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Apcom |
29/07/2004 |
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"La situazione in Darfur � estremamente grave e abbastanza confusa. L'emergenza umanitaria � altissima. E l'unica soluzione ipotizzabile, al momento, � prendere in parola le parti in conflitto, che si sono dichiarate disponibili a negoziare, e cercare una soluzione consensuale". Lo ha dichiarato ad Apcom Mario Giro, responsabile delle relazioni internazionali della Comunit� di Sant'Egidio, "un'associazione pubblica di laici della Chiesa" con sede a Roma e una consolidata esperienza di mediazione nei conflitti. La Comunit� di Sant'Egidio � impegnata da due mesi e mezzo a portare aiuti ai profughi del Darfur lungo la frontiera con il Ciad, da entrambi i lati del confine con il Sudan. "Lavoriamo nel campo profughi di Farchana, in Ciad, a circa ottocento chilometri a nord della capitale N'Djamena, dove ci siamo assunti la responsabilit� di distribuire aiuti a circa 15.000 profughi: cibo, medicinali, zanzariere, teli per ripararsi. La situazione � molto precaria, considerando l'imminente arrivo della stagione delle piogge", spiega Giro. L'esponente della Comunit� ricorda innanzitutto che la crisi del Darfur non � un problema recente. E' questo il motivo per cui la soluzione che va trovata "deve essere definitiva e va raggiunta con il consenso di tutte le parti interessate". Altrimenti, spiega "fra sei mesi o un anno riscoppieranno tutte le contraddizioni". Per Giro, non c'� solo un problema politico: le milizie Janjaweed che vengono utilizzate dal governo di Khartoum contro i ribelli del Darfur, provocando, "come tutte le guerre, soprattutto vittime civili". Ma a pesare � anche il problema strutturale, le due anime delle fazioni contrapposte, con le loro rivendicazioni territoriali. Da una parte gli Janjaweed arabi, nomadi e allevatori, che vivono in quell'area da molto tempo. Dall'altra le trib� africane nere, stanziali e agricole. Va risolto il conflitto esistente tra queste due entit�, tra stanziali e nomadi."A complicare ulteriormente la situazione c'� poi la carestia, che alimenta la disperazione e il fuoco del conflitto", aggiunge Giro. Sul piano delle trattative la Comunit� di Sant'Egidio ha partecipato nel ruolo di "facilitatore" ai colloqui di Addis Abeba che si sono tenuti un paio di settimane fa, terminati con l'abbandono del tavolo da parte dei ribelli. E continua ad aiutare l'Unione africana nel difficile compito. "Abbiamo iniziato a vedere quali sono gli spazi per una trattativa reale, che sembrano per� ridotti. Ora, per�, sembra che i ribelli siano disposti a sedersi di nuovo al tavolo delle trattative". Ad Addis Abeba, la principale richiesta dei ribelli era quella di stabilire una data entro cui il governo sudanese portasse a compimento il promesso disarmo delle milizie arabe, a cui vengono attribuiti gran parte degli omicidi e delle espulsioni dei neri africani dal Darfur. I ribelli chiedevano anche l'impegno esplicito del governo a rispettare i precedenti accordi: permettere l'accesso ad una commissione internazionale d'inchiesta sulle uccisioni, ad assicurare i responsabili alla giustizia, togliere le restrizioni sull'assistenza umanitaria nel Darfur e rilasciare i detenuti politici e i prigionieri di guerra. Inoltre, i ribelli volevano una sede dei colloqui pi� neutrale, poich� sostengono che l'Etiopia ha stretti legami con il Sudan. Rimane questo, sostiene Giro, l'ostacolo pi� importante per la ripresa dei colloqui, risolto il quale dovrebbero iniziare all'inizio o alla fine di agosto. I ribelli rifiutano Addis Abeba come sede, in quanto "non neutrale", per i rapporti di amicizia che legano il governo sudanese con quello etiope. Vorrebbero Ginevra, sede che per� ha il veto di Khartoum. "Bisogna vedere che cosa ne pensa l'Unione africana -aggiunge Giro - che la Comunit� di Sant'Egidio aiuta come "facilitatore del processo di pace". Giro segnala anche che l'accordo per il cessate il fuoco "non sembra essere del tutto rispettato, anche perch� il controllo del territorio rimane difficile. Come se il governo avesse messo in moto un meccanismo - sostiene Giro - che ora non � in grado di controllare pienamente". Mentre a New York gli Usa cercano una formula condivisa di bozza di risoluzione per il Sudan, la Comunit� di Sant'Egidio non � contraria all'utilizzo di forti strumenti di pressione nei confronti del governo di Khartoum. "Bisogna fare tutto ci� che � possibile per iniziare un negoziato politico vero. E poi si vede - dice Giro - Serve uno sbocco negoziale serio. E subito, il pi� presto possibile, perch� la gente sta soffrendo. Ho l'impressione - aggiunge - che il governo di Khartoum, messo di fronte alle sue responsabilit�, sia costretto alla fine a togliere il sostegno alle milizie janjaweed, a trovare una soluzione condivisa per la loro disputa territoriale, che esiste, e consentire l'accesso umanitario senza interferenze". In altre parole, "bisogna continuare sulla linea del negoziato, che � la strada imboccata dalla Comunit� internazionale". Le pressioni, "a cui, per motivi umanitari, non siamo contrari" sul governo di Khartoum sono forti, anche se i francesi e i russi frenano sull'utilizzo di sanzioni.
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