�Non esistono parole per descrivere l'orrore che abbiamo vissuto e che altri uomini avevano progettato a tavolino�. Ha scritto un libro (Sopravvissuta ad Auschwitz, per le edizioni Paoline), e tiene conferenze ormai da quindici anni, Liliana Segre, una delle testimoni della Shoah ancora vita, che ieri mattina ha parlato agli studenti del Liceo Classico D'Oria, invitata dalla Comunit� di Sant'Egidio. Eppure � convinta che non sia possibile restituire appieno quell'esperienza. Ma � sempre necessario tentare. Perch� dimenticare non apra la porta al rischio di ripetere. Perch� diventare candela della memoria � un dovere per chi � rimasto in vita. Anche nei confronti dei sei milioni di vittime �morte per la sola colpa d'esser nati ebrei�.
� iniziato con un minuto di silenzio in memoria dell'appena scomparsa Liana Millu, altra testimone attivissima, che avrebbe dovuto essere presente, l'intervento della Segre, settantacinque anni, milanese. Elegante ed emozionata, ma di parole pacate, dopo aver chiesto che venisse chiusa a chiave la porta di accesso all'aula magna per evitare d'esser distratta dall'andirivieni, ha ripercorso senza retorica ancora una volta tappa dopo tappa il suo calvario. A partire del tentativo di fuga verso la Svizzera, con documenti falsi, in compagnia di contrabbandieri,. Tentativo non riuscito, perch� la polizia di confine respinge lei e i suoi parenti, che poco dopo cadono nelle magli dei rastrella menti.
Al carcere in Italia - Varese, Como e San Vittore a Milano - segue �il viaggio verso il nulla sui carri bestiame, nella puzza d'urina, sudore e paura�. Un viaggio che Segre paragona a quello di vitelli mandati al macello, che non sanno, ma annusano la morte che s'avvicina. E l'arrivo ad Auschwitz, dove viene separati dai parenti, mandati subito a morte, e in due sole ore perde la sua identit�: spogliata, rasata a zero e tatuata, diventa un numero, il 75190. �Un tatuaggio che non si pu� cancellare col laser, come si fa oggi, racconta, perch� � entrato dentro di me�. Dodicenne, passa per tre volte la selezione per la vita o la morte e viene mandata a lavorare in una fabbrica di munizioni che fa turni di giorno e di notte. E scopre subito �cosa significano quell'odore dolciastro che permea il campo e quella patina di cenere che rende grigia la neve�. Cos� come impara prontamente le regole per arrivare al giorno dopo: recitare il proprio numero in tedesco, non guardare mai in faccia gli aguzzini e mangiare tutto quello che viene distribuito.
Per sopravvivere finge di essere altrove, si immedesima con una stella, non vuole �vedere il sanatorio, i cadaveri nudi e scheletriti�. Finch� la disfatta tedesca non coinvolge anche il mondo alla rovescia dei campi e dei prigionieri. Costretti alla lunga marcia della morte lungo la Polonia e la Germania, ultimo tentativo dei nazisti di sottrarre il loro capolavoro del male agli occhi del mondo, e poi liberati, in fin di vita, all'arrivo degli alleati.
�In quel momento ho avuto una tentazione fortissima, aggiunge, vedendo che il comandante del campo, alto, crudele e fino a poco prima sicuro di s�, gettava a terra davanti a me la divisa e la pistola ho pensato di raccoglierla e sparargli, per vendicare tutti quei morti e la mia stessa sofferenza. Ma � stato un attimo, conclude, perch� mi sono resa conto che ero io la pi� forte, che avevo scelto la vita, mentre lui aveva sposato una teoria di morte. E quella scelta di pace mi ha reso libera�.
Accolta da un lunghissimo applauso e da molte lacrime liberatorie, Segre conclude rispondendo a Sergio, che le chiede perch� oggi viaggia per l'Italia portando la sua testimonianza e anche perch� ha cominciato tardi, solo nel 1990, a farlo. �Subito avevo scelto il silenzio. Volevo rimuovere quei ricordi e credevo che chi non avesse vissuto quella tragedia non potesse in alcun modo capirla. Del resto anche Primo Levi si era visto rifiutare il suo libro Se questo � un uomo da tutti gli editori. Ma poi a sessant'anni e dopo un esaurimento nervoso ho capito che avevo finalmente elaborato un lutto e che dovevo qualcosa a chi era morto laggi�. Ai miei parenti, alle compagne del campo che non sono tornate, ai sei milioni di persone scomparse. Cos� ho iniziato a raccontare, e la prima volta che l'ho fatto non ero sicura di riuscirci, non sapevo se, anche dopo tanti anni, sarei riuscita a non mettermi a urlare�.
Lucia Compagnino
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