente indispensabile come manifestazione di fusione.
Seconda riflessione. I Paesi pi� diversi sono molto prudenti nel concedere la cittadinanza agli stranieri. Alcuni, come gli Stati Uniti, durissimi in generale, sono per� particolarmente generosi su alcuni dettagli, concedendo per esempio per lo ius soli (il �diritto del suolo�) la cittadinanza a chi nasce sul territorio americano. L�Italia non fa eccezione alla regola, e forse giustamente. Ma qualcosa bisogner� pur escogitare per una parte degli immigrati, e non solo perch� cantano �Fratelli d�Italia�, ma anche per una ragione pi� seria: una parte di queste persone sono... pi� italiane degli italiani. Non parlo di tutti, naturalmente, ma di un insieme pur sempre cospicuo. Per esempio, � straordinario (e non ancora studiato, come dovrebbe) il fatto che moltissimi immigrati parlino un italiano migliore di quello di tanti nostri connazionali, senza che nessuno li abbia mandati a scuola. Poche cose sono, per me, cos� emozionanti del vedere, per esempio, una filippina e un cingalese parlare tra di loro italiano senza fare una piega. La nostra, insomma, � diventata una �lingua franca� di comunicazione tra persone che usano all�origine una lingua diversa. Nessuno se n�� accorto, ma questo � un destino importante, che, al mondo, tocca a pochissime lingue. Un destino che dovrebbe renderci pi� consapevoli della ricchezza (culturale e politica) che una parte degli immigrati ci hanno portato.
Dovremmo pensarci un po� tutti, e renderci conto che, per risollevare le sorti di questo Paese mestamente declinante, una maggiore adesione a qualche causa comune (per esempio una lingua per tutti, immigranti compresi) potrebbe essere un fattore essenziale.
RAFFAELE SIMONE
Professore di Linguistica Generale Universit� Roma Tre
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