Comunità di S.Egidio


 

03/01/2006

Il documento firmato anche dal sacerdote volontario di Poggioreale: "Una parte consistente della popolazione penitenziaria � ancora in attesa di giudizio e molti sono in cattive
Carceri; i cappellani fanno appello alla clemenza

 

Dalle carceri di tutta Italia si leva la voce dei cappellani: chiedono ancora una volta, con forza, al Parla-mento italiano, un provvedi-mento di clemenza per i detenuti come risposta ad una "situazione inaccettabile" e alle condizioni inumane che "mettono a dura prova il rispetto profondo della dignit� umana". "Il sovraffollamento, la carenza di fondi sufficienti, rendono difficile l'impegno del personale carcerario, diventano occasione di violenza e di disperazione, sono spesso una pena aggiuntiva, fatta di invivibilit�, alla pena da scontare per chi � detenuto" si legge nell'appelIo firmato da tutti i cappellani degli istituti di pena, in testa don Paolo Spriano, cappellano di Rebibbia a Roma, e don Vittorio Trani, cappellano di Regina Coeli, l'istituto di pena dal quale si levo' l'accorata richiesta di perdono da parte di Karol Wojtyla. Ma i cappellani, la Comunita' di Sant'Egidio ed i volontari delle carceri ricordano anche la visita del Pontefice polacco nella sede del Parlamento. E come "in occasione del Grande Giubileo del 2000 e nella sua visita nella sede pi� alta della democrazia in Italia il magistero di Giovanni Paolo II e la sua richiesta"siano stati "onorati con interminabili applausi e devozioni, e sono stati ignorati e disattesi da altri interessi e dal prevalere di interessi di parte, nei singoli e nei gruppi, fino ad oggi. La responsabilit� di questo ricade in maniera proporzionale su governo e Par-lamento secondo autorit� e possibilit� non esercitata per cambiare le cose". I cappellani affermano che "una parte consistente della popolazione carceraria non � mai stata condannata per il crimine di cui e' accusata, ma � in attesa di giudizio. Molti sono in cattive condizioni di salute e moltissimi sono persone tossicodipendenti e alcol dipendenti. Moltissimi sono immigrati. Molti meno di quelli che ne avrebbero diritto possono accedere alle misure alternative alla detenzione". La certezza della pena, dunque, si legge nell'appello, "non ha nulla da perdere da un provvedimento di clemenza, quando l'intero sistema giudiziario italiano � affetto da lentezza cronica e solo un processo su dieci arriva al suo termine, e spesso arriva-no a sentenza e vengono colpiti quanti non possono permettersi una adeguata e costosa difesa legale". La richiesta di Giovanni Paolo II e' stata rinnovata, a Natale, dai vertici della Chiesa italiana, interpretando un senti-mento diffuso e una necessita' per il paese. Sebbene, osservano i cappellani, "un provvedimento di clemenza, un indulto non sono, da soli, la risposta al sovraffollamento e alla trasformazione silenziosa della pena da riabilitativa in punitiva ". Tuttavia un gesto di clemenza e un indulto sarebbero, secondo coloro che ogni giorno cercano di alleviare le sofferenze dei detenuti, "il minimo necessario per riavviare un ripensamento profondo del sistema delle pene e della giustizia in Italia. Per limitare i danni di nuovi inutili ingressi in carceri gi�' invivibili, come previsto dalla nuova legislazione e dal cumulo della recidivita' per reati diversi: che sposta la pena dal reato al reo "recidivo", riducendo ulteriormente la possibilita' di riscatto e provocando un effetto dirompente, a scoppio ritardato, su vite che cercano di allontanarsi a fatica dalla devianza ". "Per ridurre il tasso di gesti disperati e di autolesionismo sempre piu' frequenti in carcere. Per umanizzare nei limiti del possibile, e subito, la condizione carceraria in Italia. Un provvedimento di clemenza non mette in libert� "i delinquenti". La clemenza -ribadiscono i cappellani- non rende meno certa la pena. Aiuta il paese a prendere tempo e a iniziare una strada intelligente che sa affrontare i problemi sociali per quello che sono, senza scorciatoie, sostenendo chi e' piu' debole, impedendo la nascita di ghetti sociali, favorendo l'integrazione e non l'ulteriore emarginazione di chi e' piu' a rischio e meno fortunato". Tra i firmatari, anche Don Carmine Basile cappellano volontario nel carcere di Poggioreale, a Napoli, tutti i sacerdoti volontari di regina Coeli, don Antonio berin, cappellano a San Vittore, a Milano, don Giuseppe Chironna, cappellano del carcere di Altamura, don Dino Liberatori, del carcere di Arezzo, don Antonio Manca, cappellano nella casa circondariale di Alghero, Mario Marazziti, Stefania Tallei e Marina Ceccarelli, della Comunit� di Sant'Egidio.