Comunità di S.Egidio


 

11/02/2006

UNA GRANDE ECO
IL DOLORE PERSONALE SUL VOLTO DI UN POPOLO

 

La cattedrale di Roma ha accolto ieri, per l'ultimo saluto, il corpo di don Andrea Santoro. Tra tanta gente, in mezzo ai suoi confratelli visibilmente scossi, nella chiesa della sua ordinazione, la vita e la morte di don Andrea hanno espresso pienamente il loro senso profondo. Che non fu quello di una battaglia politica o ideologica, quasi una prova in pi� a disposizione di chi sostiene che lo scontro frontale tra religioni e civilt� sia a questo punto inevitabile. La sua vicenda in realt� non � nemmeno quella di un mediatore culturale tra mondi tanto diversi, sorta di ponte ingenuo quanto impalpabile. Andrea Santoro � stato un prete: prete di Roma, prete del Concilio, uomo di preghiera, capace di grande prossimit� con la gente, come testimoniavano i tanti accorsi al suo funerale. Erano volti segnati da un dolore personale e dalle lacrime: popolo che ha colto il mistero di una vita gratuitamente donata per gli altri.

Da questo tessuto cristiano, che spesso si ignora ma che � profondo, sgorgano le testimonianza pi� belle, come quella dell'anziana madre del sacerdote. Maria Santoro, piegata ma non vinta, ha avuto cuore di perdonare l'assassino, �essendo anche lui un figlio dell'unico Dio che � amore�.

Don Andrea ci ha riproposto oggi l'antica parabola dei martiri, come ha detto il cardinale Ruini. Dunque, parola di Vangelo. Seppur taluno potrebbe dire che la sua � stata una missione muta e inutile in una terra tutta musulmana. Si � arrivati a parlare di proselitismo forzoso e addirittura pagato; ma � noto come il sacerdote fosse rispettoso non solo dell'islam, ma anche delle altre comunit� cristiane. A lui ben si attagliano le parole di Benedetto XVI nella sua enciclica: �Il cristiano sa quando � tempo di parlare di Dio e quando � giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l'a more�. Per don Andrea, l'Anatolia era un deserto di vita cristiana, ma popolato da donne e uomini (musulmani) da guardare negli occhi e da amare. Egli credeva nel dialogo, ma soprattutto a quell'amore che si fa amicizia quotidiana con le donne e gli uomini di una religione diversa con cui si vive.

�Il suo - ha giustamente detto il cardinal vicario - era un coraggio cristiano, quel tipico coraggio di cui i martiri hanno dato prova��. Ed aggiungeva: �Un coraggio, cio� che ha la sua radice nell'unione con Ges� Cristo, nella forza che viene da lui, in maniera tanto misteriosa quanto vera e concreta�. L'esistenza di Andrea Santoro non era sopraffatta dalle difficolt� o dal clima non sempre sereno in cui operava; ma manifestava la forza di chi prende sul serio il Vangelo, senza ridurlo. E prenderlo sul serio significava prima di tutto viverlo, pagando personalmente: stare vicino ai suoi pochi cattolici, stare in mezzo ai turchi, rischiare la vita in un ambiente che non teneva sotto controllo. Tutt'altra immagine di un cristianesimo infiacchito o, al contrario, nervosamente aggressivo. Viene da pensare all'apostolo Paolo, e al suo: �Comportatevi da uomini, siate forti. Tutto si faccia tra voi nella carit�...� ( 1Cor 16,13-14). Umanesimo e forza interiore si connettono profondamente nella carit�: � la via amoris, che richiede il coraggio pi� grande. La forza "umile" del cristiano pu� andare incontro a insuccessi, ma resta animata da una fiducia che non ha la sua misura nel risultato immediato. Andr� Jarlan, prete fidei donum come don Andrea, ucciso in Cile nel 1984, aveva scritto: �Coloro che fanno vivere sono quelli che offrono la loro vita, non quelli che la tolgono agli altri. Per noi la resurrezione non � un mito: questo evento, che celebriamo in ogni Eucarestia, ci conferma che vale la pena di dare la vita per gli altri...�.

Andrea Riccardi