�L'uomo � inviolabile non gi� perch� vive e ha quindi "diritto alla vita". Un simile diritto l'avrebbe anche l'animale, perch� anch'esso vive. Ma la vita dell'uomo non pu� essere violata perch� l'uomo � persona. Persona non � un "che" di natura psicologica, ma esistenziale�. Questa riflessione di Romano Guardini, citato dal cardinal Dionigi Tettamanzi, pu� essere ricordata come la tela di fondo della conversazione (�Bioetica e nuovo umanesimo�) che si � tenuta iersera in una sala dell'Hotel Marriott, nell'�mbito dell'incontro �Uomini e religioni�. Una conversazione che, pur tra le inevitabili diversit� di posizioni e sfumature, sostanzialmente si � mossa sul filo dell'antropologia personalistica, esplicitamente introdotta e trattata dal cardinale arcivescovo di Milano. Il quale ha ricordato. tra l'altro, come al centro di quella antropologia stia l'uomo in quanto uomo, nel suo essere come soggetto vivente nel tempo, nello spazio e nella sua inscindibile totalit�. Totalit� e insieme (caso per caso, uomo per uomo, embrione per embrione) unicit� che proclama, pretendendo universale rispetto, �la sua dignit� assoluta e inviolabile, i suoi diritti nativi e inalienabili�.
Proseguendo nella sua riflessione - che a questo punto ha assunto il tono e il peso di un richiamo a tutti, credenti e non - Tettamanzi ha detto: �La bioetica deve essere rispettosa della dignit� personale, del vero e del bene di tutto l'uomo, di ogni uomo, di tutti gli uomini. La bioetica deve insomma garantire il bene di ciascuno e insieme il bene comune�. � anche lungo questa via che la pace pu� camminare, affermarsi, perch� �se la pace � il frutto della giustizia, della verit�, della libert� e della solidariet�, dobbiamo concludere che il rispetto e la promozione della vita umana sono componenti essenziali e indispensabili della pace�. Ma non basta. Secondo il cardinale arcivescovo, che ha ripreso una parte del titolo dell'incontro (�Il coraggio di un nuovo umanesimo�) la bioetica �ha bisogno oggi di un grande coraggio, per essere fedele alla propria identit�, per essere capace di custodire e onorare la propria nobilt�, per perseguire la sua fondamentale finalit� di servizio alla vita umana�.
In piena consonanza con Tettamanzi, il rettore dell'Universit� cattolica del Sacro Cuore e presidente del dibattito di ieri, Lorenzo Ornaghi, ha ricordato come la promozione di un nuovo umanesimo �costituisce una responsabilit� - pi� ancora, una necessit� - che si rivela ogni giorno pi� cruciale, soprattutto nei campi della ricerca medico-scientifica e tecnologica�. Ma con speciale attenzione, e con qualche novit� anche ambigua, anche sfuggente, poich�, ha aggiunto Ornaghi, lo stesso �vocabolario dell'etica rischia di sembrare non pi� adeguato per affrontare le complesse questioni morali, giuridiche e politico-legislative poste dall'ingegneria genetica�.
Bisogna forse aver paura delle straordinarie novit� tecnologiche, e, soprattutto, delle conseguenze anche pratiche della cosiddetta �rivoluzione del genoma�? Tettamanzi ha invitato a non avere timore della ricerca, che anzi pu� essere un dono, a patto che non sia al servizio di �una scienza fine a se stessa, o di interessi contrari al vero bene dell'uomo�. Il cardinale arcivescovo di Lione, Philippe Barbarin, ha ricordato come, davanti ai molti possibili dubbi che assalgono sia uno scienziato sia un qualunque operatore sanitario, occorre �ascoltare la Parola di Dio�, che ha tutte le risposte. Comprese quelle riguardanti la clonazione, alla quale ci si deve opporre radicalmente, totalmente, e le cosiddette �pratiche riproduttive�. La stessa parola ri-produzione, ha notato Barbarin, sta tristemente prendendo il posto della ben pi� nobile pro-creazione.
Segnaliamo infine l'apporto del presidente dell'Unione Comunit� Ebraiche italiane, Amos Luzzatto, che ha cos� concluso il suo non-conformistico intervento: �Se la bioetica si � preoccupata modernamente di seguire un percorso che salvaguardi la salute della collettivit� senza sacrificarle i diritti degli individui, penso che un nuovo umanesimo debba considerare gli individui non come una entit� astratta, che si � autogenerata, ma come il risultato del loro "allevamento" all'interno di gruppi specifici (culturali, religiosi, eccetera). E allora, quale compito spetta a questi gruppi? Certo il compito di dialogare per conoscersi, ma anche per trovare un comune denominatore che permetta di condurre la societ� del domani nel reciproco rispetto che implica la reciproca conoscenza. Con tutto il rispetto per quegli intellettuali che recentemente hanno giudicato fallito il percorso del dialogo. devo dire loro e non soltanto a loro che l'alternativa al dialogo, ancora debole e inadeguato, � la violenza, la crudelt�, la distruzione. E non ci illudiamo che la violenza si accontenti di essere strumento per ristabilire, con l'ordine, la serenit�. No, la violenza tende a valorizzare se stessa, a diventare legge�.
Elio Maraone
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