Comunità di S.Egidio


 

05/10/2006


Le tentazioni di oggi? Sfiducia e uso della forza
Andrea Riccardi: �Ma i cristiani sono realisti, non si lasciano vincere dall'impotenza n� sono fanatici� La pace � sempre possibile: in Mozambico riconciliazione dopo anni di guerra e un milione di morti

 

La fragilit� come luogo in cui pu� nascere la speranza: anzi, come pietra di paragone per distinguere il vero senso della speranza cristiana, rispetto alle tante attese e rivendicazioni di corto respiro che oggi affollano la nostra vita. E questa l'idea di fondo del �contributo� che la diocesi di Bergamo ha elaborato per il IV Convegno ecclesiale nazionale, in programma a Verona dal 16 al 20 ottobre, e dedicato al tema �Testimoni di Ges� risorto, speranza del mondo�. Per comunicare al maggior numero possibile di persone il significato di questa sua riflessione (il testo � consultabile nel sito Internet bergamochiesacattolica.it, nella sezione �ultimi aggiornamenti�), la diocesi ha anche organizzato un ciclo di tre incontri con un titolo in forma interrogativa, �Fragile speranza?�. Cos�, mercoled� scorso, al Centro congressi Giovanni XXIII, l'attrice Maura La Greca ha interpretato un monologo di Alda Merini, mentre questa sera (ore 20,30), nella stessa sede, lo storico Andrea Riccardi parler� sul tema �Nei luoghi fragili il domani del mondo�; nella terza serata, gioved� 12 ottobre, l'ex segretario generale della Cisl Savino Pezzotta e Mauro Ceruti, preside della facolt� di Lettere e Filosofia dell'Universit� di Bergamo, dialogheranno invece sul tema �Cambiare il mondo nel mondo che cambia�. Ad Andrea Riccardi, fondatore della Comunit� di Sant'Egidio e docente di Storia contemporanea all'Universit� di Roma Tre, abbiamo chiesto di anticiparci alcuni punti del suo intervento di questa sera. �Nella mia relazione - esordisce Riccardi - partir� da una constatazione: oggigiorno si va diffondendo un senso di sfiducia nella possibilit�, per i singoli, di incidere su fenomeni luttuosi di grande portata, come le guerre e le "emergenze umanitarie". Siamo tentati di restare spettatori della vita, con i suoi dolori, rassegnati all'idea che la "grande storia" non la facciamo noi. Al tempo stesso, osserviamo un secondo atteggiamento, per cui si dice che al terrorismo, all'immigrazione, all'apparente ostilit� di altre culture l'Occidente dovrebbe reagire con forza, anche ricorrendo alla "guerra preventiva". Io credo che questi due atteggiamenti apparentemente diversissimi di rassegnazione e di contrapposizione bellicosa abbiano la stessa radice: da un lato, la nostra societ� � attraversata dalla tristezza che secondo il Vangelo provava il giovane ricco, incapace di "vendere quello che aveva e di darlo ai poveri per ottenere un tesoro in cielo". D'altra parte, questa paura di perdere e di perdersi viene contrastata esibendo la forza: ci persuadiamo che, combattendo un certo nemico, ritroveremo alla fine la nostra sicurezza e serenit�.

Esiste una terza possibilit�, oltre al fatalismo e all'�esibizione muscolare�?

�C'� la via che parte dalla contemplazione del Crocifisso: � un cammino segnato da una debolezza radicale, senza per� che quest'ultima venga disprezzata, n� in se stessi n� negli altri. Vivendo da discepoli di Ges�, non si � presi dalla paura di perdere qualcosa, o dalla voglia di menar le mani contro un nemico. I cristiani sono decisamente realisti: non sono dei fanatici che si ubriacano per non sentire il peso della realt�, ma nemmeno si sottomettono alla prospettiva dell'impotenza. Il vero problema, per un cristiano, non � quello di superare i suoi limiti con uno sforzo titanico, ma di avere fede, perch� con la fede si fa esperienza di una forza paradossale: "quando sono debole, � allora che sono forte", afferma Paolo nella Seconda lettera ai Corinzi�.

Passando agli aspetti socialmente pi� evidenti dell'umana fragilit�: la Comunit� di Sant'Egidio, da lei fondata, assiste quotidianamente gli immigrati, gli zingari, le persone senza fissa dimora.

�Io penso che i cristiani non possano demandare la cura degli "ultimi" a istituzioni specializzate. Oserei anzi dire che non c'� un'autentica esperienza spirituale senza un contatto diretto con i poveri, i malati, i sofferenti: questo contatto � una grande scuola, perch� ci testimonia la fragilit� della condizione umana, ma anche quali energie morali e forza di speranza nascano dall'amore. Il teologo ortodosso Olivier Cl�ment, che proprio in questo periodo vive una situazione di grave malattia, ha sostenuto che oltre ai Sacramenti canonici ve ne sarebbe uno "dell'incontro con il povero": semmai, secondo lui, in epoca moderna, l'esperienza cristiana sarebbe stata segnata negativamente da un divorzio tra il Sacramento "dell'altare" e quello "del povero"�.

Il rischio � che, anche per I credenti, gli �ultimi� si riducano a una categoria sociologica, da assistere �con professionalit�, con algida efficienza?

�In questo discorso della "professionalit�" c'� una parte di vero. I poveri non vanno blanditi, devono effettivamente essere aiutati: ma la nota clistintiva dell'atteggiamento cristiano nei loro confronti � l'amicizia. Gregorio Magno, vescovo di Roma nel periodo a cavallo tra il VI e il VII secolo (un'epoca difficile, all'insegna - direbbe qualcuno - dello "scontro di civilt�"), scriveva: "I poveri hanno bisogno della parola e non solo di aiuto: date col pane la vostra parola. (...) Il povero dunque, quando sbaglia, va ammonito, non disprezzato, e se in lui non riscontriamo difetto alcuno, deve essere venerato". Sentimenti di questo tipo animavano molti martiri del nostro tempo, capaci di dare la loro vita per i pi� deboli: pensiamo alla missionaria forlivese Annalena Tonelli, o a suor Lionella, uccisa il mese scorso a Mogadiscio�.

Lei � uno storico: non le pare che dallo studio della Storia si possa uscire un po' disillusi, induriti, visto che l'umanit� sembra ripetere pi� o meno gli stessi errori ed orrori, nel corso del tempo?

�Io per� ho anche assistito, in certi casi, al miracolo della pace, con gente che si riconcilia dopo anni di guerra, persino dopo un milione di morti, come � successo in Mozambico. La storia non segue sempre una linea prevedibile, sotto la sua superficie fluiscono correnti profonde di amore, speranza e fede: talvolta, queste correnti affiorano, e ne deriva un terremoto benefico, che ribalta scenari apparentemente immodificabili. Noi cristiani siamo tenuti a credere che l'imprevedibile sia sempre possibile, che la storia umana non sia abbandonata a se stessa, dal momento che Dio ha voluto abitarla�.

Giulio Brotti