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il Foglio |
20/12/2006 |
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In Italia il problema non � l�accanimento terapeutico, ma la desistenza terapeutica che fa mancare il necessario. Lo spiegher� meglio dopo qualche osservazione su come usiamo le parole. Diritto alla vita s�, e diritto di morire? La morte non pu� diventare un diritto. Perch� non lo �: sole e luna sono differenti. Le parole possono creare mostri. A scuola leggevamo con orrore che i guerrieri di Tebe erano il risultato di una selezione che iniziava da bambini: i deboli e i malformati venivano lasciati a morire sul Taigeto. Oggi questo non fa minimamente orrore. Si fa, in maniera pulita. I programmi di eutanasia nazisti suscitano ancora orrore, ma il dibattito di oggi, invece, no. Ci� che per Welby � insopportabile e �accanimento terapeutico�, il respiratore, � un intervento ordinario: per migliaia di malati � necessario, benedetto strumento per vivere e continuare a vivere, in condizioni identiche o anche peggiori. Occorre oggettivit� per definire quello che � accanimento terapeutico e quello che non lo �. L�elemento soggettivo non pu� cambiare natura alle cose. Welby � un uomo eccezionale, lucido, disperato, che chiede accesso al suicidio, a un suicidio assistito. Non � torturato a causa dei �valori�. E� torturato dalla sua mente lucida che gli rende insopportabile quello che altri desiderano, e sono tanti. Per quanto non si piaccia, possiede facolt� invidiabili in altri pi� sani di lui. E� una storia tragica. C�� il diritto a vivere, a vivere bene. E� negato a miliardi di esseri umani, per cui non si manifesta e non si fa lobby. Ma non pu� esserci mai il �diritto di morire�. Anche se si pu� voler morire. Anche se ci si toglie la vita. Accade agli adolescenti, agli adulti sani, agli anziani, ai malati. Ma non per questo c�� una legge che dice che � bene farlo. Lo si pu� desiderare per sofferenze fisiche, affettive, psicologiche, morali. O presunte tali. Il risultato � lo stesso: a tanti la morte sembra una soluzione, perch� quel vivere appare, in quella stagione della vita, insopportabile. Il dolore fisico, affettivo, � un terreno ambivalente. Per alcuni diventa un tempo di prova e maturare una umanit� pi� profonda, per altri no. Per uno studente l�interrogazione andata male � niente e per un altro pu� essere il fallimento definitivo. La malattia per alcuni diventa solitudine, disperazione, voglia di �non essere pi� di peso�, e per altri � invece il terreno in cui si sperimenta la profondit� dell�umano, proprio quando non fanno pi� velo il successo, la forza, o i ruoli sociali. Non c�� il �diritto� di morire. Pu� esserci voglia di morire, ma � un�altra cosa. Abbiamo tutti diritto a una vita degna. E� negato a miliardi di esseri umani. Per motivi futili o gravi tanti possono desiderare di morire. E� una grande domanda sulla nostra societ�, che smarrisce troppo quello per cui vale la pena vivere. L�eutanasia, sulla base di un malessere soggettivo, � per� una scorciatoia per societ� malate, a volte troppo materiali, ingiuste o superficiali per dare buoni motivi per vivere. E� grave utilizzare un caso estremo per creare il �diritto di morire�. La differenza la fa, alla fine, il diverso peso mediatico di un caso estremo o dell�altro, in una spettacolarizzazione semplificatrice. Ho conosciuto giovani e anziani, che sono arrivati a stare peggio di Welby, che comunicavano solo con gli occhi, con una mano, una tastiera, un dito. Erano stati sani e a volte desideravano morire. Eppure, accompagnati affettuosamente, pur dipendenti da un sondino, hanno ritrovato, anche nella totale non autosufficienza, una profondit� e un�intensit� affettiva nemmeno immaginabili prima. Queste persone � e neppure i loro amici e parenti - avrebbero scambiato mai gli ultimi mesi dolorosi ma cos� intensi e ricchi della loro vita con gli anni della �gran vita� di prima. Ma si pu� desiderare di morire. Indro Montanelli, avrebbe voluto staccata la �spina� nel caso di perdita di lucidit�. Altri pensano lo stesso, che quando la mente non funziona pi� come prima sarebbe meglio morire. Ma Welby non ha questo problema. Pensa e comunica come pochi, pi� di altri. Non perde coscienza. Ne ha �troppa�. Ritengo che il desiderio soggettivo di morire non debba ispirare una nuova legge, o si rompe il diaframma che distingue morte e vita. Nella nostra societ� di accanimento terapeutico ce n�� proprio pochino. Migliaia di anziani ogni giorno vengono gi� lasciati senza le terapie necessarie per vivere. Tanti non vengono rianimati se non c�� un�abbondante speranza di riabilitazione, se non c�� un�insistenza formidabile delle famiglie. 150 mila malati terminali in Italia hanno bisogno di terapia intensiva e cure palliative, e le strutture esistenti bastano per un terzo. Bisogna liberare i letti e si scelgono i pi� giovani. Scelte drammatiche, che avvengono ogni giorno. In Italia c�� di norma desistenza terapeutica e non accanimento. Si fa mancare il necessario, e arriva la morte naturale, ma prima del tempo. Molti medici si dicono che � il male minore. L�accanimento terapeutico � un�esercitazione mentale di scuola, per casi estremi. E non c�entra nemmeno con Welby, la cui vicenda � usata come un grimaldello istituzionale, nella confusione delle parole, con sostegno di media. La legge sull�eutanasia rischia drammaticamente di togliere un argine gi� fragile verso una eutanasia sociale. Abbiamo il dovere di accompagnare, di ripetere all�infinito, con le parole e con la nostra vita, che quel nostro caro � per noi � insostituibile. Anche se non gli bastasse. Terapia del dolore e terapia dell�amore. Garantire sostegno, cure palliative, amore, professionalit�, anche quando non possiamo tutto. Abbiamo diritto a combattere il dolore quando malati. Abbiamo il dovere della piet� e della compassione. Ma non siamo onnipotenti. E capiamo poco del mistero della vita. Ecco perch� dobbiamo distinguere bene tra diritto di vivere e desiderio di morire.
Mario Marazziti
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