Comunità di S.Egidio


 

03/09/2006


Sant�Egidio ad Assisi 20 anni dopo
Al via �Uomini e religioni�. Riccardi: �Diamo voce a una profezia�

 

�I cristiani non sono pacifisti n� semplici amanti della pace: sono pacificatori. Sono costruttori di pace, nel senso della beatitudine evangelica. Per questo radicano la pace nella preghiera e insieme la alimentano nell'incontro con gli altri, facendosi carico delle sfide concrete poste dalla globalizzazione e dalla crescente "cultura del conflitto". Ecco perch� siamo di nuovo ad Assisi, vent'anni dopo�.

Cos� Andrea Riccardi, ordinario di storia contemporanea alla Terza Universit� di Roma, tra i fondatori della Comunit� di Sant'Egidio, evoca l'originalit� sorgiva di un cammino e di una presenza che domani e marted� confluiranno nel meeting internazionale �Per un mondo di pace: religioni e culture in dialogo�. L'incontro - organizzato da Sant'Egidio con la Conferenza episcopale umbra e la diocesi di Assisi - si tiene nella citt� di san Francesco a vent'anni dalla �Giornata mondiale di preghiera per la pace� voluta da Giovanni Paolo II, che proprio ad Assisi chiam� i leader delle religioni mondiali. Un evento senza precedenti, quello dell'ottobre 1986, nella scia del quale Sant'Egidio ha dato vita agli incontri internazionali �Uomini e religioni�. Un appuntamento nato da un'intuizione: �Gi� allora Papa Wojtyla aveva capito come le religioni avrebbero avuto un ruolo fondamentale nel costruire la pace o, al contrario, nel sacralizzare la violenza e benedire i muri�, spiega Riccardi.

Un'intuizione profetica: nel 1986 il mondo era ancora diviso fra Est comunista e Ovest capitalista, il Muro di Berlino ancora in piedi: altro che religioni e pace...

�Eravamo ancora nel clima della Guerra fredda e non se ne prevedeva una facile risoluzione. Una parte importante del pensiero sociologico e della cultura, non solo in Occidente, continuava a prefigurare il progressivo declino delle religioni, anche nello spazio pubblico. La storia prender� un'altra direzione. Che Wojtyla aveva intuito. Con la Giornata di Assisi il Papa rilanci� il ruolo della Chiesa e ribad� il legame fra l'uomo religioso e la pace�.

Che cosa insegn� Assisi 1986?

�Che si deve pregare gli uni vicino agli altri, non pi� gli uni contro gli altri. Come fu di nuovo ad Assisi, sempre con Wojtyla, nel '93 per l'ex Jugoslavia e nel 2002 per il mondo del post-11 settembre 2001�.

Un messaggio ancora attuale?

�Ancora pi� importante e drammatico di allora. Terminata la Guerra fredda, caduto il Muro di Berlino, ci si illuse che la pace universale sarebbe stata presto raggiunta. Oggi invece ci troviamo di fronte ad una guerra articolata e fratturata, ma soprattutto siamo immersi nella "cultura del conflitto". Intanto si sono affermate manifestazioni di terrorismo forti, globali, con un loro messaggio pubblico, che a volte - si pensi al terrorismo islamico - hanno una ricaduta religiosa�.

Come giunse, Wojtyla, alla lettura dei fatti che ispir� l'incontro del 1986?

�La sua grande esperienza di viaggiatore nel mondo contemporaneo lo port� a percepire, gi� allora, le inquietudini dell'islam, la complessit� della situazione in India e in altri scenari critici. Ma gioc� un ruolo decisivo anche la sua ansia ecumenica. Due sono infatti i percorsi che si intrecciano ad Assisi nella comune sfida della pace: l'incontro fra i cristiani e quello dei cristiani con le grandi religioni. Assisi 1986 non fu il luogo di un negoziato o di un dibattito teologico: fu un'esperienza semplice, fatta di silenzio, digiuno, meditazione, che vide un Papa investire la Chiesa cattolica di una responsabilit� universale�.

Come si declina oggi quella responsabilit�?

�Oggi, come allora, non si tratta di costituire una "internazionale" delle religioni - ciascuna infatti � ben diversa dalle altre sul piano dei contenuti di fede, della teologia, dell'organizzazione interna, del rapporto con la societ� - ma di alimentare l'arte dell'incontro, di creare legami, di aiutare i leader religiosi e le comunit� che rappresentano a liberarsi dai condizionamenti locali, nazionali, politici... Gli incontri promossi nella scia di Assisi '86 - come quello che si apre domani - danno sbocco all'ansia di pace che � nel cuore dei popoli. In questo cammino condiviso non ci sono soltanto le religioni, ma anche gli uomini della cultura e dell'umanesimo laico�.

Assisi 2006 intreccia molteplici testimonianze e temi. Quali, fra questi, oggi appaiono rimossi dal dibattito pubblico?

�Uno, di certo, � il futuro dell'Africa. Non ci sar� pace globale finch� trascureremo questo continente: non solo sul piano dello sviluppo economico o democratico, ma della sua realt� multireligiosa che vede, nel contempo, spazi di convivenza e di conflitto fra cristiani e musulmani. Un altro panel sar� dedicato al Libano, crocevia della convivenza pacifica per il Medio Oriente e l'intero Mediterraneo. Per una civilt� della convivenza non basta il rispetto dell'altro, ma la garanzia della sua libert�, a partire da quella religiosa. Altri panel saranno dedicati a temi concreti come la famiglia, la lotta alla povert�, la globalizzazione della solidariet�, la questione della laicit� - di fronte al ruolo delle religioni non solo nello spazio nazionale ma negli scenari internazionali�.

A concludere Assisi 2006 sar� la preghiera. Una forza fragile in un mondo che sembra ascoltare solo la voce delle armi...

�Diceva san Serafino di Sarov: acquista la pace in te stesso, migliaia l'acquisteranno intorno a te. Il cristiano che prega non rinuncia alla pace anche nel mezzo della guerra. I cristiani non sono pacifisti ma pacificatori: vivono la pace come dimensione spirituale e la edificano nel concreto delle condizioni storiche. Oggi non ci misuriamo solo con le guerre e il terrorismo, ma soprattutto con una crescente "cultura del conflitto" che � legittimazione del conflitto e abitudine a pensarsi in termini conflittuali, nella scia di chiavi di lettura come lo "scontro delle civilt�" di Huntington. Ebbene: la complessit� degli scenari della globalizzazione chiede un grande realismo, che � capacit� di leggere e interpretare. Con quella speranza di pace che � la prospettiva della nostra fede�.

Lorenzo Rosoli