Comunità di S.Egidio


 

28/04/2005


Con il passo del credente con il passo della liturgia

 

Benedetto XVI ha mosso i suoi primi passi, come Papa, a partire dal sepolcro dell'apostolo Pietro. Il giorno successivo, ha voluto recarsi al sepolcro dell'apostolo Paolo nella Basilica ostiense. Con il simbolismo semplice e forte della liturgia, il Papa ha mostrato come il suo ministero e la sua fede prendano le mosse dalla fede degli apostoli. Gli osservatori scrutano la figura del nuovo Papa, cesellano i suoi discorsi, notano continuit� e discontinuit� con il suo predecessore, cercano affermazioni di rigore o attenuazioni di esso. Applicano, infatti, al suo ministero le categorie e i criteri interpretativi di impronta politologica.

Il fascio della luce mediatica rischia di occultare quel che c'� di pi� vero nel cammino iniziale di Benedetto XVI: il percorso di un cristiano che ha assunto un "compito inaudito, che realmente supera ogni capacit� umana", come lui stesso ha detto nell'omelia del 24 aprile. Il Papa si sta comportando, prima di tutto, da cristiano, da credente, che entra nel suo nuovo ministero, ne coglie la grande portata, va alle sorgenti della fede e della testimonianza apostolica. Pu� sembrare un'osservazione banale: non � ovvio che il Papa si muova da cristiano? Ma la fede non pu� essere messa tra parentesi o considerata scontata. La fede, prima di essere un messaggio, � il vissuto di Benedetto XVI.

Ne � un chiaro segno il discorso alla solenne liturgia del 24 aprile di fronte a tanto popolo, ma anche innanzi alle rappresentanze degli Stati e alle delegazioni delle Chiese cristiane e delle Comunit� ecclesiali. Ci si aspettava, da parte di molti, un manifesto programmatico, pronti a confrontarlo con le linee portanti del Pontificato del suo predecessore. Tanti hanno gi� scritto l'agenda del successore di Giovanni Paolo II. In realt� Papa Ratzinger ha sorpreso: "In questo momento - ha detto con chiarezza - non ho bisogno di presentare un programma di governo. Qualche tratto di ci� che considero il mio compito, ho gi� potuto esporlo nel mio messaggio di mercoled� 20 aprile; non mancheranno altre occasioni per farlo".

Il Papa non ha usato la liturgia inaugurale come luogo in cui manifestare un programma. Indubbiamente non manca una riflessione di Joseph Ratzinger sui problemi e sulle necessit� della Chiesa, sulla responsabilit� di annunciare il Vangelo, su come essere cristiani nel mondo contemporaneo. Ma, con decisa semplicit�, il Papa si � voluto incamminare nel ministero petrino con il passo della liturgia. � il passo della Chiesa cattolica e della sua fede. In questo modo ha anche sottolineato l'alterit� del linguaggio della Chiesa.

Il Papa non � un leader politico, anche se abbiamo visto in questi giorni attorno a lui tanti uomini di governo e della politica. Ha dichiarato: "Il mio vero programma di governo � quello di non fare la mia volont�, di non perseguire le mie idee, ma di mettermi in ascolto, con tutta la Chiesa, della parola e della volont� del Signore e lasciarmi guidare da Lui, cosicch� sia Egli stesso a guidare la Chiesa in questa ora della nostra storia". Il suo discorso ha voluto essere un'omelia in cui ci si soffermava sul messaggio profondo della liturgia, su due segni e su due immagini: quella del pastore, della pecora e dell'agnello, quella del pescatore e della rete. Il Papa � prima di tutto un uomo di fede che entra, con il passo del credente, nel suo ministero di pastore, sorretto dalla comunione della Chiesa che prega con lui.

Ascoltando le parole di Benedetto XVI, mi � tornato alla mente il discorso dell'incoronazione di Giovanni XXIII, nel 1958, quasi mezzo secolo fa. Il clima della Chiesa e del mondo era tanto diverso. La cornice in cui si svolgeva la liturgia era quella pi� ristretta della Basilica di San Pietro e non lo scenario della piazza con la partecipazione di tanta gente. Allora Papa Giovanni insistette sul "compito di pastore di tutto il gregge": "Le altre qualit� umane - la scienza, l'accorgimento e il tatto diplomatico, le qualit� organizzative - possono riuscire di abbellimento e di completamento per un governo pontificale, ma in nessun modo sostituirlo" concludeva. Per Giovanni XXIII "il punto centrale � lo zelo del buon pastore - diceva -, pronto ad ogni ardimento sacro, lineare, costante, sino al sacrificio estremo".

Papa Giovanni si confrontava con l'imponente magistero di Pio XII e con la sua statura di diplomatico e di uomo di governo. Aggiungeva saggiamente (anche con la sua sapienza di storico della Chiesa): "Ogni Pontificato prende una sua fisionomia dal volto di chi lo impersona e lo rappresenta". E concludeva con un'osservazione che richiama quanto Benedetto XVI sta indicando: "Ma pi� ancora che il fare semplicemente, interessa lo spirito del fare". Ed � a questo spirito che Papa Ratzinger ci sta introducendo sviluppando lo spirito di comunione con il ministero della Parola e con la liturgia. Lo ha fatto anche quando ha detto: "non sono solo. Non devo portare da solo ci� che in realt� non potrei mai portare da solo... Noi tutti siamo la comunit� dei santi...". Lo stesso suo ricorrere alla parola "amicizia" rivela la qualit� di questa comunione. � l'amicizia con Cristo nel senso del Vangelo di Giovanni. � l'amicizia tra coloro che sono amici di Dio.

Anche per Benedetto XVI, vale quell'invito, quasi un avvertimento, di Giovanni XXIII nella sua presa di possesso della Cattedrale di Roma (una liturgia che il Papa volle allora molto solenne rispetto ai suoi predecessori per il suo grande significato). Giovanni XXIII invit� a comprendere meglio chi fossero il Papa e i Vescovi con una semplice indicazione: "� dunque sull'altare che amiamo invitarvi a cercare sempre il Vescovo e il sacerdote, nell'atto di distribuire il corpo e il sangue del Signore, perch� questa � la sostanza viva della religione che professiamo, il Nobiscum Deus...". Questa � anche - aggiunse Giovanni XXIII - la prospettiva con cui il Papa considera le cose: "� dall'altare; � da questo monte santo che dobbiamo guardare le cose terrene, giudicarle e servircene".

Queste parole, vecchie di tanti anni, richiamano per� alla prospettiva con cui il Papa entra nella vita della Chiesa e del mondo. Non lo si pu� piegare ad altre prospettive. Egli entra come il testimone del Vangelo, desideroso che tanti condividano la fede che egli comunica. Benedetto XVI ha detto: "La santa inquietudine di Cristo deve animare il Pastore: per lui non � indifferente che tante persone vivano nel deserto". Ha indicato i tanti deserti di questo mondo dove soffrono troppi uomini e donne. � compito della Chiesa e dei suoi Pastori "condurre gli uomini fuori dal deserto, verso il luogo della vita" ha detto. In un altro passo del suo discorso ha affermato: "...nella missione del pescatore di uomini, al seguito di Cristo, occorre portare gli uomini fuori dal mare salato di tutte le alienazioni verso la terra della vita, verso la luce di Dio".

Si tratta di discorsi elevati, ma in fondo estranei alla realt�? Alla luce del Vangelo, la visione del Papa non si limita all'uno o all'altro aspetto problematico della vita contemporanea, ma guarda all'uomo nella sua totalit�. Del resto, quando Giovanni Paolo II, all'alba del suo Pontificato, invit� a non avere paura e a spalancare le porte a Cristo, molti considerarono questo invito come una pia esortazione, scontata sulla bocca di un Papa (anche se pronunziata con ammirevole passione). Dopo un quarto di secolo, siamo consapevoli delle ricadute profonde che tale messaggio ha avuto sulla vita spirituale e sulla storia dell'Est comunista come dell'Occidente secolarizzato. Le parole della fede, infatti, fanno fiorire i deserti interiori e, alla fine, irrigano anche i deserti esteriori che oggi sembrano estesi e abitati da tanti.

Andrea Riccardi