Cento anni della sinagoga di Roma sono stati salutati dalla festa della comunit� ebraica romana, attorno a cui si sono raccolti cristiani e amici dell'ebraismo italiano. Non � mancata l'attenzione di Giovanni Paolo II a questo evento attraverso un Messaggio lungo e articolato, in cui si fa il punto sui rapporti tra ebrei e cattolici e si additano prospettive future. La nuova sinagoga romana fu inaugurata sulle rive del Tevere all'insegna dell'emancipazione della comunit� romana nel quadro del nuovo Stato unitario. Il Rabbino capo d'Israele, Yona Metzger, ha detto durante la cerimonia con un'espressione efficace: "Imperatore Tito! Tu hai distrutto l'edificio del nostro Santuario ed ecco, nella tua citt�, si innalza da cento anni un piccolo santuario! La continuit� del nostro futuro".
Questo Tempio � quella stessa sinagoga che ha conosciuto le ore trepidanti dell'ottobre 1943, quando i tedeschi deportarono gli ebrei romani, le ore felici per la liberazione di Roma, i momenti dolorosi per l'orrore dell'attentato palestinese che colp� a morte un bambino ebreo nel 1982. In questa sinagoga Giovanni Paolo II ha compiuto la prima visita di un Papa ad un luogo di preghiera ebraico, Bet ha Keneset, come si dice in ebraico. Quel gesto del Papa si pone all'incrocio del cammino della Chiesa cattolica dopo il Vaticano II con l'itinerario personale di Giovanni Paolo II. Questi ha conosciuto da vicino, fin dalla sua infanzia, il mondo ebraico e lo ha visto inghiottito nella persecuzione nazista in Polonia. Per lui l'amicizia con l'ebraismo � stata qualcosa di importante da sempre. Il Papa ricorda la sinagoga della sua citt� natale, Wadowice, i suoi amici ebrei durante la giovinezza. Ha viva memoria della Sho�: "un'esperienza che ho portato dentro di me fino ad oggi" - ha scritto qualche anno fa. Tanto che, in diverse e frequenti occasioni, il Papa ha ripetuto: "l'antisemitismo � un grande peccato contro l'umanit�".
La Chiesa cattolica, dopo il Vaticano II, ha dato nuovo impulso ai rapporti con la comunit� ebraica. Il testo della Nostra Aetate, nella storia della dinamica conciliare, nasce prima dall'esigenza di pronunciarsi sui rapporti tra cattolici ed ebrei e, successivamente, si estende a tutte le religioni non cristiane. La visita del Papa nel 1986 ha manifestato, in modo creativo e fortemente espressivo, il pensiero del Concilio. E rimane come una vera icona dell'amicizia e del dialogo tra ebrei e cristiani. Del resto il rabbino capo di Roma, Elio Toaff, che accolse il Papa nella sinagoga romana, con la sua storia (passata attraverso le persecuzioni nazifasciste) rappresenta efficacemente la controparte di un Papa che � vissuto non lontano da Auschwitz.
I rapporti tra ebrei e cattolici non sono un'operazione congiunturale, fatta magari per piacere al largo pubblico. Hanno radici antiche nelle stesse Scritture, ma soprattutto sono stati rinnovati nel Novecento. Pio XI, di fronte all'antisemitismo (quello nazista ma non solo), sent� la necessit� di affermare la radice ebraica del cristianesimo: il "noi siamo spiritualmente semiti" (da lui pronunciato) significa il ripudio dell'antisemitismo, ma anche il radicamento del cristianesimo nella tradizione ebraica. Pio XI aveva colto come strappare il cristianesimo dalle sue radici ebraiche, come separare il cristianesimo dall'ebraismo - operazione compiuta pienamente dai cristiani nazisti, ma abbozzata anche altrove - significasse qualcosa di molto grave: la riduzione del cristianesimo a religione di una nazione o di una civilt� e, soprattutto, l'alterazione della stessa Rivelazione.
Il rapporto tra cristiani ed ebrei, infatti, riguarda le radici: "quell'eredit� spirituale che, senza essere divisa, n� ripudiata, � stata partecipata ai credenti in Cristo, e costituisce - ha scritto Giovanni Paolo II al Rabbino capo di Roma, Riccardo Di Segni - un vincolo inscindibile tra noi e voi, popolo della Tor� di Mos�, buon olivo sul quale � stato innestato un nuovo ramo". Ma questo rapporto non tocca solo la storia passata, bens� rappresenta un vincolo nell'attualit� e di fronte al futuro. La visita di Giovanni Paolo II alla sinagoga di Roma mostra quale tono e ritmo abbiano assunto i rapporti tra i due mondi religiosi: "fu l'abbraccio dei fratelli che si erano ritrovati dopo un lungo periodo in cui non sono mancate incomprensioni, rifiuto e sofferenze" - ha rammentato il Papa nel suo Messaggio al Rabbino Di Segni.
La deplorazione e la condanna dell'ostilit� verso il popolo ebraico - ha continuato il Papa - non esauriscono le relazioni con l'ebraismo: "occorre - ha aggiunto - sviluppare anche l'amicizia, la stima e i rapporti fraterni con esso". Nel quadro di questa amicizia non pu� mancare, proprio a Roma, il ricordo del 16 ottobre 1943, di quel dramma che segn� in profondit� l'intera citt�, ma colp� una comunit� ebraica isolata dalle leggi razziali volute dal fascismo. � noto come, ogni anno, quell'anniversario sia ricordato a Roma da una manifestazione di ebrei, cristiani, cittadini romani. Giovanni Paolo II, nel suo Messaggio a Di Segni, ha fatto memoria di quegli eventi tragici, soprattutto di quanti hanno perduto la vita (ed ha pure ricordato i "giusti delle nazioni" che manifestarono la loro solidariet� ai perseguitati). Ha infine concluso a proposito degli ebrei caduti nella Sho�: "Il loro ricordo sia in benedizione e ci spinga ad operare da fratelli".
Forse questo � il cuore del Messaggio del Papa: la constatazione che ebrei e cristiani sono fratelli e debbono affrontare il futuro operando da fratelli. Nelle sue parole sono ritornate affermazioni impegnative: gli ebrei sono "nostri fratelli prediletti" oppure "Ges� � ebreo, e lo � per sempre". Operare da fratelli vuol dire dare un nuovo impulso a quel tentativo dei saggi del Medio Evo (come Maimonide) che "hanno cercato di scrutare in qual modo fosse possibile adorare insieme il Signore e servire l'umanit� sofferente, preparando cos� le vie della pace". Lo sviluppo della fraternit� spirituale e la solidariet� concreta tracciano un modello di rapporto da fratelli, che non pu� non avere influenza nei contatti tra i differenti mondi religiosi, non sempre facili nei nostri giorni cos� conflittuali.
Nel Messaggio di Giovanni Paolo II non poteva mancare un pensiero alla Terra Santa: "per la violenza che continua a segnare quell'area, per il troppo sangue innocente versato da israeliani e palestinesi, che oscura il sorgere di un'aurora di giustizia". La preoccupazione del Papa per questa regione � evidente: per lui l'impegno deve indirizzarsi "affinch� l'inimicizia non travolga pi� nell'odio coloro che si richiamano al padre Abramo - ebrei, cristiani e musulmani - e ceda il posto alla chiara consapevolezza dei vincoli che li legano e della responsabilit� che grava sulle spalle degli uni e degli altri". Resta il grande interrogativo di come le religioni possano spegnere l'odio e contribuire alla soluzione dei gravi problemi in campo.
Le religioni hanno un contributo peculiare da dare all'unit� del genere umano. In maniera differente lo danno anche l'ebraismo e la Chiesa cattolica. Le relazioni ebraico-cristiane sono un capitolo fondamentale dell'"ecologia spirituale" del nostro tempo: "Se sapremo unire i nostri cuori e le nostre mani per rispondere alla divina chiamata, la luce dell'Eterno si avviciner� per illuminare tutti i popoli mostrandoci le vie della pace, dello Shalom. Vorremmo - ha confessato il Papa - percorrerle con un solo cuore". � un'espressione che sembrava far eco a quanto aveva detto il Rabbino capo d'Israele, Metzger, commentando il canto: "se ci avesse avvicinato al Monte Sinai ma non ci avesse dato la Tor�, ci sarebbe bastato": "Il fatto di stare ai piedi del Monte Sinai - ha detto il religioso israeliano - fu un singolare momento di unit� raro e speciale. Eravamo uniti, "Israele si accamp�" - al singolare - come un solo uomo con un solo cuore. Questa unit� valeva perfino di pi� del dono della Tor�". La testimonianza del valore dell'unit�, in maniera differente, percorre ebraismo e cristianesimo in profondit�.
La cerimonia per il centenario della sinagoga ha parlato del significato della costruzione dell'edificio spirituale, oltre che di quello materiale (come ha puntualizzato finemente il Rabbino Di Segni). Ma � stata anche l'occasione di esprimere una speranza di pace nell'unit� tra le genti e nell'amicizia tra credenti. In questa prospettiva il profondo legame tra Chiesa e Sinagoga emerge come una componente spirituale non solo della vita italiana, ma di quella europea, del Mediterraneo e del mondo: insomma un tratto decisivo del vivere insieme nella pace in questo nostro mondo, cos� segnato da incomprensioni e conflitti.
Andrea Riccardi
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