Centoquarantacinque anni de "L'Osservatore Romano" sono una storia sorprendente per la lunghezza di vita di un quotidiano, ma anche per l'orientamento che lo caratterizza. In quasi un secolo e mezzo di esistenza, "L'Osservatore" cambia linguaggio, preoccupazioni, modi di espressione, ma si mantiene costantemente fedele ad uno sguardo sul mondo che parte da Roma e dalla prossimit� al Papa. La costanza del giornale va ricercata soprattutto nell'angolatura della sua visione. C'� la convinzione che questa angolatura sia una prospettiva originale e importante da far presente ai cattolici e a tutti i lettori: osservare le cose del mondo dalla Roma del Papa.
"Voce attenta e vigile dell'attivit� del Papa"
Non si tratta solo della propriet� vaticana del giornale, il quale dal 1929 trova la sua sede tra le mura leonine. Il foglio � segnato da una scelta culturale e giornalistica che si rinnova negli anni e nei diversi pontificati che si succedono. � ovviamente un giornale che si scrive giorno per giorno, immerso nel cangiante quotidiano; ma � anche - come ha scritto Giovanni Paolo II per i 140 anni della testata - "voce attenta e vigile dell'attivit� del Papa missionario per le strade del mondo". � possibile realizzare tutto questo sulle pagine di un quotidiano? Si pu� essere voce del Papa e giornale immerso nei dibattiti d'ogni giorno? Quasi un secolo e mezzo di vita de "L'Osservatore Romano" stanno a dimostrare che � possibile fare un giornale in questo modo. � una caratteristica che rende unico questo foglio anche nel quadro della stampa cattolica.
Il giornale � nato a Roma vicino al Papa nel 1861 in un tempo turbinoso. Era la grande stagione dell'Unit� d'Italia. Ma era pure il tempo del conflitto delle classi dirigenti liberali con il papato. "L'Osservatore" ha voluto essere, nelle vicende difficili del Risorgimento, l'espressione di un punto di vista quotidiano sulla politica, la cultura, la vita religiosa, maturato a Roma. Non si tratta per� solo di un giornale legato a quella temperie. L'aggettivo "romano", che si trova iscritto nella testata del quotidiano, non � casuale, anzi � rivelatore di una caratteristica permanente. C'� l'idea che la romanit� marchi in profondit� il modo con cui si osservano e si riferiscono gli avvenimenti. Tuttavia la romanit� del 1861 � ancora quella della Roma pontificia; in meno di dieci anni la situazione cambia totalmente e la citt� diventa capitale d'Italia, mentre la Curia romana si ritrova dietro le mura leonine in una condizione incerta e provvisoria.
Un servizio al Magistero e all'unit� della Chiesa
Il giornale si afferma quando lo statuto di Roma, dopo pi� di mille anni di governo pontificio, � rimesso in discussione dal processo di unificazione nazionale italiano. Non � un caso che ci sia bisogno de "L'Osservatore Romano", perch� la Roma del Papa comunichi con il mondo. L'Italia in via di unificazione vuole andare a Roma, come sua capitale e simbolo di una tradizione antica, che offre respiro e nobilt� a una nazione ancora tanto fragile. In questo periodo il papato difende la Roma pontificia e, dietro di essa, si manifesta la volont� che il Papa non sia suddito di nessuno Stato. � la posizione che, in modo diverso, si ritrova presente in tutti i Papi che si sono succeduti sino a Pio XI il quale, nel 1929, firma i Patti del Laterano, che riconoscono la sovranit� del Papa su di un lembo di terra romana.
Ma non c'� solo una grave questione politica negli ultimi decenni dell'Ottocento tra Santa Sede e Italia. Essa trova spazio nelle colonne delle prime annate de "L'Osservatore Romano", soprattutto dopo il 1870 e la fine del potere temporale del Papa, tanto che la classe dirigente italiana e la stampa nazionale seguono quello che si scrive oltre il Tevere. C'� qualcosa d'altro: il ruolo del Papa all'interno della Chiesa � messo in discussione, nonostante le affermazioni del Concilio Vaticano I. Si pensi al neogallicanesimo francese dell'Ottocento; ma anche alla politica dei sovrani europei tendenti a controllare i vari cattolicesimi nazionali, isolandoli da Roma e dal Papa. "L'Osservatore" � al servizio del Papa: fa conoscere la sua voce, i suoi interventi e poi il suo volto. Sono anni in cui, tra i cattolici, crescono l'attenzione e la devozione al Papa. Il foglio vaticano parla del Papa a molti cattolici ed � una fonte preziosa per la stampa cattolica di ogni paese. Attraverso questo servizio, vuole alimentare l'unit� della Chiesa, facendo udire la voce di Roma.
� un servizio al magistero del Papa, ma anche all'unit� della Chiesa. Ed � un'unit� che si pu� leggere, giorno dopo giorno, lungo le pagine del quotidiano, non solo nell'insegnamento, ma anche nelle vicende grandi e piccole della cronaca. Non si tratta tanto di ricercare l'ufficialit� di quell'articolo o di quell'altro pezzo, quasi che ci sia un punto di vista "magisteriale" su ogni evento; si deve cogliere quella compenetrazione profonda, senza confusione certamente, ma senza separazione, tra la voce e il sentire del Papa, tra lo sguardo che si matura a Roma e l'appassionato seguire le vicende quotidiane di tutto il mondo. Non � solo qualche pezzo che conta, ma � uno sguardo complessivo e una cronaca, che rivelano un'impostazione e una sensibilit�, non solo appartenenti al direttore o ai giornalisti che fanno il giornale. L'osservatorio di questi giornalisti � la "terrazza" del Vaticano dove, da Roma, si guarda al mondo.
Un giornale "romano"
Naturalmente le preoccupazioni, le culture, gli interessi cambiano con il mutare degli scenari storici e politici. Lo si vede attraverso le personalit� dei direttori, che qui non possono essere tutti ricordati. Il direttore Augusto Baviera (1866-1884) fu il primo giornalista ad assistere ai lavori di un Concilio, il Vaticano I, e ne dette notizia nella rubrica "Cose interne". Alcuni direttori hanno espresso un'epoca: Crispolti (1884-1890) e Casoni (1890-1900) manifestano l'orientamento particolare del pontificato di Leone XIII; Giuseppe Angelini (1900-1920) aumenta le pagine del giornale e lo guida verso un atteggiamento distaccato sulla guerra di Libia, mentre afferma l'imparzialit� vaticana nella guerra mondiale. La lunga direzione di Giuseppe Dalla Torre (1920-1960) conosce uno sviluppo del giornale e delle imprese editoriali ad esso collegate (tra cui le edizioni in altre lingue), mentre passa attraverso i regimi totalitari, la guerra e la ricostruzione. Raimondo Manzini (1960-1978) � il direttore del Vaticano II e del postConcilio. Infine, dopo Volpini, Mario Agnes � dal 1984 il direttore degli anni di Giovanni Paolo II, quando la vita della Chiesa attraverso un tempo difficile conosce un arricchimento e un'accelerazione. � ancora sotto gli occhi di tutti il giornale che segue la malattia e la morte di Papa Wojtyla e che accoglie e presenta il nuovo Papa, Benedetto XVI. I direttori sono uomini differenti che, in stagioni successive della storia, guidano "L'Osservatore Romano" con toni naturalmente diversi in una prospettiva e in un servizio che continua.
"L'Osservatore", fin dall'inizio, ha voluto essere un giornale romano e italiano, ma anche molto attento alle vicende del mondo contemporaneo, europeo ed extraeuropeo. In tempi anche recenti, il pubblico italiano ha trovato sulle pagine del giornale un'informazione internazionale che non aveva a disposizione su molta stampa nazionale. Infatti "romano" non vuol dire ripiegato nel provinciale. La romanit� non manifesta uno sguardo disilluso, abituato a tutto, scettico e distaccato dalla realt�; ma � l'espressione di un sentire universale, anzi di una passione e di un interesse che vanno ben al di l� dei confini italiani. C'� infatti una passione universale, quella che si nutre nella vicinanza al Papa e nella Chiesa di Roma. Lo si vede, anche in anni lontani dai nostri, dalle notizie riportate nelle cronache, dagli eventi di quella che si chiamava la Chiesa missionaria, dal tentativo di far risuonare tutte le voci e le vicende della Chiesa cattolica.
Questa vicenda giornalistica non sempre � stata facile. La voce di Roma non � sempre cos� ascoltata e cos� tonante, come talvolta la si rappresenta. Non sono poche le volte in cui, nonostante le sincere professioni di fedelt� o quelle pi� formali, Roma e il Papa rischiano l'isolamento nel mondo e anche tra i cattolici. Il caso della prima guerra mondiale � noto e non si pu� dimenticare. Allora il messaggio di pace di Benedetto XV, che ebbe il coraggio di definire il conflitto mondiale come "inutile strage", non fu accolto, non solo dai governi in lotta, ma anche da non pochi cattolici, imbevuti di passioni nazionalistiche. "L'Osservatore Romano", come in altre situazioni, fu testimone fedele e coraggioso dell'accorato messaggio di pace del Papa rivolto ai cattolici e a tutti. La sua funzione fu veramente unica in quel frangente, quando voci ben pi� chiassose coprivano la voce del Papa. Spesso, per conoscere la voce del Papa, restavano disponibili al pubblico solo "L'Osservatore" e la Radio Vaticana.
Libera informazione sui fatti del mondo
Le pagine di questo giornale sono state anche la testimonianza dello stretto legame tra libert� religiosa e libert� tout court. Come Giovanni Paolo II ricordava spesso, non c'� libert� senza libert� religiosa. Durante il fascismo e il nazismo, il foglio vaticano ha manifestato un punto di vista libero sull'attualit�, difendendo puntualmente la libert� della Chiesa. La rubrica Acta Diurna dal 1933 al 1940 pubblica una serie di articoli (dovuti a Guido Gonella) su questioni internazionali, che hanno un grande respiro, mentre la stampa italiana � imbavagliata. Significativamente la rubrica viene ripresa nel 1984. Cos� "L'Osservatore" vuole essere uno spazio di libera riflessione e informazione sui fatti del mondo.
Ci sono stati i tempi del regime fascista in cui gli italiani, interessati a trovare opinioni indipendenti, dovevano leggere "L'Osservatore Romano", unico tra i giornali non irreggimentato. Tanto che, come � noto, squadre fasciste bruciarono a Roma copie del foglio vaticano nelle edicole. Era un atto di aggressione verso una voce che non si � mai accodata ai diversi cori che si sono profilati sugli scenari della politica. Il motivo di questa originalit� sta, come si � detto, nella sua prospettiva di fondo.
Il giornale vaticano fu stampato e diffuso nel cuore della seconda guerra mondiale. Lo si scriveva e lo si vendeva, anche nella Roma occupata dai tedeschi. Tuttavia dall'inizio della guerra, il regime fascista fece fortissime pressioni perch� non si dessero notizie sulla guerra e si riducesse il numero delle copie stampate. Il periodo pi� duro fu quando, dopo l'8 settembre 1943, le truppe germaniche facevano la guardia alla striscia che segnava la frontiera tra la Citt� del Vaticano e l'Italia, fragile paratia per proteggere un piccolo mondo non rassegnato alle ragioni dell'odio e della guerra. Era un mondo che non cedeva alla tentazione di leggere l'universo con la logica del nemico. In quegli ambienti, in Vaticano e in tanti edifici ecclesiastici di Roma, non ci si piegava alla complicit� e non ci si rassegnava all'insensibilit� verso i perseguitati. Anzi, dopo la proditoria invasione fascista della basilica di San Paolo fuori le mura (garantita dall'extraterritorialit�), dove furono trovati ebrei e rifugiati italiani, il foglio vaticano ammoniva con una buona dose di ironia l'invasore, pubblicando un articolo dal titolo significativo: Hodie mihi, cras tibi. Era per dire che quell'ospitalit� forse tra poco sarebbe stata utile agli arroganti invasori. Un po' di ironia, in quel clima cupo, manifestava la libert� del giornale.
Subito dopo il conflitto, nel quadro della guerra fredda e della sovietizzazione dell'Est europeo, il foglio vaticano � quotidianamente attento a segnalare le costanti violazioni della libert� religiosa nei paesi comunisti. Fa eco alla visione di Pio XII, che non si era rassegnato fin dall'inizio alla logica di Yalta. Allora il giornale vuol essere una voce dei cattolici dell'Est europeo. � questo il tempo in cui il Papa, Pio XII, segue attentamente il foglio vaticano fino a correggere - si dice - le bozze dei suoi discorsi pubblicati su "L'Osservatore Romano". Questo � infatti il giornale del Papa, non nel senso che ogni sua riga riferisca il pensiero del Santo Padre, ma perch� matura la sua visione vicino al Papa, in quell'osservatorio mondiale che � la Santa Sede, in quel crogiuolo di idee e sentimenti che � il mondo vaticano. Non si tratta di un giornale "di corte". � una realt� religiosa e culturale, che non pu� essere banalizzata, ma che rappresenta una condizione molto particolare in cui fare giornalismo.
In tempi di difficili comunicazioni, quando non c'era ancora la televisione, "L'Osservatore" ha portato la parola del Papa a tutti e in tutto il mondo. Si dice che anche il Cremlino staliniano fosse abbonato a qualche copia di questo giornale, attraverso cui scrutare i pensieri del Vaticano. Oggi, con la moltiplicazione dei mass media e con internet, si potrebbe pensare che la funzione del giornale � esaurita. Eppure non � cos�. Spesso i media enfatizzano alcuni aspetti del messaggio del Papa e ne tacciono altri. "L'Osservatore" � l� a ricordare quello che nella sua totalit� � il discorso del Papa, mentre mette in luce il quadro di vita religiosa ed ecclesiale in cui si inserisce. Infatti c'� un tempo della Chiesa in cui il Papa parla, che non � esattamente quello del dibattito politico o culturale che talvolta agita l'opinione pubblica.
Gli anni del Concilio, quelli di Giovanni XXIII e di Paolo VI, hanno trovato "L'Osservatore Romano" attento e pronto a comunicare quello che avveniva nella vita della Chiesa. Era una Chiesa che si allargava anche da un punto di vista geografico e come numero di protagonisti. Si faceva attenta ad altri mondi cristiani. Le Chiese del Sud o dell'Est del mondo, quelle dei cosiddetti paesi di missione, trovavano un nuovo protagonismo. La vita cattolica diveniva pi� complessa anche dal punto di vista degli avvenimenti. Bisognava narrare i sinodi, assemblee particolari, mentre si doveva dar spazio a nuove soggettivit� della Chiesa. In questo narrare si esprimeva un punto di vista a cui il giornale si ispira: quello per cui, pur nella molteplicit� delle realt�, delle esperienze e dei linguaggi, esiste un'unit� profonda tra le tante parti del mondo della Chiesa. Questa unit� si deve esprimere in una comunicazione quotidiana. Questa unit� su "L'Osservatore" si fa cronaca.
Un antico quotidiano e la globalizzazione
Con Giovanni Paolo II, il giornalismo vaticano doveva dar spazio a un pontificato che si esprimeva sui binari tradizionali dei suoi predecessori, ma che introduceva come strumenti del suo ministero con molta forza sia il viaggio che l'incontro. Allora la parola del Papa era importante, ma non si poteva dimenticare di ricostruire il contesto, quindi il paese, dove era stata pronunciata. Si trattava di una nuova stagione professionale per un giornale abituato a parlare del Papa in Vaticano, tutt'al pi� a Roma, per cui le uscite di Giovanni XXIII e Paolo VI erano state un'eccezione. Ma gi� raccontare il viaggio di Papa Montini in Terra Santa, nel 1964, era una prima assoluta che aveva messo a dura prova i cronisti vaticani.
Cos�, dopo pi� di un secolo, il vecchio quotidiano vaticano � entrato nell'era della globalizzazione. Un forte momento di globalizzazione per la Chiesa � stato il Giubileo del 2000, che ha visto rinserrarsi i legami e i contatti nella comunit� cattolica attraverso i pellegrinaggi, gli eventi, nuovi tipi di comunicazione. "L'Osservatore" � stato dentro il tempo giubilare con grande passione: un antico giornale sulle frontiere della globalizzazione con uno sguardo romano e mondiale. Questa � la sfida che, nel terzo millennio, si presenta al giornale in un mondo dove le voci si moltiplicano e si incrociano. Proprio dopo il Giubileo, nel 2001, per i 140 anni del quotidiano, Giovanni Paolo II ne ha come tracciato un profilo per il futuro. "L'Osservatore Romano" deve - secondo Papa Wojtyla - "dare una visione cosmica della vita della Chiesa fortemente legata alla cattedra di Pietro", ma non trascurare "l'immagine di una Chiesa aperta alle attese del mondo", chiamata ad essere sacramento di unione con Dio e di unit� del genere umano. Sono le prospettive che, mentre si avvicina il secolo e mezzo di esistenza, questo giornale deve affrontare come un albero antico sugli orizzonti allargati e nel clima mutato del nostro mondo.
Andrea Riccardi
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