Comunità di S.Egidio


 

05/09/2004


Ravasi: Milano deve aprirsi, le istituzioni aiutino l�integrazione
Ai nostri giorni � pi� difficile proporre un dialogo che non un rifiuto o un rigetto

 

�Il dialogo comincia dalla conoscenza�. Il concetto caro a monsignor Gianfranco Ravasi, prefetto dell�Ambrosiana, � ereditato da chi prima di lui ha avuto la responsabilit� di questa biblioteca. Radici lontane, che si ritrovano nel ventiduesimo capitolo dei Promessi Sposi, quando si racconta del cardinale Federigo Borromeo che aveva mandato i suoi messi alle estremit� del mondo a raccogliere testi e codici di civilt� allora sconosciute. Altri documenti si sono aggiunti a questi, per arricchire le stanze dell�Ambrosiana, dove oggi sono conservati ad esempio i 2 mila manoscritti iemeniti acquistati dal prefetto Achille Ratti, poi Papa Pio XI, �che - sottolinea monsignor Ravasi - costituiscono tutt�ora il maggior fondo arabo presente in Europa�. La storia della Biblioteca Ambrosiana � gi� di per s� una storia di incontro e di dialogo: �Abbiamo contatti quotidiani con il mondo arabo, con le loro universit�, i loro centri culturali, docenti, storici e intellettuali�, insiste Ravasi che parteciper� a una delle tavole rotonde che si svolgeranno durante il convegno organizzato dalla Comunit� di Sant�Egidio e dalla Diocesi di Milano che si apre oggi. Monsignore, come possiamo parlare di dialogo in un clima come questo, con le scene di orrore degli ultimi giorni? �La sfida � sicuramente ardua. Ai nostri giorni � pi� difficile proporre un dialogo tra religioni e culture che non una presa di posizione di rifiuto e rigetto. Si pu� dire che o si sceglie il duello, in cui ciascuno tira fuori la sua spada per far valere le proprie ragioni, o si preferisce il duetto, dove due voci diverse cercano per� di fare armonia�. Quindi, non siamo di fronte alla solita iniziativa buonista? �Quello che fa la Comunit� di Sant�Egidio � tutt�altro: � pi� difficile avere il coraggio di confrontarsi, visto che il nucleo forte della mentalit� oggi diffusa � portato al rigetto�. Forse perch� non se ne pu� pi� della situazione complessiva, non crede? �La situazione mondiale fa riflettere e la guerra pare essere diventata la via pi� spontanea: ma gli eventi ci stanno dimostrando che la guerra lascia le cose sostanzialmente come sono�. Come alternativa, bastano incontri di riflessione comune? �� ovvio che una celebrazione da sola non risolve i problemi. Piuttosto, credo ci siano delle tappe da seguire: la prima � la curiosit� dell�altro, il gusto di chiedersi e capire perch� l�altro si comporta cos� ed � diverso da me. Ed � il livello della conoscenza�. Il dialogo comincia dalla conoscenza. �Appunto. Il secondo livello � il rispetto della diversit�: verificare che i diritti e le modalit� di espressione di ciascuno vengano rispettate purch� inquadrate in un contesto complessivo, non di prevaricazione. Infine, il terzo livello � quello della solidariet�. La parte pi� difficile? �Forse s�: il rapporto fra le persone pu� essere risolto con l�integralismo, cio� con il decidere che ciascuno stia chiuso nel proprio mondo. Questo � un modello minimo di equilibrio, che ci ricorda un po� l�organizzazione della vecchia New York: da una parte c�era Little Italy, dall�altra il Bronx, poi c�era la zona degli ebrei e cos� via... Ognuno aveva il proprio territorio, viveva la propria tradizione e l�equilibrio complessivo teneva�. Non basta? �Il cristianesimo chiede un livello di solidariet� pi� alto e cio� l�osmosi: convincere anche l�altro alla solidariet�. Possiamo fare un esempio? �Penso alla Francia, dove si va verso un modello dialogico: l� si sono costituite associazioni di cattolici e musulmani che insieme fanno assistenza ai disabili�. Quindi, l�Italia � un passo indietro? �S�, anche perch� la storia francese � diversa e ha sempre posto il problema dell�incontro con altre culture�. Qual � il significato di questo evento milanese? �� un evento simbolico, al quale per� va dato un significato: pensiamo a quanto abbia inciso il primo incontro di Assisi. E poi c�� un numero sterminato di temi e riflessioni che resteranno e diventeranno patrimonio comune. Certo, per cambiare le cose conta poi un lungo esercizio e bisogna partire dall�educazione�. Perch� Milano? �Perch� Milano ha alle spalle una tradizione di accoglienza: a partire dal fenomeno dell�immigrazione interna. E oggi, anche se la citt� si � un po� raggrinzita su se stessa, rimane tutto sommato europea�. Lei ritiene che a Milano esista integrazione? �Milano oggi vive con fatica il confronto ed � pi� incline alla paura. Un atteggiamento che capisco, sia chiaro: io sono qui in centro, vivo una situazione ideale. Ma il cittadino di via Padova che incontra tante persone diverse da lui, che hanno usi e regole diverse, � chiaro che pu� avere paura�. Da questo incontro arriver� anche un messaggio alle istituzioni? �Beh, il titolo parla di umanesimo e quindi non si finir� soltanto nell�incenso. L�invito anzi direi che va soprattutto alle istituzioni. La Chiesa di Milano ha strutture da tempo impegnate in questo, penso alla Caritas e alle commissioni per il dialogo interreligioso: ma qui si tratta di stimolare altri soggetti, il mondo della politica e quello della cultura che a Milano paiono entrambi un po� provinciali�. Vedrebbe bene, ad esempio, degli assessorati ad hoc sull�integrazione? �Dipende dallo spirito che li anima, il progetto e la tensione. Bisognerebbe capire se esiste un vero e proprio progetto esecutivo e che non si tratti della solita iniziativa che finisce in carte bollate e che si occupa soltanto di emergenze�. Come accade oggi? �Purtroppo, s�.

Elisabetta Soglio