Comunità di S.Egidio


 

06/08/2004

A 40 anni dall'"Ecclesiam Suam" di Papa Paolo VI
Il documento programmatico di un Pontificato

 

Sono passati quarant'anni da quel 6 agosto 1964, festa della Trasfigurazione di Ges�, in cui Paolo VI promulg� la sua prima enciclica, l'Ecclesiam Suam. La Trasfigurazione � una data decisiva nella vita di Papa Montini, conclusasi proprio in quello stesso giorno nel 1978, quattordici anni dopo quell'enciclica. L'Ecclesiam Suam era il documento programmatico del pontificato, anche se ancora il Vaticano II non era concluso. Si tratta di un testo di grande importanza. Forse il quarantesimo anniversario di questa enciclica non � stato celebrato con il dovuto rilievo. Eppure i temi trattati dall' Ecclesiam Suam sono di grande attualit� anche per il pontificato di Giovanni Paolo II e per la Chiesa del XXI secolo.

Tra le encicliche dei papi contemporanei ce ne sono alcune destinate a restare come punti di riferimento: � avvenuto per la Rerum Novarum di Leone XIII (celebrata non solo dagli studiosi ma anche dai papi), ma anche per la Pacem in terris di Giovanni XXIII. Proprio per i quarant'anni dell'enciclica di Papa Giovanni sulla pace, anche sotto lo stimolo degli avvenimenti militari in Medio Oriente, si � ritornati ampiamente su quel testo. L'Ecclesiam Suam �, a mio avviso, una di quelle encicliche che non passano. Non �, come qualcuno ha affermato sbrigativamente, il manifesto del dialogo per una Chiesa che esce dal monologo, ma un testo denso di prospettive per una Chiesa che vuole evangelizzare e vivere tra le tante "alterit�" del mondo contemporaneo.

Per Paolo VI il "dialogo" non � una politica: "noi - afferma - abbiamo sempre presente questo ineffabile e realissimo rapporto dialogico, offerto e stabilito con noi da Dio Padre, mediante Cristo, nello Spirito Santo, per comprendere quale rapporto noi, cio� la Chiesa, dobbiamo cercare di instaurare e di promuovere con l'umanit�". Se l'espressione "dialogo" appare nuova nel magistero dei papi, le sue radici sono antiche, anzi si collocano nell'iniziativa di Dio ("il dialogo della salvezza part� dalla carit�, dalla bont� divina"). Offerto liberamente a tutti, "il dialogo della salvezza non obblig� fisicamente alcuno ad accoglierlo; fu una formidabile domanda d'amore....".

L'enciclica si articola in tre parti: la coscienza della Chiesa e dei cristiani; il rinnovamento di fronte alla loro vocazione; le relazioni con gli "altri", quindi anche il dialogo. Troppo spesso si sono tralasciate le prime due parti per offrire una lettura riduttiva e di seconda mano. Il tema della coscienza della Chiesa � fondamentale: il Papa invita ad approfondire l'identit� cristiana ed ecclesiale, senza cui non ci sono n� dialogo n� evangelizzazione. Si tratta dell'approfondimento del mistero della Chiesa su cui era impegnato il Vaticano II. Ma c'� anche forte un invito ai cristiani: "l'essere cristiani... deve marcare profondamente e felicemente la coscienza d'ogni battezzato; deve essere davvero considerato da lui, come lo fu dai cristiani antichi, una "illuminazione"....".

Il Papa conosce le difficolt�: "gli animi degli uomini... - afferma - sono fortemente influenzati dal clima del mondo temporale; cos� che un pericolo quasi di vertigine, di stordimento, di smarrimento pu� scuotere la sua stessa saldezza e indurre molti ad accogliere i pi� strani pensamenti, quasi che la Chiesa debba sconfessare se stessa ed assumere novissime e impensate forme di vivere". Il Papa ricorda anche come tanta parte della modernit� in Occidente ha sub�to "profondamente l'influsso del cristianesimo e l'ha assorbito intimamente pi� che spesso non si avveda d'essere debitore delle sue migliori cose al cristianesimo....".

La Chiesa e i cristiani si debbono rinnovare a partire dall'approfondimento dell'identit�: � la seconda parte dell'Ecclesiam Suam. L'impegno va indirizzato "non tanto per elaborare nuove teorie, quanto per generare nuove energie...": "apre alla santit� nuove espressioni, sveglia l'amore a diventare geniale, provoca nuovi slanci di virt� e di eroismo cristiano". Il rinnovamento per Paolo VI consiste nella conversione personale e nella santit�. Ma anche il segreto del rinnovamento della Chiesa - dice il Papa - � nella sua "metanoia", nella conversione non nel relativismo, n� nel cancellare ogni fatica, n� nell'appiattimento sui modelli "profani".

Quasi intravedendo i problemi del postConcilio (ma c'era gi� stato in Francia il dibattito sull'esperienza dei preti operai, conclusa da Pio XII nel 1954), Paolo VI parla del rischio per il clero, anche con buone intenzioni, di "confondersi... invece di distinguersi, rinunciando con inutile mimetismo all'efficacia genuina del suo apostolato". Per il Papa � l'ora della carit�. Innestandosi sull'apostolo Paolo, Papa Montini scrive un suo inno alla carit�: "La carit� tutto spiega. La carit� tutto ispira. La carit� tutto rende possibile. La carit� tutto rinnova. La carit� tollera tutto, crede tutto, spera tutto, tutto sopporta". E si domanda: "Chi di noi ignora queste cose? E se le sappiamo, non � forse questa l'ora della carit�?".

Le prime due parti dell'Ecclesiam Suam sono fondamentali: senza identit� e rinnovamento non ci sono serie relazioni con il mondo. L'identit� cristiana vissuta porta a comprendere la "diversit� - sono parole del Papa - della vita cristiana dalla vita profana": � "vivere nel mondo ma non del mondo". Questa diversit� sta tutta nel Vangelo che "conosce e denuncia e compatisce e guarisce le umane miserie... (che) non cede tuttavia n� all'illusione della bont� naturale dell'uomo quasi a s� sufficiente e di null'altro bisognoso che d'essere lasciato libero di effondersi arbitrariamente, n� alla disperata rassegnazione della corruzione insanabile dell'umana natura". Il Vangelo � una missione da compiere e un annuncio da diffondere: questo � il programma di Paolo VI.

Qui si incontra una delle pi� belle espressioni del pensiero montiniano: "Ma questa distinzione non � separazione. Anzi non � indifferenza, non � timore, non � disprezzo. Quando la Chiesa si distingue dall'umanit� non si oppone ad essa, anzi si congiunge". La grazia non � un privilegio custodito gelosamente, ma si effonde e si comunica. A questo livello si colloca il "dialogo". Per il Papa il dialogo � la maturazione di un'eredit�, quella dei suoi predecessori a partire da Leone XIII. Cos� - dice Paolo VI - "la Chiesa si fa parola; la Chiesa si fa messaggio; la Chiesa si fa colloquio". Lo scopo del dialogo � quindi "mettere il messaggio, di cui � depositario, nella circolazione dell'umano discorso".

Paolo VI non vuole una Chiesa estraniata dal mondo (e che lo anatemizza), ridotta quasi ad un'orgogliosa minoranza; non crede per� in una Chiesa che si diluisce nel mondo. C'� un messaggio da comunicare e un colloquio da ravvivare. Bisogna imparare "un'arte di spirituale comunicazione", caratterizzata da chiarezza, mitezza, fiducia e prudenza (che � anche gradualit� e adattabilit�). L'Ecclesiam Suam � un programma per la Chiesa e per il Papa: "bisogna farsi fratelli degli uomini nell'atto stesso che vogliamo essere loro pastori e padri e maestri". Paolo VI vede le difficolt� di questa strada: "Il clima del dialogo � l'amicizia. Anzi il servizio... L'arte dell'apostolato � rischiosa. La sollecitudine dell'accostare i fratelli non deve tradursi in un'attenuazione, in una diminuzione della verit�".

� chiaro che il Papa pensa ad un rinnovato slancio della Chiesa nell'evangelizzazione. Infatti parla del rinnovamento della predicazione e dell'impegno a "gareggiare nobilmente con quanti oggi hanno larghissimo influsso con la parola mediante l'accesso alle tribune della pubblica opinione". Sulla scena della storia, la Chiesa dice agli uomini: "io ho ci� che voi cercate, ci� di cui voi mancate". Infatti la Chiesa vive il "segreto" della verit�, della giustizia, della pace, della civilt�. Questo � il pensiero del Papa.

La Chiesa di Paolo VI non ha paura degli orizzonti sconfinati del mondo contemporaneo con tutte le sue alterit�, che nella loro consistenza e resistenza sfidano la Chiesa: il comunismo, l'ateismo, la divisione tra i cristiani, le religioni non cristiane, i nuovi paesi o le varie e differenti civilt�. Il Papa proclama un interesse senza confini: "Tutto ci� che � umano ci riguarda". Anche i mondi pi� resistenti all'evangelizzazione riguardano la Chiesa. Anche quelli che la combattono o la disprezzano". Oggi si parla molto di scontro di civilt�. Il tema non � nuovo, anche se appare ora di grande attualit�. Gi� alla met� degli anni Trenta le Settimane Sociali dei cattolici francesi, a Versailles, avevano trattato questo problema, individuando varie civilt� in conflitto: quella comunista, il mondo musulmano, l'ebraico, l'induista, il buddista... . Forse il giovane Giovanni Battista Montini, cos� attento alla cultura francese, ebbe sentore di quel dibattito e sicuramente aveva presente la problematica, del resto non recente. Anche la via del dialogo non � nuova per la Chiesa: Leone XIII la raccomandava per evitare i conflitti e favorire la pace.

Per Paolo VI il dialogo � uno strumento di pace, quella pace che resta un grande obbiettivo del suo pontificato: "cerca di regolare i rapporti umani nella nobile luce del linguaggio ragionevole e sincero". La Chiesa, cio�, non accetta la logica del nemico: "Nessuno � indifferente per il suo ministero. Nessuno le � nemico, che non voglia egli stesso esserlo. Non indarno si dice cattolica; non indarno � incaricata di promuovere nel mondo l'unit�, l'amore, la pace". Anche chi la perseguita (e si pensi alla condizione della Chiesa nei regimi comunisti dell'epoca) non � considerato nemico, anzi "la nostra deplorazione - dice il Papa - �, in realt�, lamento di vittime ancor pi� che sentenza di giudici".

Il dialogo si rivolge pure agli altri mondi religiosi: all'ebraismo, all'islam, alle "grandi religioni afro-asiatiche" come egli dice. Mons. Pietro Rossano, cultore di dialogo interreligioso (che celebr� l'Ecclesiam Suam su questo giornale nel suo decennale), raccontava di aver udito da Paolo VI questa testimonianza: era stato proprio Pio XI ad interessarlo al rapporto con le religioni non cristiane. Senza rinunciare alla propria convinzione ("essere unica la vera religione ed essere quella cristiana") e alla speranza ("che tale sia riconosciuta da tutti i cercatori e adoratori di Dio"), Paolo VI intende aprirsi al colloquio e alla collaborazione con i mondi religiosi non cristiani. Per quello che riguarda l'ecumenismo si ritrovano nell'enciclica i propositi e le speranze maturate da Paolo VI nell'incontro a Gerusalemme con il patriarca Athenagoras all'inizio del 1964. Pur affermando che non era in suo potere transigere sull'integrit� della fede, il Papa afferma: "mettiamo in evidenza anzitutto ci� che ci � comune, prima di notare ci� che ci divide. � un tema buono e fecondo per il nostro dialogo".

Emerge dalle pagine di questa enciclica l'immagine di una Chiesa ricca e complessa che si appresta a vivere in un mondo sempre pi� complesso, anche policentrico, come quello che matura negli anni Sessanta. Il disegno di Paolo VI andr� incontro a ben note difficolt�, specie nel clima difficile del '68 e dopo. Morto il 6 agosto 1978, Papa Montini non vedr� la realizzazione di tante aspirazioni che trovano compimento con il suo successore, Giovanni Paolo II. Quarant'anni dopo, il sogno dell'Ecclesiam Suam resta attuale: "rendere i cattolici uomini veramente buoni, uomini saggi, uomini liberi, uomini sereni e forti". E, nonostante il tempo passato, sono ancora attuali le parole che concludono quell'enciclica: "la Chiesa � viva oggi pi� che mai! Ma a ben considerare sembra che tutto resti ancora da fare; il lavoro comincia oggi e non finisce mai. � questa la legge del nostro pellegrinaggio sulla terra e nel tempo".

Andrea Riccardi