Negli ultimi decenni i conflitti che vedono protagonisti stati, movimenti, etnie che si autodefiniscono in base a riferimenti religiosi, sono in costante aumento. Le religioni, o meglio talune interpretazioni di esse, sono diventate, in determinati contesti sociali e geopolitici, sostituti mobilitanti delle ideologie.
Le ragioni di questa distorsiva trasformazione, che sfocia nei fondamentalismi contemporanei, dipendono dal fatto che le religioni, custodi nel tempo di un repertorio simbolico che ha resistito alla contingenza e alla crisi delle grandi narrazioni ideologiche novecentesche, sono oggi saccheggiate dalle politiche dell�identit�. Le religioni assicurano infatti un surplus simbolico cui attingere per marcare l�esistenza di supposti valori comuni di un popolo, di una civilt�, di una comunit�.
Diventando strumento di attori politici e sociali che le usano per parlare di s� e dell�altro; della propria identit� minacciata e del Volto del Nemico che la minaccia.
Il riferimento alle religioni diventa cos�, per chi lo agita in termini antagonisti, una risorsa di senso. Necessaria strategicamente per conseguire determinati obiettivi politici: definizione del campo nemico, secolare o di altra religione, rinforzo dell�identit� nazionale, pulizia etnica, affermazione dello stato etico.
Questa radicalizzazione del discorso religioso � ormai diffusa a livello globale. Visibile non solo nella tragica deriva terrorista che i movimenti jihadisti cercano di imprimere al mondo islamico. Deriva di cui ci parlano anche i drammatici fatti di questi giorni.
Ma anche il pluridecennale conflitto israelo-palestinese, divenuto progressivamente campo di battaglia di opposti fondamentalismi. Con i coloni religiosi israeliani che occupano i Territori in nome di una "teologia della Terra" che lega messianicamente la loro presenza in quelle che furono le bibliche Giudea e Samaria all�avvento della redenzione. E con movimenti come Hamas o la Jihad islamica che teorizzano l�indisponibilit� divina di quella stessa terra e la legittimit� del "martirio" suicida degli shahid che si "immolano" seminando tragicamente morte nelle strade delle citt� israeliane.
O, per guardare solo apparentemente ancora indietro, come testimoniano le vicende dell�ex-Jugoslavia, dove anche la recente ripresa dello scontro tra albanesi e serbi in Kosovo, si � tradotta, significativamente, nell�incendio di moschee e monasteri .
O la catastrofe della regione africana dei Grandi Laghi in Ruanda dove, solo un decennio fa, hutu e tutsi, etnie entrambe cattoliche, sono state protagoniste di un bagno di sangue, conclusosi in genocidio, in cui l�appartenenza religiosa ha svolto un ruolo rilevante nella costruzione delle rispettive identit� conflittuali dei due popoli. O addirittura allo Sry Lanka, l�antica Ceylon, l�isola del dharma., dove anche il buddismo, religione tradizionalmente contemplativa, � divenuto, nello specifico contesto, elemento determinante nel conflitto che oppone cingalesi buddisti e tamil d�origine hind�.
Per evitare che, in una drammatica spirale, le religioni siano arruolate nella guerra di tutti contro tutti, diventa dunque decisivo far emergere uno dei nuclei costitutivi della loro identit�: il messaggio di umanesimo e di pace.
Una sfida difficile, che rischia di apparire retorica nel poco edificante panorama attuale.
Ma una sfida necessaria se si vuole evitare che , sempre pi� spesso, Dio sia invocato solo come " Dio degli eserciti". Per questo l�incontro dei vertici delle grandi religioni mondiali a Milano, su invito della comunit� di Sant�Egidio e del cardinale Dionigi Tettamanzi, � un momento importante nel tentativo di far emergere un nuovo umanesimo che mira a una civilt� del convivere. E a dare all��uomo sradicato dell�era della globalizzazione, un�identit� salda che non sfoci necessariamente nel fanatismo.
Renzo Guolo
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