Comunità di S.Egidio


 

01/02/2007


Don Santoro: la sua fede oltre l'emozione

 

E �solo� la storia di un prete. Ma che storia. E quale prete. E la storia di don Andrea Santoro, anzi cento storie intrecciate dentro una vita breve ma cos� intensa da provocare vertigini. Come quando da ragazzo arriv� a Gerusalemme in autostop. Cos� intensa che parte da Roma, centro della cristianit�, e termina con due colpi di pistola a Trebisonda, Turchia, il 5 febbraio del 2006. Cela racconta Augusto D'Angelo, docente dell'Universit� �La Sapienza�, nel volume Don Andrea San toro: un prete tra Roma e l'Oriente (San Paolo edizioni), presentato ieri nella Sala della Protomoteca in Campidoglio alla presenza del cardinale vicario Camillo Rubini, della mamma di don Andrea, signora Maria, e delle sorelle Maddalena e Immelma.

Con il rigore dello storico e la pazienza di un artigiano, D'Angelo ha voluto ricostruire le vicende e la personalit� di questo prete romano perch� - ha spiegato - quando fu assassinato dal giovane turco che ora � in carcere �emerse che tutti conoscevano un pezzo della sua vita, ma mancava un quadro d'insieme�. E poich� �viviamo un periodo in cui la memoria � particolarmente breve - ha aggiunto - volevo evitare il rischio che dopo l'emozione ci si dimenticasse di lui�.

Tuttavia non � una figura che si possa dimenticare, �anche in un mondo come quello di oggi, che scorda in fretta pure le pi� grandi tragedie�, ha rilevato Andrea Riccardi, fondatore della Comunit� di Sant'Egidio e autore dell'introduzione al libro di D'Angelo. Forse proprio perch� - ha a osservato Riccardi, citando don Giuseppe De Luca, altro grande prete romano (seppure di adozione) - �don Andrea era un prete-prete, cio� un prete e basta. Non un operatore sociale. E nemmeno un intellettuale, anche se era colto, informato e intelligente. Era invece uno che viveva la fede, la comunicava e la celebrava. E questo rappresenta ancora un fatto scandaloso, per la nostra cultura�.

Del sacerdote, ancora, Riccardi ha ricordato �l'inquietudine non immatura, ma propria di un uomo serio, abituato a fare le cose prima che a dirle�. La stessa inquietudine che lo avrebbe condotto in Turchia, nell'antica citt� di Trebisonda, dove a soli 60 anni avrebbe trovato la morte. Perch�? A chi glielo chiedeva, don Santoro rispondeva che quello, oltre a un luogo di azione pastorale, era �un deserto per parlare con Dio, per ascoltarlo, per farmi prendere in carico�.

Ma prima della Turchia, per tanti anni, c'� stata Roma: prima Verderocca, poi la parrocchia Santi Fabiano e Venanzio. L� oggi c'� un largo che il Comune ha intitolato proprio a don Andrea Santoro. �Recandomi sul posto

subito dopo la sua morte fui colpito, oltre che dalla compostezza della sua bella famiglia - ha detto ieri il sindaco Walter Veltroni - anche dall'intensit� del dolore della gente della zona. Erano le nostre donne, le donne di Roma, che piangevano. Ed erano i nostri ragazzi, che quotidianamente frequentano le parrocchie�. Per il primo cittadino sono i volti di una citt� in cui la Chiesa svolge un ruolo di particolare importanza, �con le gerarchie e con i tantissimi preti e suore nostri concittadini che operano laddove il dolore e il bisogno sono pi� forti, a Roma e altrove�. A Trebisonda, per esempio.

Danilo Paolini