Comunità di S.Egidio


 

08/02/2004


I 17.000 senzatetto d�Italia

 

Sotto il cielo d�oro di Santa Maria in Trastevere, a Roma, una Messa molto cantata e festosa ricorda la morte di Modesta, una barbona che, vent�anni fa, non fu soccorsa perch� era troppo sporca: perch�, mentre agonizzava, nessuno os� toccare il suo corpo pidocchioso. Da quel giorno pieno di freddo e di rimorsi, la Comunit� di Sant�Egidio celebra l'anniversario con un�allegria che al visitatore sembra quasi surreale. I senzatetto della Capitale occupano i posti d�onore, i ragazzi masticano l�Eucaristia con una disinvoltura che, quando avevo l�et� loro, sarebbe stata sacrilega. Poi viene regalata a tutti una margheritona, e, infine, ecco i barboni a tavola, nella mensa bene apparecchiata dietro la chiesa. Usciamo, c�� il sole. Ma nessuno riesce a dimenticare un lungo e tremendo momento della Messa, quando una ragazza ha recitato i nomi di tutti i senzatetto morti nell�erba marcia, nelle baracche, nei ricoveri, sotto i ponti, sui marciapiedi della citt� distratta, stremata dalle diete, dal fitness , dal culto della perfezione sportiva. �E, con Modesta, ricordiamo Giuseppe, Pavel, Antonietta, Al�...�. Sembrava che non finisse mai, quell�elenco di esseri umani assassinati dal fallimento, dall�abbandono, da una delusione pubblica o privata, da uno sfratto, da un amore avvelenato, dalle troppe bottiglie di vinaccio, dalla voglia di scomparire, dallo schifo della loro vita, che gettavano sulle facce dei passanti. Dal microfono di Santa Maria in Trastevere scaturiscono, monotoni, cento, duecento, trecento nomi. Chi li conosce, questi morti che erano fagotti di stracci, oggetti luridi sdraiati su materassi di cartone? Eppure li vediamo tutti i giorni, e ci iniettano dosi massicce di vergogna. Sono pochissimi o troppi: 17 mila, in Italia. Met� di loro sono stranieri, in gran parte sono relativamente giovani (quasi tutti hanno meno di 48 anni). Non sono ignoranti (qualcuno � anche laureato) e pochi di loro vivono d�accattonaggio. Il loro principale problema � la solitudine. Poi vengono gli abbandoni, �le crudelt� del destino� (cos� le definiscono) e �le colpe degli altri�, �l�incapacit� delle istituzioni�... Queste infime minoranze rappresentano gli uomini e le donne che si arrendono, che non ce la fanno pi�, che non vogliono o non possono lottare, che voltano le spalle alle regole della maggioranza soddisfatta. Essi sono gli spettri che ci ricordano quanto sia precario il nostro benessere, e quanto sia in bilico perfino la nostra dignit�. Facciamo pure gli scongiuri, ma dobbiamo ammettere che basta un crac della Parmalat, o un qualsiasi altro motivo d�impoverimento per indurci a guardare i senzatetto con occhiali un po� pi� fraterni.

All�interno di queste minoranze emarginate e marginali, esistono anche gli individui che ostentano la loro condizione con una specie di nera fierezza. Conobbi due signore, a Roma, infagottate in un giardinetto, al freddo. Un�insegnante impietosita propose a queste straccione un ricovero sicuro, cibo, assistenza e riscaldamento. Ma le barbone la cacciarono, abbaiando: �Tu vorresti fare la carit� a noi? Tu che ti devi svegliare all�alba per lavorare, e devi obbedire al marito, e ingoiare i capricci dei figli? Credi sul serio che la tua vita sia migliore della nostra?�. Beh, di fronte ad estremiste di questo tipo, c�� poco da fare. Ma per tutti gli altri sventurati, le amministrazioni centrali e locali possono e devono fare moltissimo.

Il Tg3 , per esempio, ci ha mostrato una scuola di Pineta Mare (Castelvolturno, Caserta), dove i bambini extracomunitari, figli di �irregolari�, possono studiare, ma non hanno diritto ai servizi, mensa compresa. Lo spettacolo � ripugnante: i bimbi bianchi siedono a tavola, e i negretti sgranocchiano i panini portati da casa. In molti altri Comuni, a quanto pare, vige quest�indecente interpretazione delle burocrazie scolastiche. E nessuno si vergogna, e nessuno capisce che i bambini discriminati ci presenteranno il conto, domani. Oppure s�impantaneranno in una palude di sconfitte. Qualcuno di loro diventer� barbone. E noi, stupiti, ci chiederemo perch�.

Giuliano Zincone