Alll'inizio del XX secolo moriva a Livorno un grande rabbino italiano, Elia Benamozegh, uomo di grande sapienza in cui pulsava l'umanesimo mediterraneo. Scrisse un' opera in difesa dell'ebraismo, quando la via indicata agli ebrei europei era l'assimilazione facendo d'Israele solo il �culto mosaico�. Israele e l'umanit�, studio sul problema della religione universale era l'opera in cui rispose alle accuse che l'ebraismo non fosse una religione universale, aprendo una discussione con il cristianesimo e chiedendo di riflettere sulla legge noachica. Nel quadro della crisi religiosa di fine secolo proponeva l'ebraismo come popolo messianico e sacerdotale tra le religioni.
Il libro - pubblicato nel 1914, dopo la morte dell'autore, alla vigilia della prima guerra mondiale - intendeva provocare, in cristianesimo e islam, un tiqqun, un processo di risanamento a partire dall' universalismo e dall'umanesimo ebraico. Non fu un successo. Di ben altro si occupava l'opinione pubblica europea di allora, presa dalle passioni nazionaliste e dalla costruzione di un uomo nuovo.
Ma oggi, dopo tanto fallire, si ritorna a questo punto, all'appuntamento con l'ebraismo. La proposta di Benamozegh ritorna attuale.
Non � solo il lungo processo di secolarizzazione europeo che ci fa tornare ali' ebraismo come fatto centrale dell'umanesimo. L'universalismo secolarizzato delle organizzazioni internazionali ha introdotto un politically correct, per cui universale � accostare realt� religiose o culturali differenti quasi in un legame federale. C'� anche la proposta di un mondo religioso asiatico, in particolare induista, dove la spiritualit� si esprime in modo individuale, cos� diverso da quel senso di destino comune e di comunit� che caratterizza le religioni monoteistiche. Un mondo tanto plurale rende l'ebraismo, con il suo monoteismo, qualcosa di antiquato, destinato a una flebile minoranza?
Dopo le guerre religiose di Cinquecento e Seicento, nacque la dottrina della tolleranza. Oggi c'� bisogno di un nuovo umanesimo: qui l'appuntamento con l'ebraismo, che richiama a un Dio creatore, a una comunit� di uomini e donne con un destino unico. Ha scritto Andr� Neher sull'identit� ebraica: �� sulla barca di ogni ebreo, il quale ripete il gesto di Abramo, che gli uomini passano sull'altra riva del!' umanit� - conclude -. L'esilio � la missione che porta il giudeo dovunque c'� da fare un passaggio, e cos� la condizione ebraica inserisce il giudeo in una specie di vertigine universale, in quella bella e grande vocazione che fa di lui il fratello d'azione di tutti gli uomini�.
Oggi, in un mondo di scontri di civilt� e di religione, ma anche di risposte a una globalizzazione schiacciante, non basta far ricorso all'idea di tolleranza. Abbiamo bisogno di una grande idea che non possiamo trovare se non nelle grandi religioni. II relativismo � inadeguato a un mondo di conflitti e finisce per confermare la violenza dell'appartenenza. Jonathan Sachs, rabbino capo del Commonwealth, in La dignit� della differenza, trova il fulcro di questa grande idea nel rinverdire e ripensare il patto di No� con tutto il genere umano: �Dio, creatore di tutto - scrive - ha posto la sua immagine sulla persona in quanto tale, a priori e indipendentemente dalle nostre varie culture e civilt�, conferendo cos� alla vita umana una dignit� e una santit� che trascendono le nostre differenze�. Benamozegh, un secolo prima, proponeva qualcosa di simile.
L'unico Dio e l'unica umanit�... Il dialogo tra ebrei e cristiani, questo nostro stesso parlare, non � solo chiuso a una conversazione tra religiosi, ma ha un suo valore che va al di l� di noi, in un mondo dalle profonde fratture. Per me, per noi, � l'appuntamento da cui pu� scaturire una riflessione sull'umanesimo contemporaneo, che non pu� prescindere da Israele e dalla sua fede.
Andrea Riccardi
|