Comunità di S.Egidio


 

30/07/2004


Disagio mentale a Roma

 

Di tante cose, forse quella che pi� fa paura � la malattia mentale. Trovarsela addosso, vederla in una persona cara. Si fa fatica ad accettarla. A volte non si sa trovare il confine tra comportamento eccessivo e un malessere reale. Siamo tutti un po�analfabeti in questo campo. Il primo istinto � difendere noi stessi e non chi ne � indebolito.

Ognuno ha qualche storia che conosce di persone, adulti, anziani, con depressioni difficili da vincere, con scomposizioni della propria mente difficili da rigovernare. Il disagio mentale sembra in aumento. Rende insicuri anche i sani, che non sanno quasi mai cosa fare. Come stare vicino, cosa dire, come far convivere la propria vita con un bisogno che non accetta regole, che chiede anche fuori orario, che mette alla prova, che non comanda a se stesso e ancora meno sa scegliere di chiedere con misura.

Ma non � una maledizione, il disagio mentale. E� una prova, per le famiglie, per la societ�, per tutti noi. Non � la maledizione che ha spinto per secoli, fino a all�altro ieri, a rinchiudere chi sta male l� dove nessuno vede. E� passato poco tempo e sembra una vita da quando il Santa Maria della Piet� ha finito di essere il manicomio di Roma e da quando gli istituti, almeno ufficialmente, hanno smesso di essere l�unico luogo dove mettere chi sta male.

Lo sappiamo: per anni, tanti che in manicomio sembrava ci fossero nati o che l� erano stati messi da bambini, una volta liberi hanno fatto fatica a lasciare davvero il luogo che � stato bene o male la loro casa. Si vedevano sulla via Trionfale, per la strada. Ma anche noi, quante volte siamo tornati dove vivevamo da piccoli?

�Liberare senza lasciare soli� � stata la scommessa, non sempre vinta. Le comunit� terapeutiche, le case-famiglia, sono state un modo per non lasciare senza sostegno chi sta male e le loro famiglie. Non tante, non per tanti, ma sicuramente meglio dell�istituto o della clinica dell�emergenza dove tanti raccontano che abbondano i farmaci, ma non si capisce, subito dopo che cosa ti aspetta. A volte, senza case-famiglia, senza piccole comunit�, la scelta diventa stretta, tra sedativi e solitudine.

Oggi nel Lazio le comunit� rischiano di chiudere per pochi soldi: c�� da augurarsi che sia solo ritardo, una variante del �burocratese�, senza grandi motivi. C�� da sperare che non venga in mente a nessuno, vista l�emergenza, di rispolverare una risposta all�antica, per ottimizzare i costi, per scelte pi� �robuste�: quelle che, tradotte, significherebbero, di nuovo, istituti.

L�istituzionalizzazione, infatti, ha un suo strano fascino. Vista da fuori � perfetta: mantiene l�occupazione, favorisce il rilancio dell�edilizia, libera del problema le famiglie, scarica la compressione e i complessi di colpa della citt�: chi sta male non si vede pi� o lo si vede di meno. Vista da dentro, anche quella animata dalle migliori intenzioni, ha sempre il sapore della vita dietro a un muro. E� difficile dietro a quel muro che si possa vivere una vita come ce la auguriamo tutti noi: con difficolt�, s�, ma anche libert�, amicizia, futuro, un giorno diverso dall�altro.

E� per questo che le storie di Marco, Fulvia, Andrea, che troviamo in queste pagine sono importanti. Per aiutare a trovare una soluzione amministrativa saggia, per interrogarci di nuovo su come convivere, ciascuno di noi, con il disagio mentale e averne meno paura.

Mario Marazziti